Nei panni di Tsipras e Varoufakis
Istituzioni ed economia
Oggi i greci sono chiamati a esprimersi sugli accordi con la Troika, sulle nuove misure di rigore finanziario richieste per accedere ai finanziamenti e a un nuovo piano di salvataggio. Il referendum, indetto a sorpresa dal governo greco appena una settimana fa, con le trattative in extremis ma ancora in corso, ha messo Tsipras e Varoufakis su un banco degli imputati, spaccando in due l'opinione pubblica mondiale.
In Italia c'è chi li considera quasi una leggenda e chi li mette praticamente alla berlina. In un modo che, più o meno, riflette le opinioni che hanno alimentato e continuano ad alimentare il dibattito “austerità no, austerità sì”.
Appoggiano Syriza quanti spingono per un cambiamento della politica economica europea, quelli che vorrebbero abbandonare il rigore finanziario in favore di una impostazione più espansiva dei bilanci e della spesa pubblica. Credono ancora nel progetto dell'euro, ma sognano una Europa più “sociale” (per non dire socialista), ispirata a principi di solidarietà tra i paesi e i popoli. Sperano che la “resistenza” di Tsipras alla fine abbia la meglio contro l'atteggiamento iper-rigorista della Troika. Appoggiano Tsipras anche gli euro-scettici. Quelli che vorrebbero vedere non solo la Grecia ma anche il nostro paese fuori dall'unione monetaria. Pensano che la democrazia sia diventata schiava sotto il giogo della moneta unica. Che solo uscendo dall'euro i popoli si riapproprieranno della sovranità monetaria e di bilancio per uscire dalla crisi.
Le critiche più aspre a Tsipras vengono soprattutto dagli economisti, quelli che sostengono la tesi della cosiddetta “austerità espansiva”. O da quanti pensano, semplicemente, che i greci debbano fare la loro parte di sacrifici dopo essere vissuti troppo sopra le proprie possibilità. Sacrifici che fino a oggi i greci hanno cercato di eludere. Chi è schierato su questo fronte considera ideologica la posizione del governo greco, la sua strategia campata in aria e destinata a scontrarsi con le “leggi” dell'economia e della finanza. Raffigura il ministro dell'economia greco come un giocatore di poker che bluffa senza avere niente in mano. E dall'alto delle proprie competenze accademiche (rigorosamente circoscritte all'accademia), giudica Tsipras e Varoufakis alla stregua di due matti che vorrebbero negare la forza di gravità.
Si tratta di posizioni che hanno poco a che fare con la realtà, ormai. Il dibattito “austerità no, austerità sì” e la diatriba accademica su quale sia la ricetta più giusta per risolvere la crisi del debito e dell'economia in Grecia, c'entrano poco con la trattativa e con il referendum. Le ricette degli economisti contemplano un finale positivo per la crisi greca. I keynesiani dicono che per conseguirlo deve cessare l'austerità. Gli altri dicono che bisogna insistere con il rigore finanziario e le riforme strutturali. Gli esiti della trattativa, le decisioni politiche e gli interventi che seguiranno, quali che essi siano, invece, non contemplano nessun lieto fine.
Il referendum non riguarda il futuro dei greci. È piuttosto una scelta su come i greci vogliono chiudere un pezzo del loro passato. Dal risultato del voto dipende solo il modo in cui deve essere scritto l'ultimo capitolo di una storia con un esito già stabilito. Dopo di che, il futuro è terra ignota.
Sia dentro l'euro, sia fuori dell'euro, ciò che aspetta la Grecia è una ulteriore e pesante riduzione degli standard di vita dei cittadini. Questo potrà avvenire rapidamente, se vince il No e c'è subito l'uscita dalla moneta unica. Cosa che, peraltro, lo stesso governo greco esclude quando afferma che in caso di vittoria del No ci sarebbe lo stesso un nuovo accordo entro 48 ore. Oppure, questo potrà avvenire gradualmente, ma inesorabilmente, in un paese condannato a non crescere per molto tempo ancora, e al quale vengono imposte altre misure di austerità.
