La "lotta alla pirateria" portata avanti dalle major dell'editoria è, in realtà, una disperata battaglia per ostacolare e mettere fuori legge la concorrenza. Una sorta di luddismo al contrario, in cui le grandi aziende, incapaci di rinnovarsi, si aggrappano a quel che resta del loro monopolio, cercando di chiudere fuori il progresso.

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Spesso la società giudica diversamente due soggetti che si comportano in maniera simile perché percepisce diversamente il loro ruolo: in genere, questo è dovuto al fatto che uno dei due soggetti ha potere economico e l'altro no. Alcuni artigiani e operai specializzati, nell'Inghilterra dei primi anni del XIX secolo, presero l'abitudine di distruggere macchinari e capitale tecnico di vario tipo per protestare contro la meccanizzazione dei processi produttivi, che rendeva la loro occupazione superflua e li costringeva a cercare lavoro nelle nuove fabbriche: questo fenomeno, comunemente noto come Luddismo, venne presto soffocato dalla repressione del governo britannico.

Queste persone, osteggiando l'innovazione tecnica invece delle modalità con cui questa era distribuita, combattevano senza saperlo una guerra già persa in partenza. L'economia odierna è caratterizzata da un conflitto strisciante e silenzioso, di cui si parla poco ma che non per questo è meno lacerante, tra i "nuovi luddisti", cioè aziende che producono e vendono utilizzando tecnologie obsolete, e gli innovatori, che cercano di sfruttare i mercati potenziali creati dall'avvento di nuovi metodi produttivi.

Il problema è che, contrariamente ai luddisti, le aziende dell'era analogica hanno grandi disponibilità economiche, che si traducono in enorme influenza sul processo politico e dunque sulla regolazione dell'economia. Le industrie musicali, cinematografica, letteraria e fotografica sono state rivoluzionate dalla diffusione di Internet, che ha distrutto gran parte delle barriere all'entrata presenti in questi settori. I costi che una nuova impresa deve sopportare per entrare nel mercato sono scesi drasticamente e quindi c'è più concorrenza: i prezzi potrebbero diminuire e la quantità di beni in circolazione potrebbe aumentare. Perché il condizionale? Perché il mondo è ben lontano dall'essere perfetto e la concorrenza spesso viene promossa solo quando favorisce la grande impresa.

Oggi le case editrici, cinematografiche e discografiche mantengono una posizione dominante sul mercato grazie all'abuso del copyright e dei brevetti. Questi istituti garantiscono ai loro possessori il monopolio su un certo prodotto, reale o intellettuale. Da qui bisogna partire: il diritto d'autore e i brevetti sono generalmente conosciuti come diritti di "proprietà intellettuale", il che permette di etichettare come "nemico della proprietà" chi li critica. In realtà entrambi sono "diritti di esclusiva" sulla produzione e la vendita di qualcosa, costituendo così un esempio di monopolio, la cui durata continua peraltro ad essere estesa.

La crisi di questi settori viene spesso imputata alla pirateria, che mette gratuitamente a disposizione beni che dovrebbero essere venduti ad un prezzo positivo. D'altro canto non ci chiediamo mai quale dovrebbe essere quel prezzo. Se guardiamo al fenomeno dal punto di vista economico, notiamo che la pirateria altro non è che un concorrente dell'industria tradizionale, un concorrente non autorizzato ma apprezzatissimo, perché fa il lavoro che i monopolisti dell'intrattenimento, per mancanza di incentivi, non vogliono fare. La responsabilità della crisi del settore non è di chi scarica i film da Internet, ma degli editori e delle loro associazioni di categoria, che non hanno mai voluto cambiare modello di business. I prezzi dei prodotti multimediali sono alti anche e soprattutto perché il monopolista, non avendo concorrenti legali, non ha incentivo ad abbassarli. Questo vale per i prodotti virtuali ma anche per quelli fisici: un manuale di economia di media grandezza (500-600 pagine) può costare dai 30 agli 80 euro, nelle copisterie lo si può ottenere illegalmente spendendo circa 20 euro.

In tutti questi mercati, inoltre, l'elasticità della domanda rispetto al prezzo è altissima. L'elasticità è un rapporto tra variazioni percentuali: quando l'elasticità è alta in genere significa che il consumatore non ha un bisogno urgente di quel prodotto e che ci sono tanti produttori. In questi casi una diminuzione anche piccola del prezzo provoca un aumento consistente della domanda e viceversa.

