La bambina ebrea e il programma repubblicano del nuovo Parlamento
Diritto e libertà
Liliana Segre ha già fatto tutto il necessario, tutto il resto sarà un'aggiunta o, più probabilmente, una sottrazione di senso a quanto da lei detto nel corso della prima seduta del Senato appena eletto.
Una scolaretta cacciata da scuola (a causa delle leggi razziste fasciste) e un'ingenua madre di famiglia - così si è presentata - dallo scranno più alto del Senato della Repubblica ha superato ogni "provvisorietà" del ruolo esercitato in una lezione di buon senso che ha pochi precedenti.
Espressione massima delle minoranze esistenziali del nostro Paese (ebrea, donna, anziana, libera) ha evocato la forza di un morto, Giacomo Matteotti, rendendolo "compresente" in Aula per tutto il discorso inaugurale della XIX legislatura. Chi se non Matteotti, infatti, può oggi meglio stimolare i lavori parlamentari? Chi se non la vittima più grande dell'istinto anti assembleare, del rigurgito egoista e identitario, può parlarci del compito della Repubblica?
Non è poesia, né utopia - ci ha detto la Segre - credere e lavorare per l'eguaglianza sostanziale; si tratta solo - a partire dalle diverse ricette politiche in campo - di operare per "rimuovere ostacoli" come macerie che impediscono una ricostruzione, una fondazione di Stato sempre in itinere, sempre incompiuta.
È ovvio, il principio deve essere condiviso e deve "valere" come precondizione e presupposto comune: quello della libertà che si coniuga con la giustizia sociale. La senatrice a vita non ha parlato di antifascismo, evidentemente non occorre (dato il presupposto) ma ha chiarito bene il pericolo del vuoto politico, di un a-fascismo implicito.
Per questo la Costituzione Repubblicana non va cambiata (tentazione sempre incombente) ma finalmente attuata in tutte le sue parti, attraverso leggi attese da decenni; si pensi solo, per fare due esempi decisivi, agli articoli sui partiti e sui sindacati, la cui mancata attuazione, in termini di democrazia interna e di istituzionalizzazione del ruolo esercitato, ci costringe a convivere con associazioni, giuridicamente simili alle bocciofile, che "nominano" deputati e senatori e stipulano - penso alla selva di sigle e di gilde farlocche - Contratti Collettivi spesso regressivi e succubi dei padroni di turno.
E lo ha pur detto chiaro la "scolaretta ebrea", che si è seduta sullo scranno dell'Aula più importante: le maggioranze parlamentari che si succedono, nella variabilità democratica del voto che sostiene il Governo, ogni Governo, spesso hanno spesso tradito il proprio ruolo legislativo, lasciando il Paese nell'impasse.
Solo la fonte del potere costituente proprio della carta repubblicana ha consentito, in tanti casi, la formazione di una giurisprudenza della Corte Costituzionale (penso ad esempio alle ultime pronunce in tema di "fine vita" e di autodeterminazione del malato) che ha vinto l'inazione delle camere legislative, consentendo ai cittadini una tutela di legittimità nell'evoluzione storica del Diritto, nell'articolazione contemporanea e viva dei valori di libertà e giustizia.
Si può sperare in meglio? Si può sperare fattivamente per un Parlamento davvero degno della fonte suprema del diritto italiano? L'ingenua "madre di famiglia" impegnata in uno stimolo sensato per i neo rappresentanti della Nazione ha suggerito pure un metodo preciso: 1) "gentilezza e mitezza" nell'espressione decisa delle proprie posizioni, in sintesi il rispetto dell'avversario concepito come portatore di valori condivisi; 2) l'accettazione sincera e corale dei nostri simboli, delle festività civili scolpite nel grande libro della nostra storia democratica, con quelle inneggianti alla Resistenza e alla Liberazione per prime.
Che senso ha, infatti, partecipare alla formazione di una Istituzione democratica come un Parlamento di liberi e di uguali rappresentativi della comunità popolare, se la ritrovata libertà generata dalla lotta al nazifascismo non e' patrimonio comune? Se l'enormità infetta di radici diverse e di poteri indiretti guasta il fondamento della Politica?
Anche a questi interrogativi stimolanti dovrà dare risposta il nuovo Governo, perché non si può affrontare, ad esempio, il dossier Ucraina e la dialettica tra guerra e nonviolenza (questo ci ha detto in estrema sintesi Liliana Segre) se non si fa proprio il kerigma resistente del nostro potere costituente: la pace (quella da conquistare e quella acquisita da proteggere) passa dalla verità, dal diritto, dalla libertà dei popoli sottomessi.
Tutto il contrario delle motivazioni strumentali, eticamente vuote, sostanzialmente impolitiche, che hanno animato di recente e che animeranno in futuro le piazze "pacifiste" degli irresponsabili, incapaci di prendere parte per chi oggi subisce - in Russia come in Iran - il ghetto dell'umiliazione e dell'annichilimento.