Fino a oggi la Troika ha finanziato ben due piani di salvataggio per quasi 250 miliardi di euro. Il debito greco è stato già ristrutturato una volta, con un haircut di oltre il 50 per cento a carico dei creditori privati. E nonostante questo enorme impegno, nella migliore delle ipotesi, cioè se la Grecia rispettasse tutti gli impegni, al 2020 il suo debito sarebbe del 120 per cento del PIL. Insomma, siamo di fronte a un paese che dopo anni di sacrifici si ritroverebbe comunque “in mezzo al guado”.
L'austerità pura e semplice non porta da nessuna parte. E le riforme strutturali possono ben poco in una economia praticamente priva di un vero settore industriale, fondata principalmente sul turismo e sul commercio. Peraltro, le riforme strutturali si sono dimostrate politicamente difficili da realizzare non solo in Grecia ma anche in altri paesi europei, se non a prezzo di pesanti conseguenze sugli equilibri sociali. Molti le chiamano “riforme a costo zero”, ma pochi precisano che si tratta di costo zero per la finanza pubblica, non certo per chi viene investito direttamente dalle misure. Tanto per fare un esempio, persino i tassisti francesi, non solo quelli italiani, si oppongono a innovazioni importanti come UBER, e reagiscono sfasciando le vetture dei concorrenti. Come si può pensare che in Grecia le accettino senza battere ciglio?
In questo finale già noto, i crediti vantati dalle istituzioni europee e internazionali andranno semplicemente in fumo. Perché è chiaro che la Grecia, dentro o fuori dalla moneta unica, non sarà mai in grado di onorare i propri impegni con i creditori. Il danaro dei contribuenti europei speso per la Grecia è stato il prezzo da pagare per traghettare un paese tecnicamente fallito. Nel tentativo di allontanarlo il più possibile da una posizione potenzialmente disastrosa per tutti, e fare in modo che il suo “trapasso” sia meno doloroso per la moneta unica e per gli altri paesi dell'area.
Inutile perdere tempo per capire se c'è stato un punto di non ritorno. Un momento prima del quale questo esito tragico non era ancora “scritto”, prima del quale la crisi avrebbe potuto essere gestita e con risultati positivi. Forse hanno ragione quanti ritengono che quel momento non c'è mai stato, che la Grecia non sarebbe dovuta entrare nella moneta unica ab origine, e che le ragioni che ne spinsero l'ingresso non sono il risultato di teorie, analisi e argomentazioni economiche, quanto piuttosto il portato di logiche geopolitiche. Le stesse che oggi impongono la permanenza del paese nell'euro, a costo di farne uno zombie finanziario.
L'economia greca al momento può sopravvivere soltanto come periferia sussidiata. Esiste un nuovo e più ampio Mezzogiorno del continente europeo. Perciò, non è nemmeno vero che con il referendum la Grecia riconquista la propria democrazia e riprende in mano il proprio destino, perché in un mondo fatto sempre più di (pochi) centri e (molte) periferie, la Grecia può solo scegliere di quale centro essere periferia.
Il governo greco fino a oggi non ha trattato con la Troika presunte ricette economiche alternative, bensì le condizioni e il prezzo per rimanere attaccato alla mammella dell'Europa. La scelta non è tanto su cosa fare per uscire dalla crisi con ricette economiche. Piuttosto l'alternativa è se affrontare subito i costi di una uscita dall'euro, smettere di fare la periferia dell'area euro e andare a gravitare nell'area economica e politica di Putin, oppure accettare le condizioni della Troika, evitare i costi di una uscita dalla moneta unica ma sopportare quelli legati alle misure di austerità. Sono due costi che, come confermano anche i sondaggi sul referendum che danno il Si e il No testa a testa, grosso modo ormai si equivalgono.
Non ha importanza se al referendum vinceranno i No oppure i Si. Se l'accordo con la Troika si farà, nuovi prestiti verranno concessi allo Stato greco - il Fondo Monetario Internazionale parla di almeno altri 50 miliardi di euro e di un ulteriore taglio del debito del 30 per cento! Ma anche in questo caso non passerà molto tempo prima che un nuovo governo dovrà confrontarsi con i cittadini greci, gravati da una austerità senza prospettive di crescita. Allora alla Grecia si riproporrà la stessa questione di oggi: morire subito o proseguire da zombie per un altro po'.
Forse la posizione di Tsipras e Varoufakis andrebbe giudicata con meno furore ideologico, meno presunzione accademica e con un po' più di comprensione e di compassione.