burocrazia

Si è aperto in questi giorni un animato dibattito politico a proposito del lavoro accessorio (i lavoratori pagati con i voucher) che un referendum della CGIL, sostenuto dalla sinistra del Pd, dai 5 Stelle, dalla Lega e da Sinistra italiana, propone di abrogare.

Ma anche il ministro del lavoro Poletti ha dichiarato che se la recente modifica dell’istituto (la tracciabilità) non funzionerà è pronto a modificare la legge, così come il responsabile economico del PD Taddei, mentre il presidente della commissione lavoro della Camera Damiano ha proposto di restringere il campo di applicazione alle “attività lavorative di natura meramente occasionale rese da soggetti a rischio di esclusione sociale”.

In un recente lavoro pubblicato da Strade emergevano sostanzialmente due evidenze:

1. il numero medio annuo, dato dalla somma dei mesi di attività rilevati nell’anno diviso 12, di lavoratori che svolgono lavoro accessorio è decisamente modesto (303 mila nel 2015), pari all'1,3% del totale degli occupati, perché il numero medio di voucher che ciascun lavoratore utilizza in un anno è molto basso (63,8 nel 2015);

2. per oltre tre quarti (76,9%) dei prestatori di lavoro accessorio (dipendenti, autonomi, studenti, pensionati e beneficiari di ammortizzatori sociali) questa attività rappresenta il secondo lavoro o la fonte integrativa del reddito, mentre per il rimanente 23,1% (“silenti”, attivi negli anni precedenti) è l’unica fonte di reddito regolare (mediamente 505 euro l’anno) che, probabilmente, copre un lavoro svolto prevalentemente in nero o grigio. Probabilmente una buona parte dei primi non avrebbe potuto svolgere questi lavori se non ci fosse la legge o avrebbe dovuto farlo in nero.

La seconda evidenza è stata sostanzialmente confermata anche dal recente studio dell’INPS(1) secondo il quale i lavoratori che usano il voucher come secondo lavoro o come fonte integrativa del reddito - i pensionati, gli occupati e i percettori di sussidio di disoccupazione - sono pari al 63%, ma occorre aggiungere i “privi di posizione” (14%), e cioè i giovani che non sono stati mai occupati: hanno in media 22,6 anni, e secondo l’indagine più approfondita sui prestatori di lavoro accessorio nel Veneto contenuta nella stessa ricerca dell’INPS, che può considerarsi un campione rappresentativo di questi lavoratori, sono per più di due terzi inattivi (78,1%) probabilmente perché stanno ancora frequentando corsi di studi o di formazione. Aggiungendo questo gruppo che possiamo qualificare, almeno per gran parte, come composto da studenti (gli studenti, insieme ai pensionati e alle casalinghe, erano le uniche categorie di persone che, secondo la legge Biagi del 2003, potevano svolgere il lavoro accessorio), il totale dei percettori “regolari” dei voucher sale al 77%.

Occorre di conseguenza ribadire che l'uso truffaldino dei buoni-lavoro da parte di una piccola porzione di datori di lavoro disonesti, che riguarda solo meno di un quarto dei prestatori di lavoro accessorio (i “silenti”), non può giustificare l'abolizione di questa forma di lavoro, ma deve spingere a individuare quali sono i profili di questi lavoratori per porre in essere misure di contrasto del fenomeno. Per fare un paragone, il fatto che esistano secondo l’Istat circa 500 mila falsi part-time (12% del totale), che lavorano un numero di ore maggiore di quelle previste nel contratto, per le quali sono pagati in nero o non sono pagati affatto(2), non giustifica certo l'abolizione del contratto a orario ridotto che consente a molti, soprattutto lavoratrici, di conciliare il lavoro con la vita familiare.

Grazie allo studio dell’INPS già citato è possibile tracciare un profilo ancora più dettagliato dei “silenti” (318 mila nel 2015) per i quali il lavoro accessorio rappresenta l’unica fonte di reddito (regolare) nel 2015, anche se nel passato avevano svolto un lavoro: hanno mediamente un’età di 37 anni, sono in maggioranza donne (57%) e risiedono per due terzi nel Centro-Nord (70,5%). Più interessanti sono le informazioni più approfondite sui prestatori di lavoro accessorio nel Veneto: lavorano per un terzo nel settore del turismo, la quota di immigrati è modesta (13%; 87% sono italiani), il 41% è diplomato e la quota di laureati (9%) è superiore alla media totale (8%) e, cosa ancor più interessante, il 46% è costituito da disoccupati che si sono registrati presso un centro per l’impiego, ma che non beneficiano del sussidio di disoccupazione, e il 54% è inattivo, anche se disponibile a lavorare.

