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C’era una volta Giorgio Fidenato, l’imprenditore friulano che si immolò in una lunga e costosa controversia con il fisco dopo essersi rifiutato di svolgere il ruolo di sostituto di imposta e di raccogliere per lo Stato le tasse dei suoi dipendenti. Un ruolo di corvée per la pubblica amministrazione per il quale le imprese non ricevono in cambio alcun beneficio, ma solo il rischio di incorrere in gravi sanzioni anche in caso di banali errori formali.

Fidenato aveva cominciato a corrispondere lo stipendio lordo ai suoi dipendenti, insieme alle istruzioni per pagare correttamente il dovuto. Non è finita bene, l’imprenditore ha perso la sua battaglia con il Leviatano e da allora l’idea che la pubblica amministrazione possa far svolgere obbligatoriamente ad altri quelle funzioni che - per colpa o per inefficienza - non riesce a svolgere con le sue forze è andata estendendosi sempre di più.

Oggi la cosiddetta “manovrina” prevede che anche i soggetti che operano come intermediatori per gli affitti brevi (case-vacanza, ecc.) siano essi agenzie immobiliari e turistiche o portali online come Airbnb, agiscano da sostituti di imposta per riscuotere in nome del fisco le somme che il fisco stesse non riesce a intercettare. La norma conferma la possibilità della cedolare secca al 21%, ma introduce questa novità che rischia di rivoluzionare - o sarebbe meglio dire “complicare” - la vita dei portali di vacanze. E non è detto che lo Stato da parte sua ne riceva in cambio dei veri benefici.

Alessandro Tommasi, public policy manager di Airbnb Italia, contattato da Strade, sostiene che i problemi cominciano dai tempi e dalle modalità: “i 90 giorni previsti per partire con questo nuovo sistema non sono sufficienti per adeguare una piattaforma di queste dimensioni, queste non sono cose che si improvvisano”. Tommasi lamenta il fatto che non si sia cercata una modalità condivisa, nonostante da parte di Airbnb non ci sia mai stata un’opposizione pregiudiziale, anzi. “Lo facciamo già in moltissime città con la tassa di soggiorno, riscuotendola e versandola nelle casse dei comuni. Per noi - prosegue Tommasi - è un modo di venire incontro alle esigenze dei clienti, di semplificare loro le cose. Si può trovare una soluzione analoga anche per la cedolare, ma è da escludere che sia possibile farlo nei tempi e nelle modalità previste”. Nel caso della tassa di soggiorno, la differenza è che la piattaforma non agisce da sostituto di imposta, ma da semplice agente contabile, attraverso la connessione con i sistemi informatici delle pubbliche amministrazioni: una sorta di procedura semplificata che limiterebbe la responsabilità di Airbnb rispetto alle violazioni dei proprietari e rispetterebbe la privacy dei clienti.

E poi c’è il problema del gettito - si parla di previsioni di 80 milioni di euro già solo per il primo anno di applicazione - sul quale Tommasi è scettico: “che stime ha fatto il governo? La cedolare secca al 21% per gli affitti brevi non è certo una novità, è già in vigore da tempo. La manovra - prosegue - non prevede nessun tipo di incentivo per chi dovesse scegliere di emergere oggi dal sommerso. Chi non lo ha fatto finora perché dovrebbe cominciare proprio adesso? Da dove arrivano quindi stime tanto ottimistiche?” Ma la procedura della riscossione “semplificata” dal sostituto d’imposta non potrebbe essere essa stessa l’incentivo che convincerebbe molti proprietari a cominciare a regolarizzare la propria posizione con il fisco? Anche qui Tommasi ha molti dubbi: “noi siamo una grande piattaforma, ma il grosso delle transazioni avviene comunque ancora fuori dalla rete”.

Invece di condurre queste persone al digitale, con mutuo vantaggio per tutte le parti in causa, si rischierebbe l’effetto opposto: danneggiare le piattaforme come Airbnb, disincentivarne l’uso, proprio a vantaggio del sommerso. Una misura punitiva che non sarebbe un buon affare per nessuno.