Renzi Mattarella grande

A poco più di un anno dalla sua elezione a Presidente della Repubblica, dopo essersi dedicato con successo alla spending review del Quirinale, Sergio Mattarella dovrà prepararsi ad assumere un nuovo ruolo e a rispolverare i suoi personali abiti di politico e di costituzionalista.

Il suo predecessore Giorgio Napolitano ci aveva abituato, soprattutto dal 2011 fino alla fine del suo mandato, ad una presenza forte della figura del Capo dello Stato nelle vicende politiche quotidiane, e anche nelle scelte dell’esecutivo, quasi a voler determinare una rivendicazione costituzionale della superiorità dello Stato rispetto al governo. Le cancellerie europee e occidentali avevano trovato in Giorgio Napolitano un interlocutore stabile e autorevole, e persino figure di innegabile spessore internazionale come Mario Monti ed Enrico Letta sembravano, per certi versi, “accompagnate” a rappresentare l’Italia in una sorta di semipresidenzialismo dolce.

Con la scalata a palazzo Chigi di Matteo Renzi, e la sua strategia determinante sull’elezione senza particolari patemi di Sergio Mattarella, le cose sono tornate nel recinto formale e sostanziale della repubblica parlamentare, con un Capo di Stato attento ma discreto e un governo con amplissimi spazi di manovra a disposizione, forte anche di una maggioranza parlamentare sufficientemente rassicurante.

Renzi, con la sua personalità straripante, aiutato da un’opposizione disorganizzata e da una squadra di ministri totalmente devota, ha letteralmente monopolizzato la scena politica e mediatica, apparendo sicuro, forte, deciso, determinato e persino infallibile; il tempo e l’appeal toscano gli hanno consentito di raccogliere simpatie e rispetto anche fra i leader europei, fino all’approvazione dell’ultima legge di stabilità.

Da quel momento in poi qualcosa si è incrinato: il timore dell’insufficienza degli sforzi riformatori del governo, e l’incubo di un nuovo vortice speculativo sull’Italia, i cui conti pubblici tornano ad essere oggetto di preoccupazione, hanno portato prima l’UE e poi i leader dei paesi membri a guardare all’Italia con rinnovato sospetto. La politica interna e lo stato di salute del governo in verità non hanno risentito molto di queste nuove “attenzioni” estere, anzi, un Renzi battagliero con l’Europa – qualche volta in salsa troppo salviniana – cominciava addirittura a piacere ad alcuni suoi detrattori.

Il “caso Banca Etruria” era ormai un virus presente, ma tutto sommato sotto controllo, e abbastanza lontano da scadenze elettorali delicate; il “caso Guidi” invece no, è diverso e, senza entrare nel merito, ha tutti gli ingredienti che nella sua ricetta Renzi non voleva mettere: uno scandalo, la magistratura, interessi privati dichiarati, un impatto emotivo sull’intero paese, un impatto reale su alcune comunità locali, una pericolosa prossimità al referendum e alle amministrative, un’iniezione di adrenalina per le opposizioni interne ed esterne e, infine, un campanello d’allarme per il Colle.

A Sergio Mattarella non sfuggirà l’indebolimento consistente della compagine di governo con le dimissioni del capo di un ministero chiave come quello dello sviluppo economico, e sarà lui a dover verificare che il nuovo inquilino di Via Veneto sia una persona, come si dice, “al di sopra di ogni sospetto”; probabilmente sarà lui a dover rassicurare, nelle prossime settimane, i leader internazionali, politici e finanziari, sulla stabilità italiana; potrebbe chiedere a Renzi quel “tagliando al governo” che da più parti si chiede; sarà sicuramente lui a richiamare i poteri dello Stato, magistratura e governo, all’equilibrio e alla reciproca collaborazione; avrà presumibilmente, in qualità di capo delle forze armate, un ruolo diverso e più visibile rispetto all’evoluzione della delicatissima situazione libica; dovrà cominciare a tirare le somme dei suoi certamente approfonditi studi di quella che potrebbe essere la nuova Costituzione, e magari cominciare a lanciare dei messaggi in vista del referendum d’autunno.

Dopo aver terminato i lavori al Quirinale, Mattarella potrebbe mettere dunque mano a palazzo Chigi, e lui, si sa, è un capomastro d’altri tempi, con i capelli bianchi e che parla sottovoce; un uomo del sud con riferimenti culturali chiari e con una dedizione costituzionale che forse, fino ad oggi, sulle sponde dell’Arno non è stata adeguatamente misurata.