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'Esiste la lobby dei petrolieri e quella degli ambientalisti, quella dei malati di cancro e quella degli inceneritori'. Questa frase di Luigi Di Maio, rampante premier in pectore del M5S, ha suscitato una bufera di polemiche e indignazione.

Parlare dei malati di cancro come di una lobby è apparso a tutti indegno, indecoroso, estremamente offensivo. C'è chi ci ha visto, come sottotraccia, una forma di negazionismo nei confronti dell'esistenza del cancro, e chi ha pensato che il vicepresidente della Camera lisciasse il pelo a quella corrente di pensiero che rifiuta le cure farmacologiche anti-tumorali in favore dei rimedi 'naturali'.

In realtà, Di Maio ha detto una cosa giusta ma l'ha detta male. O meglio, lui non poteva dirla bene: dopo anni in cui il suo movimento politico e la sua base culturale hanno strumentalizzato, distorto e denigrato il concetto di "lobby", quel termine gli si è ritorto contro. La retorica stantía contro le lobby e i lobbisti, quasi come sinonimo di corruzione e corruttori, ieri è scoppiata in faccia ad uno dei suoi principali interpreti.

Proviamo a fare chiarezza: cosa è una lobby e cosa s'intende per "fare lobbying"? Il termine è inglese e sta per "loggia", "anticamera". I lobbisti sono quelli che, figurativamente, sostano nell'anticamera delle assemblee parlamentari o degli altri luoghi di potere e attendono i decisori pubblici per offrire il loro punto di vista su un certo tema, su un settore economico, su una questione sociale, sperando che le loro indicazioni e il loro punto di vista possano influenzare positivamente quei decisori.

In un certo senso, fa lobbying chiunque promuove un certo interesse di parte presso le istituzioni pubbliche: i sindacati sono lobbisti dei lavoratori, le associazioni dei consumatori fanno lobbying, Confindustria, Confagricoltura o Coldiretti hanno i loro lobbisti, idem le multinazionali o le piccole e medie imprese; le regioni e i comuni fanno lobbying quando provano a influenzare a loro favore la legislazione nazionale.

In questo senso, per tornare ai casi di Di Maio, i petrolieri sono una lobby come gli ambientalisti di Legambiente o di Greenpeace: nel recente referendum sulle trivelle, ad esempio, si scontravano posizioni e interessi economici di una lobby contro un'altra. Interessi parziali nei confronti dei quali i policy-maker devono provare a mediare, nell'interesse generale, prendendo posizione.

Tutto questo è sano, fisiologico e finanche positivo: è illusorio pensare che il "legislatore" - quel soggetto indefinito e sacrale di cui parlano i manuali di diritto - si muova in uno spazio vuoto e asettico, come se fosse un'entità onnisciente. Le "lobby" hanno conoscenze specifiche, settoriali e particolareggiate di cui le istituzioni pubbliche hanno fortemente bisogno nella costruzione delle norme e nella valutazione delle loro conseguenze.

E dunque, sono una lobby anche i malati di cancro? Ci sono numerose associazioni a tutela degli interessi dei malati e dei loro familiari: giustamente, fanno pressione per il prezzo e la disponibilità dei farmaci, s'interfacciano con il Ministero della Salute o con l'AIFA, organizzano campagne di sensibilizzazione, tutelano e promuovono i bisogni di milioni di persone affette dal male del secolo. Fanno un'azione legittima, sacrosanta e benedetta: fanno lobbying in favore di chi ha bisogno di leggi migliori, di risorse, di ricerca scientifica, di opportunità di cura.

Nelle democrazie avanzate e adulte (e nel contesto UE), l'attività dei gruppi di pressione e interesse è disciplinata in modo chiaro e "laico", in nome della trasparenza e della parità di accesso alle istituzioni. In Italia il pregiudizio e la connotazione negativa data al termine e al mestiere del lobbista hanno spinto la politica nostrana a far la cosa che sa fare meglio: niente. E così intorno all'erba buona del lobbying sano è cresciuta a dismisura la malapianta dei faccendieri, dei millantatori, dei corruttori in cerca di corrotti, in un groviglio inestricabile in cui ad essere danneggiata è la credibilità delle istituzioni pubbliche e delle loro decisioni.

Forse l'incidente accaduto a Di Maio dovrebbe servire da lezione a tutti, al M5S e a tutte le formazioni politiche. Avere un approccio pragmatico nei confronti dell'azione delle lobby aiuterà a salvaguardare la politica, le istituzioni e l'interesse primario dei cittadini. I veri lobbisti non hanno paura della trasparenza, dei registri pubblici in cui segnarsi e in cui registrare gli appuntamenti che prendono e con chi li prendono. Accettare che l'interesse di Legambiente non è "moralmente" superiore a quello di Assopetroli, ma che tutti hanno ragioni e argomenti, aiuterà il Paese a vivere con meno emotività e più razionalità.

Riconoscere che le associazioni di tutela dei malati di cancro fanno lobbying, cioè promuovono i bisogni e le necessità dei malati stessi, significa osservare la realtà della democrazia per quella che è: una competizione tra interessi, un confronto tra esigenze diverse, una costante e inevitabile tensione "di mercato".

Quando non farà più scalpore affermare che anche i malati di cancro sono una lobby, dunque un gruppo di interesse che cerca e trova il dialogo con le istituzioni come tutti, forse accetteremo anche il secondo pezzo della questione, quel che Di Maio non osa ancora citare: il finanziamento privato alla politica, inevitabile e sacrosanto in democrazia. Ma di questo parleremo alla prossima gaffe.