Censura e autocensura ‘liberale’. Il nemico interno della società aperta
Diritto e libertà
Da anni, ormai, leggo quotidianamente e condivido i contenuti del blog del sociologo Carlo Gambescia, postati su Facebook. Un appuntamento divenuto, nel tempo, una sorta di rituale, come la lettura dei quotidiani durante una pausa caffè nell'era cartacea.
Ebbene, da qualche giorno questo rituale è interrotto dalla brusca censura di Facebook, che ne rimuove, puntualmente, i contenuti anche dal mio profilo, con astrusi ammonimenti da algoritmo e intelligenza artificiale.
Quali sono i contenuti? Riflessioni di carattere metapolitico e sociologico sulla realtà che ci circonda, nazionale e internazionale, da un punto di vista rigorosamente liberale e filo occidentale. Qual è la ragione di questa censura? Ce lo domandiamo, in pochi (una piccola comunità di lettori su questa piazza virtuale), da qualche giorno.
Senza resipiscenze, con l'avanzare inesorabile di algoritmi e intelligenze artificiali, finiremo per mettere in discussione i principi fondamentali delle liberal democrazie e delle società aperte. E ne abbiamo una conferma. Con un aspetto paradossale: il nemico stavolta non si trova all'esterno ma all'interno. Nascosto nelle pieghe del cyberspazio, col volto coperto dai progressi dell'innovazione tecnologica, che potrebbero segnare il declino dell'umanità e del libero pensiero.
A torto o a ragione, penso che, paradossalmente, il liberalismo non debba temere gli attacchi del pensiero tradizionale.
Si estinguerà, piuttosto, a causa di un virus al suo interno. Ed è, appunto, paradossale che Facebook, gran cassa della cultura woke, applichi queste rigide censure grazie agli ultimi ritrovati della tecnologia digitale.
La crescita esponenziale dell'intelligenza artificiale è, forse, il vero nemico delle società aperte e liberali, quel bug che le rosicchierà al loro interno trasformandole in totalitarismi.
Forse è giunto il momento di conservare le espressioni migliori della nostra civiltà. Diventando, secondo l'auspicio di Edgar Morin, “conservatori rivoluzionari”. Perché se è vero che la nostra civiltà ha un continuo bisogno di trasformazione, senza il controcanto dialettico della conservazione dei suoi miti, dei suoi riti e delle sue tradizioni, rischia di affievolirsi e sgretolarsi.
Non abbiamo assistito alla fine della storia teorizzata da Fukuyama, assisteremo, forse, alla fine del liberalismo. Perché la vita e la realtà, come affermava un grande liberale, sono storia, nient'altro che storia.