degasperschumanadenauer

Cosa avrebbero pensato Konrad Adenauer, Robert Schuman e Alcide De Gasperi del teso e drammatico vertice europeo dell’altra notte? Avremmo dovuto spiegare loro i tecnicismi del gergo comunitario, convincerli che la “troika” non ha nulla a che fare con il Partito Comunista dell’Unione Sovietica, ma nei loro occhi avremmo probabilmente letto più serenità che preoccupazione. Appena pochi decenni fa, un incontro tra i primi ministri di diciannove o di ventotto paesi europei sarebbe stato un rarissimo momento di politica estera, oggi è una prassi quotidiana.

I tre padri dell’integrazione europea si sarebbero chiesti come ci siamo ficcati in una pasticciata unione monetaria senza strumenti di compensazione fiscale. Tuttavia, avrebbero senza dubbio pensato che un mondo in cui il cancelliere tedesco e il presidente francese discutono animatamente in una riunione notturna a Bruxelles sulle condizioni di un piano di salvataggio fiscale della Grecia, in cui un polacco intima loro di non lasciare la stanza e questi accettano e alla fine firmano, è comunque un mondo migliore di quello da loro vissuto nel secolo scorso. Un tempo per i toni aspri e accusatori che l’ex premier liberale belga Guy Verhofstadt ha usato al Parlamento Europeo nei confronti di Tsipras, la Grecia avrebbe convocato l’ambasciatore belga, aprendo una crisi diplomatica tra paesi. Cose che peraltro accadono frequentemente in giro per il pianeta.

Come in una guerra, viviamo alla giornata, tra notizie in arrivo dal fronte ellenico e risposte dal fronte nordico: Tsipras troverà una maggioranza che gli voti il piano? Il parlamento finlandese approverà l’accordo? Ma qui non ci sono eserciti contrapposti e non c’è minaccia bellica, non una goccia di sangue è stata versata, c’è poca diplomazia e moltissima comunicazione pan-europea. E’ politica interna, ormai, non più politica estera: questa è la grande, straordinaria conquista dell’Europa.

Serve l’ottimismo della ragione, non il pessimismo umorale, per superare le difficoltà del nostro tempo. Il disfattismo affascina e riempie la bocca di tanti, ma per quanto sia inefficiente e sbilenca, l’Unione Europea è ancora la cosa migliore che il Vecchio Continente abbia prodotto dopo la vergogna delle guerre mondiali. Urge ora una nuova prospettiva, un salto di qualità che faccia percepire ai cittadini europei tutti, da Helsinki ad Atene, quanto sia prezioso lo spazio civile europeo: la libertà di circolazione di persone e merci, la libertà di stabilimento, l’essere uniti contro le minacce esterne, la contaminazione positiva degli uni con gli altri sulle grandi libertà individuali e civili.

Lo stallo e il quasi-default del negoziato tra Grecia e Ue non nasce solo dalla crisi di fiducia (legittima) nel governo greco della gran parte dei paesi dell'eurozona e dagli esiti di un referendum intriso di ideologia e autolesionisticamente ostile agli interlocutori dell'Ue. Nasce in primo luogo da un cortocircuito di pretese nazionaliste e di riserve nazionali alla possibilità di superare in avanti - e non all'indietro - la fragilità politica e finanziaria dell'eurozona. Per tenere insieme una visione europea dei rapporti politici dentro e tra gli stati membri non basta la BCE di Draghi. Peraltro, sarebbe anche sbagliato pensare che tra i Paesi fondatori sia la Germania il paese più incline al riflusso nazionalista. Basta dare un'occhiata ai sondaggi elettorali per capire che Parigi e Roma sono messe molto peggio di Berlino.

Il fallimento della via “istituzionalista” – quella dei trattati siglati in pompa magna e poi bocciati dagli elettori perché artificiali – dovrebbe consigliare che l’unica strada per il rilancio dell’integrazione europea è la Politica. E’ forse giunto il momento che le grandi famiglie politiche europee decidano di partecipare direttamente alla vita democratica dei diversi Paesi dell’Unione, diventando partiti transnazionali e non semplici aggregati, buoni per formare gruppi al Parlamento Europeo ma non per esprimere leadership e visioni.

I governi nazionali e le istituzioni comunitarie dal profumo tecnico non avranno mai la legittimità di “fare l’Europa”. Occorrono nuovi “imprenditori” politici, leader capaci di scavalcare le forme e l’intermediazione dei governi e dei mezzi d’informazione nazionali e capaci di rivolgersi direttamente ad un pubblico europeo. Adenauer, Schuman e De Gasperi erano tutti esponenti cristiano-democratici: condividevano una visione politica, la loro iniziativa non era solo una sintesi tra diversi interessi nazionali. Di questo ha bisogno l’Europa: di visioni politiche, di partiti paneuropei, di leader transnazionali. Siamo matti a pensarlo, ma solo i matti fanno le rivoluzioni.