stefano parisi

È inevitabile per me seguire con attenzione quello che sta accadendo nel centrodestra, anche grazie all'iniziativa di Stefano Parisi voluta da Silvio Berlusconi.

Tanti, immagino, sperano sia ancora possibile quello che in molti ci eravamo illusi potesse accadere qualche anno fa, quando, contro una coalizione di "sinistra-sinistra", Berlusconi prometteva un'iniziativa liberale in economia, almeno tollerante sui diritti civili, garantista per tutti, europeista ed atlantista sul piano internazionale. Quell'occasione venne totalmente sprecata, probabilmente per scarsa convinzione e dedizione dello stesso Cavaliere e per l'idea, un po' troppo banalmente "pubblicitaria", che di fronte agli esiti disuguali del processo di globalizzazione economica e alle comprensibili paure che questi iniziavano a suscitare nel vecchio Primo Mondo, si dovesse opporre la "speranza" tremontiana della precipitosa marcia indietro verso una modernità politica, economica e civile pre-contemporanea, in cui l'Italia e l'Europa potessero trovare rifugio.

Oggi, come era previdibile, proprio grazie a quelle scelte e a quella cultura "antimercatista" eletta a ideologia di riferimento, lo schieramento del cosiddetto centrodestra è segnato da riflessi precisi ed univoci. Basta seguire un po' i dibattiti parlamentari per averne quotidiana conferma: sopravvive la retorica anti-tasse ma, in economia, la lotta contro le liberalizzazioni, la concorrenza e l'apertura dei mercati, vede tutto il centrodestra schierato in prima linea. Il passaggio dal liberismo al protezionismo è avvenuto non per errore, per una scelta di mercato politico-elettorale che forse, nelle intenzioni del Cav. avrebbe dovuto drenare lo scontento diffuso di un elettorato smarrito, mentre ha finito per rinchiudere il centro-destra in un perimetro ristretto ad una visione anti sistema, se non anti occidentale, comune in Europa soprattutto ai movimenti della destra nazionalista.

Parisi è il primo ad ammettere che a un centro-destra potenzialmente competitivo oggi mancano all'appello milioni di elettori delusi e diffidenti dei suoi attuali equilibri. Ma la ragione di questa diffidenza non dipende dalla rissosità e dalle divisioni delle forze politiche che compongono la compagine post-berlusconiana, bensì dall'esclusione prima programmata e poi realizzata di chiunque non fosse interessato o disponibile a sposare una linea deliberatamente estremista in senso antiliberale. A mancare all'appello, insomma, sono milioni di liberali e moderati che trovano ridicolo immaginare di rilanciare la crescita del Paese proteggendo le sue imprese e i suoi lavoratori dalla concorrenza internazionale o cancellando la riforma Fornero o il Jobs Act.

Pur con qualche eccezione, inoltre, lo schieramento che Parisi intende rimettere in carreggiata per le prossime politiche si è battuto contro il riconoscimento delle unioni civili con parole durissime e richiamando indefinite ma comunque pericolose "derive antropologiche". Sulla legalizzazione della cannabis, di cui si discute ormai come tema politico ovunque, si è ufficialmente raccolto attorno a un'opposizione proibizionista senza se e senza ma, con la brillante eccezione dell'on. Antonio Martino. Sul tema dei rifugiati l'unica risposta politica ammessa è quella delle ruspe e dei muri, che si accompagna all'indignazione per l'accordo con la Turchia che non garantirebbe i diritti basilari dei profughi: ricordo sommessamente che nell'accordo Berlusconi-Gheddafi, da questo punto di vista, non fu possibile nemmeno inserire la riapertura dell'ufficio libico dell'UNHCR. Sul piano internazionale il nemico pubblico numero uno è diventata l'Unione Europea con la cancelliera Merkel (il più longevo e riconosciuto leader del PPE) e domina la retorica della riconquista della sovranità anche monetaria, mentre all'atlantismo è andato sostituendosi come punto di riferimento il leader russo Putin (in attesa di Trump?), e non solo per Salvini. Il garantismo resta vivo per Berlusconi e per altre questioni mediatiche, ma altrimenti si invocano pene sempre più severe e si esclude perfino di discutere di indulto e carceri.

Nel bipolarismo che sempre più si profila nella politica occidentale, quello tra "aperto" e "chiuso", di cui parliamo da oltre un anno e che sta sostituendo il discrimine novecentesco destra-sinistra, il fronte a cui Parisi si rivolge e che si candida a rappresentare si situa sempre in quello della chiusura. Intendiamoci, è un fronte potente e in crescita ovunque, da Trump a Farage, dalla Le Pen ad Orban e non solo: la chiusura nazionalistica, la retorica contro le organizzazioni multilaterali e gli accordi per il libero commercio, la difesa dei mai ben definiti "nostri valori" (che se fossero quelli cristiani come minimo cozzerebbero con quelli della Chiesa di Francesco sui profughi), l'avversione all'ampliamento dei diritti delle persone omosessuali e l'ostilità al riconoscimento delle famiglie gay, l'illusione che le migrazioni si gestiscano con slogan più o meno xenofobi a anti Islam, l'attacco agli uomini di governo che diventa attacco alle istituzioni, la diffidenza nei confronti della scienza più avanzata.

Vedremo quello che Parisi farà, naturalmente: il No al referendum sembra però finalizzato a compattare il centrodestra così com'è, non a costruire un fronte nuovo in nome della società aperta e di una cultura antagonista a quella trasversalmente prevalente in Forza Italia, Lega e Fratelli d'Italia.

Per questo io penso che quanti non hanno una storia di centrosinistra, ma credono che il futuro migliore per i propri figli si costruisca nel libero mercato dell'Unione Europea sempre più integrata, patria comune di nuovi diritti e antiche libertà; che il tema centrale dei rifugiati non vada cavalcato per qualche voto di (legittima) paura ma gestito con respiro decennale usando risorse e strategie adeguate in chiave europea, e non nazionale; che il commercio internazionale e la globalizzazione distribuiscono le opportunità ma non sono una minaccia per l'Occidente... ebbene, io penso che costoro oggi in Italia non guardino alla ricostruzione dell'attuale centrodestra, nè confidino nella sua miracolosa riconversione liberale, ma vogliano costruire un luogo politico-culturale autonomo nel campo dell'"aperto" contro quello del "chiuso".