don Milani grande

Sull'eredità spirituale di Don Milani si apprezza ancora oggi la differenza tra destra e sinistra. Marcello Veneziani, in un pezzo di qualche giorno fa ricorda il prete di Barbiana a 100 anni dalla nascita come un "cattivo maestro" perché nemico della Tradizione, perché modernista.

Veneziani, di contro, propone l'esempio di professori e presidi di modeste origini che si sono affermati eroicamente utilizzando il "latino", la cultura, contro gli sfaticati e debosciati figli di papà. In questa narrazione il "rivoluzionario" Don Milani sarebbe il distruttore della Scuola e dell'Autorità, che predilige il dialetto alla lingua colta e il livellamento democratico al merito.

L'intellettuale tradizionalista Marcello Veneziani - senz'altro in buona fede - dimentica ciò che a destra si tende a scordare da sempre, a relegare ai margini: la diseguaglianza, l'ingiustizia, la gente comune.

Don Milani non era, infatti, contro il merito, era contro quella Scuola che si ostinava a fare parti uguali tra diseguali. Il prete di Barbiana combattè la sua battaglia contro l'autoritarismo perché dietro il formalismo del "merito" si nascondeva la riproposizione puntuale, scientifica, dello status quo: con "Pierino", il figlio del dottore, formato e pronto in partenza per una Scuola che apprezza solo i già bravi, i già colti, i già competenti e con "Gianni", il figlio dell'operaio, senza "lingua", senza parole, senza apporto culturale familiare, senza speranza di miglioramento e destinato alla bocciatura.

"Lettera ad una Professoressa" è, in tal senso, uno straordinario resoconto statistico: sono i numeri che impressionano nel testo, con le percentuali dei bocciati per "classe sociale": quasi tutti i "Gianni" delle Scuole nell'epoca di Don Milani.

Ecco perché il priore di Barbiana si opponeva alle bocciature per principio, ecco perché chiedeva alle professoresse di rallentare e di occuparsi dei più deboli, ecco perché faceva leggere i giornali in classe, ecco perché voleva che il "latino" - quello utilizzato come strumento di dominio e di coercizione - lasciasse il posto allo studio del Contratto Collettivo dei Metalmeccanici come apertura alla contemporaneità cogente, ecco perché spingeva i suoi ragazzi a divenire "sindacalisti", ad occuparsi della tutela del mondo del lavoro.

Di certo molto è cambiato oggi ma, a ben vedere, i problemi di fondo restano: quali sono le classi sociali che patiscono i grandi numeri italiani dell'abbandono scolastico?

Dove allignano le sacche di povertà territoriale - non solo al Sud - che proiettano nell'oggi italiano l'incubo del lavoro minorile?
Marcello Veneziani, certo, di occupa del caso eccezionale e dimentica il "caso normale", la questione comune, il problema popolare. Si rifugia romanticamente nell'eroismo singolare di chi riesce, in maniera straordinaria, a piegare le regole di una società impietrita a proprio favore, di chi si appropria del "latino" nonostante tutto, contro tutti.

Ma questo, appunto, è solo l'eccezione brillante che conferma - ancora oggi - la triste regola dell'emarginazione sociale. La differenza tra destra e sinistra, dunque, è tutta in una enorme rimozione, nella dimenticanza dei più per l'esaltazione dell'Unico.
Tutto il resto o, meglio, i "resti" sono i reietti da ghettizzare, sono una vergogna, sono la natura invincibile, il destino ineluttabile e la "tradizione" da rispettare, con buona pace del compito repubblicano di rimuovere gli ostacoli sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana (art. 3 Cost.).

Del resto bisognerebbe intendersi su cosa sia lingua corretta. Le lingue le creano i poveri e poi seguitano a rinnovarle all'infinito. I ricchi le cristallizzano per poter sfottere chi non parla come loro. O per bocciarlo. Voi dite che Pierino del dottore scrive bene. Per forza, parla come voi. Appartiene alla ditta. Invece la lingua che parla e scrive Gianni è quella del suo babbo (...). Ora, se è possibile, è bene che Gianni impari a dire anche la vostra lingua, potrebbe fargli comodo. Ma intanto non potete cacciarlo dalla scuola. "Tutti i cittadini sono uguali senza distinzione di lingua". L'ha detto la Costituzione pensando a lui.
(Don Milani, Lettera a una professoressa)