Nel novembre 2013 il prezzo dell'ebook di un romanzo di fantascienza di Rob Reid, pubblicato nel 2012 senza troppo successo e disponibile su Amazon, venne abbassato a un dollaro per qualche giorno dalla casa editrice: il libro finì immediatamente nella best seller list del New York Times di quella settimana. Incredibilmente venne riportato agli attuali 14 dollari e le vendite crollarono alla stessa velocità a cui erano aumentate. Paulo Coelho fece lo stesso nel 2012, portando a 1 dollaro il prezzo di quasi tutti i suoi ebook in vendita su Amazon e ottenendo un aumento delle vendite oscillante tra il 4000% e il 6500%. Si tratta in realtà di una strategia piuttosto semplice, a patto di avere una minima idea del comportamento dei consumatori: già nel 2009 la Valve Software, una casa produttrice di videogiochi, si era accorta che abbassare il prezzo dei propri prodotti faceva aumentare i ricavi: sconti del 10%, 25%, 50% e 75% provocavano rispettivamente aumenti delle vendite del 35%, 245%, 320% e 1470%. Si tratta di dinamiche impressionanti, di cui l'industria non sembra essersi ancora resa conto.

Ci sono poi strategie di pricing più radicali, come quella di Moby, che ha deciso di distribuire il suo ultimo album gratuitamente attraverso BitTorrent, l'azienda che ha creato e aggiorna quello che probabilmente è il programma di file sharing più usato al mondo. La mossa di Moby fa parte di una recente iniziativa lanciata proprio da BitTorrent e chiamata Bundle: un sito dove è possibile scaricare gratuitamente musica e film messi a disposizione dagli autori. È un progetto interessante anche perché mostra che BitTorrent intende legare il proprio nome non più soltanto al download illegale ma anche al download gratuito e legale, scommettendo su un nuovo modo di distribuire arte. Un altro pioniere del settore è Jamendo, un sito che permette di ascoltare e scaricare gratuitamente 425.000 brani disponibili in licenza Creative Commons caricati dagli autori stessi. È disponibile una versione premium a pagamento per chiunque voglia trasmettere la musica in luoghi pubblici. La cosa interessante è che nessuno degli artisti coinvolti è iscritto alle società di raccolta e gestione dei proventi del diritto d'autore: inizia dunque in questi anni il processo di distruzione degli unici intermediari collettivi tra artisti e consumatori, la SIAE e i suoi cugini internazionali. Jamendo è anche tra gli organizzatori dell'EuroMusic Contest, un concerto che punta a fare concorrenza all'Eurovision, il Sanremo d'Europa.

In effetti i musicisti si stanno rendendo conto rapidamente che i servizi di streaming musicale, ostacolati e combattutti per anni dalle case discografiche, sono una grande opportunità per allargare il proprio seguito e per guadagnare dai loro ascolti. Anche nel caso di servizi ormai mainstream come Spotify, sono numerosi i casi in cui artisti indipendenti, che fanno fatica a vendere 100 biglietti per un live, vedono moltiplicarsi vendite e ricavi grazie alla presenza dei propri brani su Internet. Il compositore americano Ben Jordan ha dichiarato di ricavare dal solo Spotify più di quel che ricava da tutti gli altri servizi musicali "tradizionali" e dalla ASCAP (la SIAE americana): molti artisti indipendenti ricevono da Spotify decine o centinaia di migliaia di dollari l'anno, compensi che nell'era analogica i piccoli cantautori potevano solo sognare.

Nonostante un contesto in rapida evoluzione, le major americane continuano a portare in tribunale i propri potenziali clienti, colpevoli di scaricare illegalmente ciò che le stesse major non vogliono offrire sul mercato. RIAA, MPAA, ASCAP, SIAE, FIMI e tutte le associazioni che rappresentano le case produttrici e gli artisti continuano a reprimere la concorrenza senza aggiornare il proprio modello di business e quindi le proprie politiche di prezzo. In certi casi, mentre denunciano a gran voce la violazione di copyright, violano loro stessi le condizioni di utilizzo del materiale artistico che sfruttano per le campagne anti-pirateria.

Nel mondo reale, intanto, i consumatori continuano a chiedere musica, film e libri a prezzi bassi o nulli e con modalità di fruizione moderne: il risultato è che la pirateria, lungi dall'essere stata arginata, negli ultimi anni è cresciuta sensibilmente. I torrent caricati su The Pirate Bay, come riporta TorrentFreak, sono aumentati del 50% nel 2013 rispetto all'anno precedente, arrivando a 2.8 milioni.

Grafico Tondi Piratebay

Se consideriamo poi KickAssTorrent, Torrentz, YTS, IsoHunt, ExtraTorrent, EZTV e tanti altri grandi archivi di torrent, molti dei quali ricevono più di 500.000 visite giornaliere, possiamo farci un'idea delle dimensioni del fenomeno, che non ha origini criminali e non vuole la morte della musica o del cinema. Più semplicemente, punta ad avere prodotti economici e facilmente reperibili, cose che a quanto pare solo i pirati sono in grado di offrire.