La scorsa settimana Il Foglio ha pubblicato un lungo saggio in tre puntate intitolato "No Euro" del professor Giovanni Guarino, classe 1922, già insegnante di Giorgio Napolitano e Mario Draghi, insomma uno dei più illustri esponenti della dottrina del diritto pubblico. Il saggio è lineare, dettagliato e argomentato. Guarino sottolinea, con trattati e legislazione europea alla mano, quello che chiama il "Golpe dell'Euro". Questa volta però non si sconfina nel complottiamo grillino o nel nazionalismo col petto gonfio: nessun attacco alla Merkel, per semplificare, ma una compiuta rilettura storica dell'introduzione della moneta unica nel Vecchio Continente.

monete euro

Guarino sottolinea come l'Euro oggi in circolazione abbia natura diversa rispetto alla moneta immaginata e poi sancita nei Trattati. Nel 1999, con una procedura che Guarino definisce nulla e quindi illegittima, un regolamento europeo (il 1466/97) avrebbe cambiato i parametri dell'introduzione della moneta unica, passando da un'impostazione economica volta alla crescita ad una tutta centrata solo sul pareggio di bilancio e quindi fortemente limitante per le singole politiche economiche degli Stati membri. Scrive Guarino:

All'obiettivo dello sviluppo è sostituito un risultato consistente nella parità del bilancio a medio termine. Gli stati, secondo il Tue, avrebbero conseguito l'obiettivo, valutando nella propria autonomia i limiti, le condizioni e le strutture del proprio paese. Il grado di conseguimento sarebbe stato necessariamente diverso da paese a paese, e per ciascun paese di anno in anno. Il risultato che il regolamento sostituiva all'obiettivo avrebbe dovuto invece essere eguale per tutti i paesi e in tutti gli anni per ciascun paese. Se le strutture o le condizioni monetarie non avessero consentito di conseguire la crescita, la politica economica dello stato ne avrebbe tenuto conto. All'opposto, nella disciplina del regolamento, se strutture o condizioni avessero ostato alla realizzazione del "risultato" della parità, si sarebbero dovute modificare le strutture e incidere sulle condizioni, non si sarebbe potuto venire meno all'obbligo perentorio della parità nel bilancio. Un totale capovolgimento, dunque, nel rapporto tra moneta e realtà. Secondo il Tue, se vi è contrasto, è la gestione della moneta a doversi adeguare alla realtà. Secondo il regolamento, è la realtà che deve adeguarsi alla moneta.

Alla luce di quel peccato originale ci troveremmo oggi con un'economia europea più debole e con una moneta che ha sostanzialmente danneggiato tutti. I Paesi economicamente meno robusti avrebbero subito effetti depressivi dalla moneta unica, mentre quelli più forti sarebbero stati rallentati nello slancio.

La riflessione di Guarino allarga le proprie vedute anche al di là dei puri aspetti economico-monetari per concentrarsi sulla questione istituzionale. Il docente di diritto pubblico scrive di una Unione Europea "robotizzata", prigioniera di formalismi giuridici, procedure, schiava di una burocrazia che perpetua il proprio potere attraversa la mera esecuzione di operazioni dettagliate da un corpus normativo alieno alla dialettica parlamentare. Il "golpe" su cui Guarino argomenta è l'esproprio che la Commissione ha fatto agli stati nazionali, non tanto della loro sovranità monetaria, quanto della capacità di incidere, in termini decisionali, sulla politica economica domestica e sulla governance europea. Il giurista sintetizza così l'idea:

In ciascuno degli stati membri viene cancellato il diritto-potere di ciascuno di essi di influire sulla crescita con le proprie politiche economiche, i loro cittadini non hanno alcuna possibilità di influire sugli obblighi cui il proprio paese, quindi essi stessi vengono assoggettati.

L'espressione è forte e traduce con eleganza un'insofferenza spesso avvertita in tutti i Paesi dell'Unione monetaria. Quello di Guarino è un saggio tanto per europeisti convinti quanto per agguerriti euroscettici. Costringe i primi ad una riflessione sull'Europa intrisa di responsabilità, mancanze, malfunzionamenti e forzature mentre porta i secondi a focalizzarsi in un confronto che non può solamente sfociare nella protesta ortodossa, facilona, lucrosa politicamente, ma che deve scontrarsi con una realtà nella quale la distruzione totale può provocare danni ben peggiori dell'attuale immobilismo. Nella parte finale del saggio il professore indica la via di una democratizzazione e semplificazione dell'Unione Europea solo attraverso una modifica dei Trattati tanto per la questione monetaria tanto per quella istituzionale. La soluzione è un passaggio obbligato attraverso il confronto democratico, culturale e politico prima che tecnico e costituzionale.

Più che una prescrizione quella di Guarino è un guanto di sfida all'èlite dell'Unione Europea, che sembra poter avere una valenza ancor più profonda in Italia. Il Paese è preda da oltre un anno di un litigio permanente sulle istituzioni europee. Da un lato le sortite di Berlusconi contro la Germania di Angela Merkel e la maledizione all'Euro impressa da Grillo, dall'altro un europeismo rigoroso, ma non suffragato da sufficiente forza riformatrice di chi si è dato il cambio a Palazzo Chigi negli ultimi due anni come Mario Monti ed Enrico Letta. Lo stesso schema si riproduce nei talk show con un preoccupante ammontare di tesi preconcette, facilonerie e volontà d'indirizzare la rabbia della crisi verso un colpevole ben preciso oppure nel tentativo goffo di difendere Bruxelles a prescindere senza esprimere chiaramente né una visione dell'Europa politica né una piattaforma programmatica che dia sufficiente forza contrattuale per cambiare le regole sui tavoli europei. In questo stallo politico e culturale un giurista novantenne oggi costringe tutti, con questa lettura, a pensare e ragionare sulla questione europea che oggi rappresenta simultaneamente la sfida ed il pericolo maggiore per tutta la classe dirigente continentale.

E' una lettura che fa bene, perchè fondata sulla ricerca minuziosa, sulla logica del ragionamento, sullo sviluppo di uno spazio ampio in cui dispiegare il pensiero rispetto ad un problema vittima di tifoserie, luoghi comuni, pressappochismo, slogan e tweet. E' un omaggio alla complessità infinita di quest'epoca, che rende sempre più faticoso alla politica europea immaginare se stessa diversa da quella che è oggi e fare i conti con la propria storia, la propria responsabilità e soprattutto con la propria futura sopravvivenza.