Il caso Cipro Nord. Le ragioni per un riconoscimento
Istituzioni ed economia
Si è svolto pochi giorni fa il secondo turno delle elezioni presidenziali nella Repubblica Turca di Cipro Nord. Il presidente uscente, il "conservatore" Dervis Eroglu, dopo essere arrivato in testa dopo il primo turno, è stato sconfitto, in modo abbastanza netto, dallo sfidante Mustafa Akinci. Akinci è un indipendente di orientamento progressista, favorevole a politiche di integrazione e di distensione con la parte greca dell'isola: tra gli obiettivi nel suo programma ci sono l'apertura di nuovi valichi tra Nord e Sud, la costituzione di una rete telefonica unica per Cipro e l'individuazione di formule che consentano ai turco-ciprioti di partecipare alle competizioni sportive internazionali.
Il nuovo presidente è un sostenitore dei diritti delle donne e si è detto contrario a ogni tipo di discriminazione, incluse quelle sull'orientamento sessuale. Nel complesso non male per un politico musulmano. Rispetto al più filo-turco Eroglu, Mustafa Akinci ha detto di voler intrattenere con la Turchia rapporti "fraterni" ma paritetici, in quanto ritiene che i turco-ciprioti debbano "camminare con le proprie gambe".
L'elezione di Akinci e quindi il cambio della guardia a Lefkosa (Nicosia-Nord) offre uno spunto di riflessione sulla questione cipriota e sulla condizione dei cittadini del piccolo Stato turco-cipriota. Come è noto, la Repubblica Turca di Cipro Nord non è internazionalmente riconosciuta, se non dalla Turchia, e questo fa sì che da quarant'anni sopravviva in uno stato di isolamento non solo diplomatico, ma anche economico, con evidenti riflessi sulle sue potenzialità di sviluppo.
La vivacità politica di Cipro Nord e la moderazione del suo elettorato sono elementi che dovrebbero far riflettere la comunità internazionale ed in primo luogo l'Occidente sull'opportunità di riconsiderare l'approccio che in questi decenni è stato tenuto nei confronti dello Stato turco-cipriota. Tanti progetti ambiziosi, sotto il patronato delle Nazioni Unite e più recentemente dell'Unione Europea, sono stati presentati nel tempo per "risolvere" la questione di Cipro; tuttavia la loro astrazione rispetto ai sentimenti delle due comunità coinvolte ne ha sistematicamente compromesso la riuscita.
L'esito de facto è sempre stato uno solo, il "no" secco alla normalizzazione dei rapporti con la Repubblica Turca di Cipro Nord.
Eppure la negazione sic and simpliciter della legittimazione internazionale per lo stato turco-cipriota non rende giustizia alla complessità della questione cipriota. Le ragioni storiche a Cipro non stanno tutte da una parte, e perpetuare la clandestinità di Cipro Nord vuol dire non riconoscere le responsabilità greche e greco-cipriote nella rottura dell'equilibrio etnico nell'isola, dall'azione delle milizie dell'EOKA, all'espulsione dei turco-ciprioti dalle istituzioni politiche nel 1964, fino al colpo di Stato dei fascisti greci nel 1974 mirante a dichiarare l'"enosis", cioè l'unificazione di Cipro con la Grecia. Quest'ultimo evento fu quello che scatenò l'intervento militare della Turchia, peraltro avviatosi in un quadro di legalità, in quanto Ankara operò nell'ambito delle prerogative assegnatele dal "Trattato delle garanzie" che era stato alla base dell'accesso turco all'indipendenza.
Naturalmente i critici della Turchia puntano il dito sul fatto che l'intervento turco non rimase nell'ambito previsto dal Trattato, poiché non fu mirato al ripristino dello status quo ante, bensì all'instaurazione di un nuovo assetto de facto basato sulla partizione dell'isola, che fu poi istituzionalizzato nel 1983 con l'autoproclamazione della Repubblica Turca di Cipro Nord.
In ogni caso, anche accettando un vizio di legalità nella nascita di Cipro Nord, è legittimo chiedersi quante generazioni di turco-ciprioti debbano pagarne la responsabilità. Ci sono ormai alcune evidenze che è difficile negare. Innanzitutto è un fatto che da quarant'anni esistono a Cipro due soggetti istituzionali separati e mutualmente indipendenti, entrambi con il pieno controllo del proprio territorio.
È poi un fatto che in questi quarant'anni la Repubblica Turca di Cipro Nord sia stata governata secondo standard decorosi di rispetto dei diritti civili e delle libertà democratiche. Nei confronti della repubblica turco-cipriota non sono applicabili le accuse di autoritarismo che vengono portate a paesi come la Transnistria o la Novorossiya. Cipro Nord è una democrazia e non solo in termini nominali. È una democrazia dell'alternanza in cui chi governa può perdere le elezioni e quando succede si ritira ordinatamente.
Addirittura le ultime tre elezioni (2005, 2010 e 2015) si sono concluse tutte con vittorie dell'opposizione e quindi con cambi di governo. È un pattern che avvicina Cipro-Nord più alle dinamiche politiche dei paesi europei che a quella della stessa Turchia, un paese dove la forza dell'incumbency è nettamente maggiore. Il livello di competizione democratica della politica turco-cipriota è evidenziato dal fatto che al primo turno delle presidenziali di quest'anno il voto sia stato particolarmente distribuito, con ben quattro candidati in grado di superare il 20%.
