ignaziomarino

Al di là dei limiti caratteriali che gli vengono attribuiti, e che sarebbero all’origine delle continue - e gravi - leggerezze che oggi gli costano la poltrona, ad aver compromesso irrimediabilmente il rapporto tra Ignazio Marino e il suo partito è la fine di una illusione, ovvero la pretesa che a Roma, dopo la parentesi di Alemanno, tutto potesse ricominciare come prima.

Per decenni a Roma è stato garantito il minimo sindacale della funzionalità amministrativa al costo di concessioni sempre più grandi all’apparato pubblico capitolino e a quello delle partecipate che gestiscono i servizi essenziali della Capitale, dai trasporti all’energia ai rifiuti. E’ la forma stessa di questa città, in cui il pubblico impiego è l’unico settore davvero rilevante per numero di addetti, ad avere permesso il dispiegarsi di questo ricatto al quale la politica si è volentieri adeguata, venendone ripagata in termini di consenso e potere. E non solo consenso e potere: qualcuno ricorda più la penosa vicenda - che risale a prima di Marino, ma anche a prima di Alemanno - dei biglietti falsi stampati negli scantinati dell’ATAC, una vera e propria contabilità parallela i cui proventi finanziavano politica e partiti di diverso colore?

A Roma sono finiti gli anni ’90, e con loro sono finite le risorse che finanziavano questo patto di potere, l’unico possibile per governare Roma senza passare attraverso le forche caudine di un conflitto sindacale devastante. La pace sociale a Roma si paga in moneta sonante, come dimostra la storia del salario accessorio, una parte della retribuzione dei dipendenti pubblici legata alla produttività, progressivamente trasformata in una componente fissa degli stipendi: da 66 milioni di euro spesi dal comune per questa voce nel 2008 ai 345 nel 2013, in piena epoca Alemanniana. Ma la pace sociale si può comprare solo finché ci sono i soldi per farlo, ed è stato il governo lo scorso anno a chiedere la restituzione di quelle risorse indebitamente versate, come condizione per salvare Roma dalla bancarotta.

Marino, con le sue ingenuità, ha potuto recitare la parte del perfetto capro espiatorio, ma questo non toglie che chiunque si troverà ad amministrare Roma dovrà dimostrare di essere in grado di fare meglio di Ignazio Marino, alle condizioni date, che fino a prova contraria sono le stesse di Ignazio Marino. "Non è politica, è Roma", recitava il suo slogan elettorale. 

Sarà un bel problema per il prefetto Gabrielli, incaricato di riportare a Roma una pace sociale e una qualità amministrativa sufficiente a non far travolgere a primavera il partito del Presidente del Consiglio dal voto di protesta, qualsiasi forma questo voto potrà assumere. E sarà un problema anche per qualunque “Dibba” dovesse arrivare a governare la città: ritrovare un’impossibile coerenza tra una narrazione che attribuisce esclusivamente alla voracità della classe politica le ragioni del declino di Roma, e una realtà che dice chiaramente altre cose. Sarà interessante vedere come gli amministratori prossimi venturi fronteggeranno gli scioperi-nonscioperi che dalla scorsa estate stanno paralizzando i trasporti romani, o le proteste dei vigili urbani in difesa dei loro privilegi criminogeni, o come riporteranno nelle strade quel minimo di pulizia e decoro che l’AMA non è in grado di garantire.

Roma oggi avrebbe bisogno di un Mario Monti, qualcuno in grado di sacrificare la propria popolarità sull'altare del Bene Comune - quello vero, non quello il cui significato è stato frainteso e svilito dalla retorica stracciona e populista sui beni comuni in voga da qualche anno a questa parte. Qualcuno che abbia la volontà politica di - e una maggioranza politica sufficiente a - affrontare il problema dell'ipertrofia dell'apparato pubblico e parapubblico romano nell'unico modo in cui andrebbe fatto, attraverso un sostanziale ridimensionamento quantitativo, costi quel che costi. Ma le elezioni sono a primavera, ed è quindi molto probabile che la saggezza politica di lungo periodo verrà sacrificata - negli scarsi limiti del possibile - all'opportunismo di piccolo e piccolissimo cabotaggio.

@giordanomasini