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Ieri il governatore della Banca d’Italia ha deluso le aspettative di chi sperava di ascoltare nella sua relazione annuale un’autocritica al sistema di vigilanza di Via Nazionale o quanto meno proposte concrete su come affrontare l’enorme incognita dei crediti deteriorati (valutati in circa 200 miliardi, di cui 90 di sofferenze bancarie).

Visco si è limitato a ribadire la posizione ufficiale di Bankitalia, secondo cui il problema non andrebbe sopravvalutato, perché gran parte di quei prestiti è coperta da accantonamenti e garanzie reali, perché con le nuove regole sull’assegnazione stragiudiziale degli immobili dati in garanzia dalle imprese i tempi medi di recupero dei crediti si ridurranno e perché, pur con risorse limitate, il fondo Atlante svolgerà un’azione positiva nell’attrarre acquirenti dei crediti in sofferenza.

Troppo ottimismo da parte di Visco? Ci auguriamo di no, ma temiamo di sì, perché in fondo il vero incaglio del sistema del credito italiano è rappresentato dalle zoppicanti condizioni dell’economia reale. Finché questa non riparte, e non di qualche zero virgola, difficilmente il sistema bancario italiano potrà essere al riparo.

Le riflessioni del Governatore hanno spaziato dal contesto internazionale a quello interno, dalla politica monetaria europea alla politica fiscale italiana, ma l’elemento centrale è lo stesso: l’economia dell’area euro – e quella italiana in particolare – si trova tra Scilla e Cariddi, esposta tanto ai rischi di una domanda estera debole (pesa su tutto l’incertezza sull’economia della Cina e degli altri paesi emergenti) che a quelli di una domanda interna stagnante. Insomma, sta svanendo l’illusione coltivata negli anni passati secondo cui un “aggancio” della ripresa mondiale sarebbe stato sufficiente a far ripartire produzione e occupazione italiana.

Proprio all’economia nazionale Visco ha ovviamente dedicato la parte fondamentale del suo intervento. Le ricette non sono inedite: il contenimento del debito pubblico, troppo grande per non esporre l’Italia ad ogni possibile soffio di vento; la riduzione del cuneo fiscale sul lavoro; il rilancio degli investimenti pubblici mirati, anche e soprattutto in infrastrutture immateriali; la rimozione degli ostacoli all’attività d’impresa derivanti dai fenomeni di illegalità, dalle inefficienze della PA e della giustizia civile, da limitazioni alla concorrenza e dalla scarsa disponibilità di incentivi all’innovazione, alla ricerca e allo sviluppo del capitale umano. In definitiva, misure atte ad innalzare la capacità di crescita dell’economia, il suo output potenziale.

Da qualsivoglia parte si osservi la questione, comunque, il più grande ostacolo all’implementazione di ricette di questo tipo è il coraggio della politica di compiere scelte di “redistribuzione”: per ridurre il carico fiscale sul lavoro, bisogna comprimere la spesa pubblica; per ampliare i margini della concorrenza e dunque dell’accesso al mercato di nuovi operatori economici, bisogna ridurre le rendite di posizione esistenti. Su queste due grandi questioni, il governo Renzi sta mostrando le stesse difficoltà degli esecutivi che lo hanno preceduto: sia il piano di revisione della spesa che il ddl Concorrenza si sono sostanzialmente arenati, perché troppo forti sono le resistenze parlamentari, politiche e pubbliche.

Un aspetto saliente della relazione di Visco è stata la critica mossa all’impalcatura bancaria europea: l’assenza di un periodo transitorio prima dell’entrata in vigore delle nuove regole di gestione dei fallimenti bancari (il cosiddetto bail-in) e il mancato completamento dell’unione bancaria, in particolare per l’assenza di un sistema europeo di garanzie sui depositi. Un approccio condivisibile, se non fosse stato accompagnato da questo concetto: “L’esperienza internazionale mostra che, a fronte di un fallimento del mercato, un intervento pubblico tempestivo può evitare una distruzione di ricchezza, senza necessariamente generare perdite per lo Stato, anzi spesso producendo guadagni. Andrebbero recuperati più ampi margini per interventi di questo tipo, per quanto di natura eccezionale”.

In sintesi, a pochi mesi dall’introduzione del principio del bail-in, la salvaguardia dei contribuenti rispetto alle crisi bancarie, Bankitalia chiede all’Unione Europea di tornare sui suoi passi. Come questo possa poi rendere più agevole la creazione dell’unione bancaria, non è dato sapersi. Ahinoi, come ha scritto Phastidio.net commentando questo passaggio delle Considerazioni Finali, “un bel capro espiatorio lo si trova sempre, nella vita”.