tsipras eurogruppo

Le crisi debitorie degli stati si ripetono con regolarità, non sono un fatto nuovo o eccezionale. Un autore fantasy scriverebbe che in ogni era, da qualche parte del mondo, scoppia una crisi del debito. Si ripetono secondo uno schema tutto sommato costante e si concludono sempre, o quasi, nella stessa maniera: lo stato debitore va in default. Semplicemente, non paga il proprio debito. Tutto qua.

Nella seconda metà degli anni '80 mi capitò di ascoltare alla radio l'economista John K. Galbraith parlare della crisi debitoria che aveva investito alcuni paesi dell'America Latina, tra cui Brasile e Messico. Non ho mai dimenticato il modo sintetico, e soprattutto franco e diretto, con cui rispose al giornalista che gli domandava spiegazioni sulle cause. Galbraith, senza peli sulla lingua, disse semplicemente “tutto questo succede quando banchieri insensati fanno prestiti insensati a governi insensati”.

Forse questa è la lettura più onesta e super partes da dare oggi alla tragedia economico-finanziaria della Grecia. L'opinione pubblica, e anche molti tra i commentatori più esperti, continua inutilmente a dividersi tra “complottisti” e “giustizieri”. Continua a dividersi tra chi sostiene che i soldi prestati alla Grecia non sono andati ai cittadini bensì alle banche, quelle banche tedesche e francesi a cui sarebbe stata data priorità su tutto e su tutti, e chi, al contrario, dice che i greci hanno ricevuto un atto di solidarietà dai partner europei dietro l'impegno a fare le riforme. E perciò quei soldi li debbono restituire, costi quel che costi. Non ne fanno più neppure una questione economica, quanto di moralità del debitore.

Questa diatriba tra complottisti e giustizieri, come quella tra anti-austerity e pro-austerity, resterà senza vincitori ne vinti. Perché, ancora una volta, proprio come in un tragedia, siamo burattini intrappolati dal meccanismo generatore delle crisi che si ripete inesorabile nel corso della storia. Forse anche questa volta, semplicemente, banchieri insensati hanno fatto prestiti insensati a governi insensati.

Insensati i banchieri perché hanno nuovamente dimenticato cos'è veramente il “rischio sovrano”. Si sono illusi di poterlo gestire con l'aiuto di pochi, sintetici indicatori e con le previsioni elaborate dai loro amici economisti. Si sono sentiti protetti dallo strapotere dei mercati finanziari, e così hanno dimenticato che il rischio sovrano è legato non tanto alla capacità economica quanto, in ultima analisi, alla volontà “del sovrano” di restituire i soldi che gli sono stati prestati. Quando si prestano i soldi a entità come gli stati, il riferimento al mercato e ai rapporti tra un normale creditore e un normale debitore c'entrano poco. Il rapporto con il debitore diventa inevitabilmente un rapporto con il potere politico. E il potere politico, dinanzi alle difficoltà, cerca sempre di rivendicare la propria autonomia e il proprio “primato”. Anche nei confronti dei mercati.

Hanno dimenticato che è una scelta temeraria ostinarsi a prestare soldi a un debitore così grosso che precipita nell'insolvenza (come era chiaramente la Grecia già nel 2010). Si evitano le perdite di oggi in cambio di perdite più gravi domani, e  queste perdite, com'è puntualmente avvenuto, poi vengono scaricate sulla fiscalità generale. È un'illusione credere che il debitore uscirà dalla spirale, che lo si potrà spremere fino all'osso, togliergli anche le mutande per costringerlo a ripagare i debiti. Perché alla fine non c'è moralità che tenga. E spesso il debitore le mutande non se le toglie proprio per niente, specialmente se si tratta di uno stato sovrano.

Hanno dimenticato la storia della Grecia e dei numerosi default che ha prodotto negli ultimi duecento anni. A partire dai debiti accesi per finanziare la guerra di indipendenza dall'impero ottomano nel diciannovesimo secolo. E poi quelli concessi da alcuni importanti governi europei per aiutare il paese a crescere. La Grecia per molti decenni fu tagliata fuori dai mercati finanziari internazionali. Nel 1893 venne addirittura creato un comitato internazionale per la gestione del debito greco, cosa che somiglia molto alla proposta odierna di costituire un fondo di garanzia (controllato dalla Troika!) nel quale confluirebbero i proventi delle privatizzazioni greche. Poi ancora un default nel 1932. L'insolvenza e il contenzioso si protrassero fino al 1964, pochi anni prima del colpo di stato dei colonnelli. E oggi eccoci di nuovo al punto di partenza, con nuovi leader e nuovi banchieri, tutti belli, tutti carismatici, tutti rigorosamente esperti di finanza, ma completamente digiuni di storia. O forse si sono illusi che “questa volta sarebbe stato diverso”. Illusi che this time is different, come è intitolato un lavoro di C. Reinhart e K. Rogoff. Se non è insensatezza questa!

Insensato è stato l'enorme flusso di prestiti fatti allo stato greco dall'ingresso nella moneta unica, cresciuti a dismisura fino allo scoppio della crisi finanziaria nel 2008. Prestiti fatti a uno stato senza nemmeno porsi la domanda: “dove vanno a finire i soldi?”. Non voglio entrare ora nel dettaglio dei numeri, ma credo che guardando i conti pubblici della Grecia nel periodo del governo di centro destra di Karamanlis i banchieri e gli investitori internazionali avrebbero dovuto accorgersi che i soldi investiti nei titoli sovrani di quel paese finivano in spesa pubblica corrente, o tuttalpiù in investimenti privi di reali ricadute sull'economia produttiva. In teoria, i grandi, sofisticati banchieri, non dovevano avere bisogno dell'annuncio di Papandreou nel 2010 per rendersi conto del disastro verso cui correvano i conti della Grecia.

Insensati sono i governi degli stati moderni, perché rendono insostenibili i sistemi di welfare. Sistemi ispirati a principi astratti di equità e solidarietà, condivisibili in astratto, ma che nelle modalità di attuazione si rivelano difficili da gestire. Alla fine diventano strumenti di consenso politico e di gestione del potere. Insensati i governi perché fanno debito per finanziare spesa pubblica corrente, alimentando una falsa crescita drogata a fini di consenso politico ed elettorale.

Se c'è una lezione da trarre, ancora una volta, dalla tragedia greca, essa non riguarda l'esistenza di complotti, né la moralità degli stati o dei popoli debitori. La lezione è che ai governi non dovrebbe essere consentito di coprire la spesa corrente emettendo titoli di debito pubblico. Il debito pubblico si fa per finanziare veri investimenti pubblici. Questa golden rule dovrebbe essere scritta nella costituzione di tutti gli stati.

Non so se questo succederà mai. In ogni caso, non in questa epoca, che credo destinata a finire male. Ancora una volta, this time is not different.