Hollande valls

Tra qualche giorno scopriremo finalmente il contenuto del nostro disegno di legge di stabilità per il 2016. Dopo le numerose anticipazioni e indiscrezioni dell'ultimo mese sapremo finalmente se la promessa riduzione delle tasse ci sarà, quanto varrà e chi ne beneficerà. Si taglieranno le imposte sulla casa, il cuneo fiscale, oppure entrambi? E poi, ci sarà finalmente un consistente taglio della spesa pubblica corrente? In attesa di vedere se gli interventi veri saranno all'altezza delle promesse, forse può essere istruttivo dare un'occhiata a quello che stanno facendo oltralpe.

In Francia il progetto di legge finanziaria per il 2016 è stato presentato dal governo lo scorso 30 settembre. E non è propriamente entusiasmante. O almeno così verrebbe da dire, leggendo le voci aggregate di entrate, spese, deficit e debito pubblico. Il governo di Manuel Valls ha messo in cantiere tagli di tasse e tagli di spesa piuttosto modesti. Interventi che a conti fatti paiono di piccolo cabotaggio, soprattutto se rapportati ai livelli raggiunti dalla pressione fiscale e dalla spesa pubblica.

Le entrate fiscali in Francia sono al 44,6 per cento del PIL. La spesa pubblica al 55,8 per cento. Ebbene, la manovra del governo prevede un calo di appena un decimo di punto percentuale per la pressione fiscale, che andrebbe al 44,5 per cento. Praticamente, una bazzecola. E prevede di ridurre la spesa pubblica di poco più di mezzo punto, portandola al 55,1 per cento. Un po' più degno di nota è l'obiettivo fissato per il deficit pubblico: nel 2014 ha chiuso al 4 per cento del PIL e nel 2015 dovrebbe rimanere poco sotto, cioè al 3,8 per cento. Per l'anno prossimo viene previsto in discesa al 2,7 per cento. Cioè finalmente sotto il tetto del 3 per cento dopo oltre dieci anni.

Un dato non certo buono arriva invece sul fronte del debito pubblico, che a quanto pare continuerà a salire anche nel 2016. Dal 96,3 per cento al 96,5 per cento.

Le previsioni sull'andamento dell'economia parlano di una crescita pari a 1 per cento quest'anno e a 1,5 per cento l'anno prossimo. Secondo l'Haute Conseil de Finances Publiques (HCFP), si tratta di obiettivi raggiungibili ma non del tutto “prudenti”, soprattutto alla luce degli avvenimenti di fine estate, che hanno fatto presagire un nuovo rallentamento per l'economia mondiale e una nuova fase di turbolenza dei mercati. Peraltro, sempre l'HCFP ha sottolineato che i tagli alla spesa pubblica preventivati dal governo sono ambiziosi. E che potranno essere conseguiti soltanto per mezzo di un controllo strettissimo sull'andamento della spesa primaria. Ipotesi che non trova grande conforto guardando l'andamento passato della stessa spesa.

Insomma, in Francia, una legge finanziaria che si potrebbe definire all'insegna della sclerosi. In Italia è il caso di aspettarsi di meglio, date le condizioni della finanza pubblica e della politica? Staremo a vedere.

Tornando alla Francia, la legge finanziaria per il 2016 è l'emblema di una situazione altrettanto sclerotizzata, e che con molta probabilità condurrà il debito pubblico a sfondare quota 100 per cento del PIL nei prossimi anni. Lo scenario è tutt'altro che peregrino, visto che in Francia, nell'arco di 15 anni, il rapporto tra debito pubblico e PIL è cresciuto di oltre 40 punti percentuali passando da meno del 60 per cento a quasi il 100 per cento. Il deficit pubblico è sopra il 3 per cento da più di dieci anni, e ha toccato punte di oltre il 7 per cento.

Sarebbe piuttosto grave se il paese dovesse entrare nel pieno della campagna elettorale per le presidenziali del 2017 con una economia che ristagna e il debito sopra il 100 per cento del PIL. Una situazione tutt'altro che facile per il partito socialista. Il presidente in carica è praticamente azzoppato e difficilmente rieleggibile. Secondo alcuni sondaggi, appena il 20 per cento dei francesi vorrebbe rivederlo nuovamente all'Eliseo. Se le finanze pubbliche veramente deteriorassero, magari con eclatanti down-grading da parte delle agenzie di rating, anche l'ipotesi della candidatura di Manuel Valls, che in questo momento parrebbe la soluzione ideale, ne uscirebbe appannata. Così l'attuale primo ministro sarebbe costretto a presentarsi all'elettorato proponendo una svolta. E quale potrebbe essere quella svolta, se non una opposizione ancora più decisa alla linea tedesca dell'austerità? Insomma, nello scenario più estremo, la Francia si trasformerebbe in una sorta di Grecia di "alto bordo”.

In fondo, è chiaro che a tenere insieme la vecchia Europa di Maastricht è il QE della BCE. È il QE a calmierare i rendimenti dei titoli pubblici nell'eurozona, e a tamponare la spaccatura tra i PIIGS e i paesi nordici con la Germania in testa. Ma non può durare ad libitum. E senza il QE, al primo scossone la divergenza tra gli spread metterebbe subito in chiaro quali sono i paesi che possono ancora restare nell'euro e quali, invece, non vi possono restare. Il peso della Francia è a quel punto potrebbe essere decisivo e conferire al fronte mediterraneo la massa critica necessaria per imprimere uno scossone alla attuale configurazione dell'unione monetaria. E in mancanza di una vera convergenza sul fronte delle politiche economiche e sulla rinuncia all'austerità da parte dei paesi virtuosi, l'unico sbocco potrebbe essere proprio l'euro a due velocità.