Ogm: la commissione UE rimette in discussione il mercato unico
Innovazione e mercato
Dopo la sentenza sul caso di Giorgio Fidenato, è di nuovo la Corte di Giustizia Europea a mettere sotto pressione le autorità comunitarie in merito alle procedure di autorizzazione degli Ogm nell’UE. In questo caso l’alto tribunale ha preso di mira l’atteggiamento dilatorio della Commissione Europea per non aver dato seguito alla richiesta di autorizzazione di una varietà di mais geneticamente modificato, il Pioneer TC1507, presentata ben dodici anni fa.
Da allora l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), ha dato parere favorevole per ben sei volte, ma a questo non è seguito il voto della Commissione necessario per perfezionare l’autorizzazione. Una storia di ordinarie lungaggini burocratiche, sembrerebbe, che in realtà nasconde un problema di carattere politico e giuridico dai contorni inquietanti, e che rischia di minacciare la tenuta stessa del mercato comune. Proviamo a riassumere.
In Europa è autorizzata una sola varietà di mais geneticamente modificato, l’ormai celebre MON810. Gli stati membri che non vogliono permetterne la coltivazione possono chiedere l’applicazione della clausola di salvaguardia, presentando evidenze che dimostrino la sua pericolosità per l’ambiente o per la salute umana. La cosa funziona più o meno così: lo Stato membro, mettiamo l’Italia o la Francia, presenta il suo dossier (regolarmente farcito di evidenze fasulle)e applica contestualmente la clausola di salvaguardia, l’EFSA esprime correttamente parere negativo sul dossier, la Commissione vota contro la clausola di salvaguardia e tutto torna come prima, salvo che nel frattempo il paese membro ha guadagnato qualche anno di tempo, soprattutto grazie ai veti incrociati in Commissione. E poi la giostra riparte per un altro giro.
Perché dunque le cose dovrebbero cambiare con l’autorizzazione di un’altra varietà di mais? Perché finora il gioco funzionava nella misura in cui l’applicazione della clausola di salvaguardia per una varietà significava implicitamente la messa al bando di tutti gli Ogm. L’iscrizione di altre varietà obbligherebbe gli Stati ostruzionisti ad applicare la clausola di salvaguardia per ciascuna di esse, e la cosa sarebbe oggettivamente ben più complicata. Perché mentre alcuni Stati non vogliono gli Ogm tout-court, la legislazione europea ammette solo motivazioni scientificamente fondate, e queste per forza di cose non possono riguardare gli Ogm come categoria a sé.
Per questa ragione, di fronte all’obbligo da parte della Commissione di autorizzare il mais Pioneer entro tre mesi, è ricominciato il pressing nei confronti degli Stati affinché trovino, in seno al Consiglio dell'Unione Europea, un accordo per superare lo stallo. Scrive il commissario alla salute Tonio Borg:
La sentenza del Tribunale in merito al mais 1507 conferma l’urgenza di conciliare norme di autorizzazione europee rigorose e certe in materia di coltivazione di Ogm con la giusta considerazione dei contesti nazionali. Tre anni fa la Commissione ha presentato una proposta, largamente sostenuta sia dal Parlamento sia dal Consiglio, per superare lo stallo riguardo al processo di autorizzazione. Chiedo agli Stati membri di sostenere la proposta della Commissione, in modo che la Presidenza e il Consiglio possano giungere a un compromesso per far avanzare la proposta sulla coltivazione di Ogm.
Tre anni fa, infatti, ci si era trovati di fronte ad un caso analogo, dopo l’autorizzazione di una varietà per uso non alimentare di patata geneticamente modificata. Quando poi la BASF aveva autonomamente ritirato questa varietà dal commercio l’allarme sembrò cessato, e la proposta della Commissione tornò nel dimenticatoio. Di cosa si trattava? Sostanzialmente di ammettere, tra quelle che gli Stati membri potrebbero addurre per vietare gli Ogm sul loro territorio, anche motivazioni di carattere socioeconomico o politico.
Un rompete le righe, in sostanza, che lascerebbe completa libertà agli Stati membri di legiferare in materia. E una grossa crepa nell’impalcatura stessa del mercato unico europeo, dato che una simile deroga costituirebbe un precedente che potrebbe essere utilizzato per porre limitazioni alla commercializzazione di qualsiasi prodotto, anche non agricolo, da parte di ogni paese e per qualsiasi ragione.
Sono in molti, nel mondo delle organizzazioni agricole e non solo, a vedere di buon occhio la resurrezione di barriere interne all’UE intorno alle quali ricostruire un tessuto commerciale sostanzialmente protezionistico. Sarebbe un passo indietro di notevoli proporzioni.