Il profilo dei lavoratori “silenti” che probabilmente sono pagati con il voucher solo per coprire il lavoro nero incomincia a essere molto più chiaro: sono adulti, per quasi la metà disoccupati che non hanno maturato i requisiti per la NASpI, ai quali i centri per l'impiego non sono riusciti a trovare un lavoro (molti hanno svolto tirocini) e per l’altra metà sono scoraggiati che non cercano neppure un’occupazione regolare attraversi i centri pubblici perché pensano, non a torto, che non riusciranno a trovarla. È molto probabile che abbiano una retribuzione in nero molto bassa, aggiuntiva ai 500 euro l’anno dei voucher, e che siano a rischio di povertà e di esclusione sociale: rappresentano esattamente il target a cui il presidente Damiano vorrebbe riservare in via esclusiva questa prestazione lavorativa, che non impedirebbe certamente l’uso del voucher per coprire il lavoro nero.

La strada maestra per affrontare questo fenomeno sarebbe a portata di mano se il nostro paese disponesse di centri per l’impiego efficaci nella ricerca del lavoro e con una dotazione di personale adeguata (vedi a questo proposito “Centri per l'impiego? Non pervenuti. Jobs Act a rischio fallimento”): avviare un programma di presa in carico intanto della metà (circa 150 mila) dei “silenti” che si è già registrata presso un Cpi, con la collaborazione dell’INPS che possiede i nominativi, sia per conoscere con precisione la loro reale condizione lavorativa e sociale, sia per aiutarli a trovare un lavoro regolare.

Ma la condizione delle persone a rischio di esclusione sociale non si risolverebbe completamente senza una misura di sostegno per le persone adulte a rischio di povertà e di esclusione sociale che svolgono lavori precari od occasionali - i working poors - che manca in Italia: solo da pochi mesi in Italia il disoccupato percettore del sussidio di disoccupazione che non ha trovato un lavoro può, in via sperimentale, beneficiare dell’ASDI (assegno di disoccupazione per una durata massima di soli sei mesi) e questo sostegno al reddito sarà assorbito dalla nuova misura contro la povertà, il reddito d’inclusione(3), solo se approvata dal Senato: i “silenti” non possono beneficiarne perché non hanno maturato la NASpI.

Del resto in Germania, dove esiste un istituto simile al lavoro accessorio che prevede una remunerazione massima di 450 euro al mese esente da tasse e contributi da parte del lavoratore, i percettori di mini-jobs che hanno un secondo lavoro rappresentano poco più di un terzo del totale (2,6 milioni su 7,4 milioni complessivi), mentre la parte restante e maggioritaria che vive solo con questi piccoli lavori di breve durata (4,8 milioni) integra la modesta retribuzione con i sussidi sociali (figura 1).

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Figura 1: Lavoratori che svolgono i mini-jobs in Germania come unico e secondo lavoro - Anni 2000, 2003, 2013 e 2015 (valori assoluti in milioni)

In conclusione, per risolvere il problema dell’abuso del lavoro accessorio da parte di meno di un terzo dei percettori di voucher non bisogna certo abrogare questo istituto che ha consentito di far emergere una parte del lavoro nero e consente a molti lavoratori regolari d’integrare il proprio reddito, ma intervenire in modo mirato sui “silenti”, che per almeno la metà sono conosciuti dai centri per l’impiego, con misure di politica attiva e di contrasto della povertà e dell’esclusione sociale: tuttavia, senza rafforzare i Cpi e avviare misure efficaci contro la povertà, tutto ciò è impossibile.

Insomma, conosciamo chi usa in modo irregolare i voucher, ma non abbiamo gli strumenti per impedire che lo faccia.

Note al testo:
(1) Bruno Anastasia, Saverio Bombelli, Stefania Maschio, Il Lavoro accessorio dal 2008 al 2015. Profili dei lavoratori e dei committenti, WorkINPS Papers n. 2, settembre 2016.
(2) Carlo De Gregorio, Annelisa Giordano, “Nero a metà”: contratti part-time e posizioni full-time fra i dipendenti delle imprese italiane, Istat working papers, n. 3, 2014. Secondo gli autori, i falsi part-time che lavorano un numero di ore maggiore rispetto a quello previsto dal loro contratto sarebbero oltre 500 mila, con maggiore incidenza del falso part-time maschile.
(3) Atto Senato n. 2494, Delega recante norme relative al contrasto della povertà, al riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali, in corso di esame nella 11ª Commissione permanente (Lavoro, previdenza sociale).