Milano grattacieli

Imprevedibile e sorprendente. Non gli aggettivi che avrei usato due giorni fa per descrivere le decisioni prese in sede europea, ma la storia di come sia andata la scelta della nuova sede (Amsterdam) dell’EMA, l’agenzia europea del farmaco, forse mi ha fatto ricredere. Dopo i commenti a caldo, nutriti di sbigottimento riguardo l’uso della monetina per risolvere lo spareggio finale (forse erano meglio i rigori o una partita a briscola?), delusione e rabbia per l’occasione mancata, ecco alcuni brevi spunti di riflessione da aggiungere all’inutile dibattitto tutt’ora in corso.

 

Milano ne esce bene…

E questo è innegabile, dopo aver seguito da vicino tutte le fasi del processo di selezione. La città non era affatto favorita in partenza, non aveva costruito un dossier eccellente (era alquanto carente persino nella grafica), non era la preferita dai dipendenti EMA (risultava al 5* posto nelle preferenze individuali) e la candidatura era stata presentata in un clima generale di pessimismo cosmico all’italiana (salvo poi scomparire quando si è trattato di capitalizzare politicamente la sconfitta). Milano è stata considerata alla pari di altre metropoli europee a dispetto dell’Italia, e non grazie ad essa.

Certo l’attività di lobbying del Ministero degli Esteri è stata fondamentale per ritrovare sorprendentemente la città in uno spareggio che nessuno aveva previsto, ma l’impressione generale è che ci sia più di questo. Milano negli ultimi anni, dopo che per decenni ne era stato previsto il declino, è tornata a giocare un ruolo forte sullo scenario europeo. È una città con una solida reputazione internazionale, un posto dove investire e che funziona, un luogo con concrete possibilità di sviluppo e crescita. Un’isola il cui quadro stride contro un panorama nazionale piuttosto desolante, con una reputazione continentale rovinata da anni di incertezza politica, dalla sempre più evidente incapacità di riformarsi e tornare ad essere competitivi, e naturalmente dall’arrogante atteggiamento della classe politica italiana nei confronti dell’UE.

Viene quindi da pensare se questo non sia stato poi il motivo strutturale ultimo per cui Milano non ha saputo concentrare più sostegno intorno alla sua candidatura dopo la seconda votazione, se vogliamo provare ad andare oltre all'infantile questione della monetina. In tutto questo sarebbe necessario capitalizzare al meglio ciò che questo processo di selezione può insegnarci. Una Milano aperta, ricca ed europea può ritornare ad essere il traino dello sviluppo e dell’innovazione, anche politica, di questo paese, oppure trasformarsi inesorabilmente in una specie di città-stato incapace di creare un vero e tangibile impatto a livello nazionale e continentale.

 

… l’UE molto meno

A livello europeo invece il quadro è abbastanza desolante. “So much for EU equality” questa è stata la reazione che i più hanno captato tra i commenti dei leader dei paesi dell’Est Europa, che naturalmente si aspettavano di più dagli eventi di ieri. Diciamocelo chiaramente, tutti si aspettavano che ci sarebbe stata una convergenza su Bratislava. Le parole di alcuni mesi fa di Junker riguardo il principio che l’UE è composta da “equali, che siano membri piccoli, grandi, dell’Ovest, dell’Est, del Nord o del Sud”, avevano fatto sperare, nelle cancellerie “periferiche” dell’Unione, in un segnale di apertura e di maggior rispetto verso i membri più recenti.

Invece no. L’impressione generale, al netto delle polemiche italiane sulla monetina, è che si sia deciso a livello europeo che le spoglie della Brexit debbano rimanere nelle attraenti e potenti mani dei paesi dell’Europa nord occidentale. Praga, Varsavia, Bratislava e Budapest hanno tutte reagito in termini simili. Riassumendo i commenti a caldo, si è avuta la sensazione che il principio a cui si era accennato negli ultimi mesi, quello di bilanciamento geografico della governance europea, sia stato tradito. E ciò si è tradotto anche in reazioni espresse chiaramente durante le votazioni. In un’aria decisamente diventata pesante dopo la seconda votazione, ha commentato per Politico uno dei presenti, tra sorrisetti e facce molto serie, il rappresentante della Slovacchia ha preso la decisione unilaterale di astenersi negli ultimi turni di voto, portando così allo spareggio tra Amsterdam e Milano.

Insomma, se ci si aspettava una reazione di apertura e compromesso, dopo mesi di muro contro muro tra i paesi Visegrad e l’UE, questo non è avvenuto. Anzi, con la vittoria di Amsterdam (e di Parigi per quanto riguarda l’EBA) si consolida e prende forza la sensazione che il sud e l’est del continente siano considerati solo periferie rispetto ad un nucleo rigido e piramidale di paesi egemoni concentrati sulla valle del Reno. Ci dobbiamo aspettare quindi un aumento diffuso dell’insofferenza nei confronti di una governance considerata ormai sempre più sorda e distante dai turbolenti confini dell’Unione, soprattutto se questa decisione continuerà ad essere usata da certa politica per capitalizzare in settori sempre più insoddisfatti dell’opinione pubblica.

 

E il Regno Unito?

Chi davvero risulta sconfitto, a addirittura non pervenuto, è il regno di sua maestà britannica. In un contesto di sempre maggiore irrilevanza, il Regno Unito comincia ad osservare in silenzio e impotenza quell’inesorabile processo che è stato chiamato Brexodus. No going back, è questo il messaggio che più chiaramente è stato lanciato durante le decisioni di ieri, in cui Londra ha dovuto dire addio alle due agenzie che ancora la legavano al mercato unico e all’UE. Poiché non dimentichiamo, tutto il processo finito ieri, voto e monetina compresi, è cominciato proprio a causa della unilaterale decisione britannica di lasciare l’Unione nel 2016. Il segretario David Davis che, confermando la percezione nostra sull’enorme distanza tra il governo inglese e la realtà, aveva accennato alla possibilità per le agenzie europee di restare nella capitale, dovrà ricredersi e tornare di buon ordine a Downing Street a mani vuote, perché la vittoria di Amsterdam e di Parigi segna davvero l’inizio della fine del ruolo europeo di Londra.

E chissà ora quante compagnie e uffici europei di banche internazionali seguiranno l’EMA e l’EBA in uno dei più accoglienti lidi, Parigi e Francoforte in primis, provvisti soprattutto dei famigerati passport rights, ovvero il diritto per una banca di operare in tutti i paesi della Ue senza bisogno di avere una licenza in ciascuno di essi. Sicuramente l’immagine anche solo percepita delle migliaia di dipendenti delle lucrative agenzie europee che si trasferiscono oltre-manica convincerà ancora di più CEO e consigli di amministrazione che la Brexit è reale e avrà un serio impatto sulle prospettive di crescita e sviluppo del Regno Unito. Riuscirà il governo di Theresa May a tamponare e fermare l’emorragia o la diga ha definitivamente cominciato a cedere?