Pace senza giustizia. L'antico statuto morale dell'Italia di Conte
Diritto e libertà
“Il male non è stato nel pacifismo; no. Il male è stato nel metodo, con cui la protesta contro la guerra è stata condotta per pochezza d’ingegno e per aridità di cuore. Il male è stato nel pervertimento intellettuale e morale, in cui siete degenerati a poco a poco per avere dissociata sistematicamente, in tutta la vostra propaganda, la idea della pace dalla idea della giustizia”.
Gaetano Salvemini, 2 marzo 1917.
Fa un certo effetto leggere di “pochezza d’ingegno e aridità di cuore”, “pervertimento intellettuale e morale”, dissociazione “della idea della pace dalla idea di giustizia”. E considerare il volto e la prassi di Giuseppe Conte e dei molti suoi seguaci, confessi e ancor più inconfessi.
Dalla Grande Guerra alla Guerra contro l’Ucraina, dal Kaiser e dagli imperatori a Putin e al neozarismo, rimane la costanza di una irresponsabilità civile e politica, come cifra tenace delle nostre note gracilità storiche.
E rimane, quasi un pegno identitario, la misura di questa irresponsabilità, che è anche viltà: fissata in quella malsana “idea di pace” senza giustizia, prona perciò e servile di fronte al fatto compiuto, all’aggressione, alla prepotenza.
Né è un caso, che simili epigoni della sopraffazione sul piano esterno, siano gli stessi che hanno per decenni acclamato la sopraffazione come metodo politico sul piano interno, e il suo più duraturo effetto: cioè, la liquefazione dei Poteri Elettivi a tutto vantaggio e godimento della Satrapía Giudiziaria, fino alla presente desertificazione di parola, pensiero e azione politica e civile.
Fino ai magistrati Cafiero e Scarpinato, simboli e insieme attori, posti e postisi a vigilare, dalla loro garitta parlamentare, questo stato di cose.
Fino all’ameboide condizione democratica nella quale viviamo: irrilevanti cittadini nella generale irrilevanza delle istituzioni, poste a loro presidio, mutilate e, nel moncone residuo, rese essenzialmente “realtà virtuale”, per l’esito di non-scelte, di candidati non-candidati perché raccomandati per via di prassi cortigiane, e imposti a sfregio di una effettiva competizione elettorale. Con quest’ultima dileggiata come perenne e irrevocabile corruttela, da prevenire quindi e meglio, di fatto, da proibire.
L’Italia del Presidente Conte, l’Italia di un “pervertimento intellettuale e morale” così profondo e diffuso, da passare, ormai, pressoché inosservato. E, dato che è profondo e diffuso, da risultare palindromo, ora come allora: leggibile e fruibile, “da destra a sinistra” e viceversa: come proprio la insuperabile verità delle questioni di giustizia sempre dimostra e sempre dimostrerà.