Il referendum del 2004 sul Piano Annan per la riunificazione di Cipro su basi confederali ha offerto un'altra prova della maturità e dell'apertura dell'elettorato turco-cipriota e del suo rifiuto di posizioni di nazionalismo estremo. I greco-ciprioti ed i turco-ciprioti furono chiamati ad approvare separatamente ma contemporaneamente il piano delle Nazioni Unite, ma l'esito del voto fu opposto nelle due parti dell'isola. I greco-ciprioti bocciarono l'accordo con una schiacciante maggioranza del 72%, mentre i turco-ciprioti lo approvarono con una maggioranza del 65%.
L'Occidente non ha in alcun modo ricompensato la "buona volontà" dimostrata da Cipro Nord ed ha continuato a perpetuare il suo isolamento. Invece la repubblica greca di Cipro che ha detto no al Piano è stata "premiata" con l'ingresso nell'Unione Europea e nell'Euro.
In questo contesto, continuare a considerare i ciprioti del Nord come dei paria appare una scelta priva non solo di pragmatismo ma anche di umanità. La questione non è quella di far entrare Cipro Nord nell'Unione Europea, ma più semplicemente quella di riconoscere pienamente la Repubblica Turca di Cipro come una nazione tra le nazioni. La possibilità per i turco-ciprioti di stabilire normali relazioni diplomatiche e commerciali è vitale per la praticabilità economica del paese, incluso lo sviluppo del turismo. Nell'attuale assetto infatti sussiste persino un embargo nei confronti degli aeroporti e dei porti della Repubblica turco-cipriota che fa sì che essa possa, nei fatti, essere raggiunta solo dalla Turchia.
Non è un mistero che il costituzionalismo occidentale cerchi in ogni modo di evitare di confrontarsi con i tabù dell'autodeterminazione e della secessione, nel timore che si inneschino contagi e reazioni a catena. Tuttavia, nel caso di Cipro Nord, questo tipo di approccio conduce da decenni la diplomazia a ragionare su un "mondo parallelo", completamente divaricato dalle realtà di fatto che si sono consolidate.
La situazione è per certi versi ironica. Ci troviamo in una fase in cui l'Occidente è alla disperata ricerca di un "islam moderato" ed è spesso costretto, di fronte all'avanzare dell'integralismo più aggressivo, ad attribuire tale etichetta anche a regimi che sono ben lontani dal meritarla. Ebbene in questo momento una realtà come quella turco-cipriota, anziché essere mantenuta in un limbo, dovrebbe essere considerata come una risorsa estremamente preziosa, come la prova pratica - non solo l'enunciazione teorica – che un altro Islam è possibile, un Islam secolare e compatibile con il modello occidentale di libertà e di democrazia.
La via maestra dovrebbe essere quella del riconoscimento della Repubblica Turca di Cipro Nord e della sua integrazione, non tanto politica, quanto culturale ed economica con l'Europa. Peraltro, tra i vantaggi che porterebbe con sé l'accesso di Cipro Nord nel consesso internazionale ci sarebbe anche la diminuzione della sua dipendenza – al momento inevitabile – da Ankara. Se già oggi la politica turco-cipriota si connota per un orientamento più progressista e plurale rispetto a quella della "madrepatria", un pieno riconoscimento consentirebbe a Cipro Nord un'emancipazione culturale e politica ancora più marcata– e questo sarebbe per molti versi una benedizione, data la brutta china sulla quale si è avviata la politica turca nell'ultimo decennio.
Appare meno convincente, invece, l'ipotesi della riunificazione di Cipro. Se tutti i tentativi in tal senso compiuti in questi quarant'anni sono andati in fumo è perché non sussistono obiettivamente le condizioni perché greco-ciprioti e turco-ciprioti possano convivere in un'unica unità statuale. Le due comunità hanno sempre vissuto come due nazioni separate ed il tentativo di far loro condividere il governo del paese in condizioni di power-sharing è fallito già nel 1964, dopo solo quattro anni di indipendenza dalla Gran Bretagna. Gli eventi successivi hanno contribuito ad accumulare ulteriori ragioni di ostilità tra le due comunità che sarebbe molto complicato poter ricomporre in un patto che possa soddisfare entrambe le parti.
Peraltro, per quanta enfasi possa essere posta sul carattere "confederale" di una nuova Cipro, è pressoché certo che una riunificazione aprirebbe fin dal primo giorno vari fronti di conflitto tra le due comunità – dal probabile boom di cause di "risarcimento" per gli espropri determinati dalla partizione su base etnica del 1974, fino allo status degli immigrati che dalla Turchia si sono insediati a Cipro Nord nel corso degli anni.
Al di là dei sogni illusori di alcuni "internazionalisti", la storia recente ha dimostrato l'intrinseca inefficienza ed instabilità degli Stati multinazionali. Cipro non farebbe eccezione; è molto più pragmatico ritenere che greco-ciprioti e turco-ciprioti possano convivere pacificamente fianco a fianco in due Stati, due nazioni e due democrazie.
Ad oggi la principale argomentazione contro il riconoscimento di Cipro Nord è quella che tale passo comporterebbe un avallo dell'esito dell'intervento militare turco, ma più passa il tempo più questa argomentazione invecchia, rispetto alle ragioni cogenti maturate in questi decenni della comunità turco-cipriota.
Forse è davvero il momento di abbandonare preconcetti e posizioni ideologiche e di accettare la nascita di un nuovo Stato in Europa.