puglisi Copia

Airbnb, Uber, Instacart, la sharing economy… non passa giorno che la chattering class di mezzo mondo non si eserciti nel dire la propria sul fenomeno del momento. Tra le proteste dei tassisti e le controversie circa lo status giuridico dei suoi driver, il grosso degli strali è riservato a Uber, mentre Airbnb è percepita generare situazioni maggiormente win-win per proprietari e ospiti. Nondimeno, di recente anche quest’ultima si è trovata al centro di aspre critiche, da Berlino a Barcellona e persino San Francisco, ma con la notevole eccezione dell’Italia, dove, stranamente, ad oggi non si registrano polemiche eccessive, e certo nulla di paragonabile a ciò che è accaduto all’app delle auto on-demand.

Enter Enrico Rossi. In un breve articolo che già dal titolo esibisce la tipica ossessione di etichettare tutto politicamente, “Airbnb è di sinistra?” - che importa? -, il futuro candidato alle segreteria del PD non risparmia i pezzi migliori del suo repertorio, dall’impiego sdrucciolevole della logica alla collezione completa dei cattivi, il rentier, il capitale (rigorosamente improduttivo, ça va sans dire), le diseguaglianze che si moltiplicano, l’immancabile multinazionale.

Oggetto del contendere è il numero crescente di appartamenti nel centro di Firenze presenti su Airbnb - ad oggi circa 5775 - che, secondo Rossi, oltre ad avere “effetti negativi in termini di sostenibilità ambientale” (problema che evidentemente gli alberghi tradizionali non pongono!), rivelerebbe “i vizi antichi del capitale improduttivo”, “l’inossidabile privilegio della rendita immobiliare”, rinforzatosi nell’alleanza con l’azienda americana, in una pericolosa “commistione di vecchio e nuovo”. Per fortuna c’è la ragione Toscana: se, col “piano del paesaggio”, si “è posto un freno alla rendita alzando un argine allo sfruttamento di suolo”, presto si potrebbe “promuovere e sostenere” nulla meno che una “filiera corta digitale” da mettere in competizione con Airbnb, creando nuovo lavoro e redistribuendo ricchezza.

Non è facile farsi largo tra una simile mole di affermazioni incoerenti, che sembrano nascere più dalla volontà di ripetere ossessivamente parole d’ordine facilmente riconoscibili dal proprio pubblico di riferimento che da quella di ragionare seriamente di sharing economy e dintorni. Rossi si inserisce nella lunga tradizione di politici italiani che quando parlano di rendita davvero perdono la bussola (qui, qui e qui). Per quale ragione fornire un servizio di ospitalità costituirebbe un impiego improduttivo del capitale? Non è forse vero il contrario? Alloggi magari vuoti o poco utilizzati - dead capital, a tutti gli effetti - trovano finalmente il modo di essere sfruttati come “productive capital into the stream of commerce”.

Probabilmente, il punto è che (molti) dei proprietari di queste case sembrano avere rendimenti giudicati interessanti e rendita è soltanto un termine vagamente dispregiativo per indicare qualcuno che guadagna ed esporlo al pubblico ludibrio. Inoltre, ritorni eccessivi sugli investimenti immobiliari nascono laddove esistono limitazioni di varia natura all’offerta, ad esempio zoning law molto restrittive, e, conseguentemente, il dibattito tende a incentrarsi su come rendere più densi i centri abitati, costruendo di più e verso l’alto, non di meno. Magari a Firenze non si può davvero costruire più nulla - ma è una querelle che esiste anche in città europee dalla lunga storia, non solo in America, si pensi a Parigi: vogliamo città museo sempre più costose o città più accessibili anche se il prezzo ne è la (parziale) trasformazione? - ma non è il punto, il punto è un altro: sostenere di voler combattere la rendita impedendo il consumo di suolo, ovvero impendendo nuove costruzioni, cioè offerta aggiuntiva, è da un punto di vista logico l’opposto di ciò che la situazione descritta richiederebbe. Non a caso, in città come San Francisco o New York, sono proprio i rentier - intesi qui propriamente, coloro i quali godono di un extra rendimento dovuto a scarsità artificialmente indotta - che si oppongono alle nuove costruzioni. Ma le stranezze logiche non si fermano qui.

C’è poi il passaggio sulla possibilità di incentivare - par di capire con denari pubblici - un’app italiana che faccia concorrenza ad Airbnb. Pur senza voler commentare la saggezza di una simile allocazione di risorse, vien banalmente da chiedersi: e dove sarebbero sistemati i turisti che utilizzassero la nuova, brillante app? Verosimilmente nelle stesse case che li ospitano adesso, visto che altre non ne esistono, Rossi di costruirne di nuove non vuol sentir parlare e la gente continuerebbe a preferire il centro della città. Dunque? In che modo mai il capitale diverrebbe così meno parassitario ed ozioso e vi sarebbe redistribuzione? Un vero mistero. Anzi, semmai gli si offrirebbero maggiore visibilità e occasioni di guadagno.

In sintesi, che queste siano le questioni che “una sinistra moderna non può evitare di porre in Europa e nel mondo”, noi non sappiamo, anche se speriamo fortemente di no. Esiste la possibilità di giungere a regolare la sharing economy in modo intelligente, ovvero cercando di non gettare sabbia negli ingranaggi dell’innovazione; per farlo, tuttavia, sarebbe necessario prendere le mosse da riflessioni informate e sensate, il contrario di ciò che buona parte della nostra classe politica suole offrirci.

@parigimarco