Berlino e Kabul. Benvenuti nel mondo post-americano
Diritto e libertà
Il 13 Agosto di sessant'anni fa l'esercito sovietico blindava Berlino Est, la cosiddetta operazione "Rose", l'edificazione del muro: nella Repubblica Democratica Tedesca latte e burro erano razionati, mancavano il fieno e il mais, mancavano perfino le patate… era il regime d'inflazione repressa: per riassorbire l'eccesso di domanda sul mercato dei beni sarebbe stato vitale un aumento dei prezzi, ma i prezzi erano regolamentati dagli uffici centrali di pianificazione (si tratta, com'è ovvio, di semplificazioni); il capitalismo stava vincendo sul collettivismo e Kruscev, allarmato, trovò un metodo per arginare la grande fuga dei berlinesi e dei tedeschi verso Ovest; arginarla, ovviamente, manu militari: un muro, per l'appunto, e chilometri di filo spinato. Il muro, com'è noto, nulla poté contro la Storia e contro l'economia, e allora si parlò appunto di "fine della Storia" (Francis Fukuyama), di mondo unipolare; ma anche, nel '93, inaspettatamente, di «scontro fra le civiltà» (Samuel Huntington, su Foreign Affairs), tesi esattamente opposta a quella di Fukuyama. Semplificando ancora una volta: Huntington prospettò un mondo multipolare, de-occidentalizzato, con conseguente crescente egemonia di culture altre quali quella cinese e quella islamica.
Col senno di poi è evidente quale delle due tesi fosse più lungimirante. È prestissimo per dire se i contatti e le simpatie reciproche fra i talebani (appena entrati a Kabul) e Cina si struttureranno in un'alleanza strategica e duratura, ma è il momento giusto per poter dire… benvenuti nel mondo post-americano! «A Herat i talebani stanno già impedendo alle giovani donne di entrare all'università e costringendo le famiglie a consegnare le figlie, anche giovanissime, ai combattenti» (Francesca Mannocchi sulla Repubblica di ieri): questo, fra le altre terribili cose, è il mondo post-americano, e lo abbiamo voluto noi.
Due anni dopo l'edificazione del muro, John F. Kennedy andò a Berlino Ovest e pronunciò un discorso passato alla storia pieno, stra-pieno di identità occidentale: «Ci sono molte persone al mondo che non capiscono, o che dicono di non capire, quale sia la grande differenza tra il mondo libero e il mondo comunista. Che vengano a Berlino!»; oggi al posto dei Kennedy, dei Clinton ecc., ci sono le Ocasio-Cortez, i Corbyn; e, dall'altro lato, al posto dei Reagan e delle Thatcher ci sono i Trump e i Johnson, se non addirittura gli Orban e i Salvini; questi non saprebbero dire quale sia la grande differenza tra il mondo libero e le "civiltà" altre, non libere; quelli sì.
E, per restare agli USA, gli stessi George W. Bush e Barack Obama, "presidenti di transizione" tra la politica novecentesca e la post-politica del nuovo millennio, non furono in grado di elaborare una risposta all'altezza del Paese di cui erano a capo rispettivamente all'11 Settembre e alla Primavera araba; il primo dichiarò una fin troppo pragmatica "guerra al terrore", legittimando regimi non-democratici in cambio della loro cooperazione nella caccia ai terroristi e facendo carne di porco dell'Habeas Corpus e della riservatezza dell'individuo al cospetto dello Stato (due pilastri del mondo libero), tra Patriot Act e Abu Ghraib e Guantanamo… il tutto senza alcun interesse concreto per l'effettiva democratizzazione dell'Afghanistan e, men che meno, dell'Iraq; il secondo inaugurando una politica neo-isolazionista che avrebbe trovato continuità nell'amministrazione Trump (eccezion fatta per la neutralizzazione di Qassem Soleimani e per lo spostamento dell’ambasciata statunitense in Israele a Gerusalemme, ambedue meritorie correzioni dell’appeasement di Obama con Iran e Hamas); Biden, dal canto suo, ispiratore di questa linea in qualità di vice di Obama, non ha potuto che garantire continuità a sua volta, macchiandosi per sovrappiù della colpa di non aver saputo gestire il rientro dall’Afghanistan, una sorta di déjà vu di Saigon cui tutti stiamo assistendo in queste ore.
«La democrazia – scriveva Oriana Fallaci – non si può regalare come un pezzo di cioccolata»: è ovvio che agli USA venne assai più semplice sostenere il dissenso anti-totalitario al di là della cortina di ferro, dove le istanze democratico-liberali non erano del tutto estranee alla "struttura morale" della popolazione, piuttosto che nel Vicino Oriente, in Nord Africa o in Sud America; ma abdicare così goffamente e "avventuristicamente" dal ruolo di leader del "mondo libero" potrebbe avere serie ripercussioni all'interno del mondo libero stesso, in termini anche spirituali oltreché "concreti" (immigrazione, terrorismo). Venuto meno il Washington Consensus, a vantaggio del Pechino Consensus e di dittatori e perfino di gruppi para-militari jihadisti, viene meno – e in parte è già venuta meno – anche la "sovrastruttura" che esso faticosamente ha sorretto dal '45 a oggi.
I diritti umani, l'ordoliberalismo e dunque l'economia sociale di mercato, la laicità (inclusiva o esclusiva poco importa) e tutto quel che ci ha consentito di vivere nel benessere, un benessere ipocrita certo, ma diceva qualcuno che l'ipocrisia è un omaggio che il vizio rende alla virtù, un benessere incompleto, ma meglio tutti piccolo-borghesi che si arrabattano piuttosto che tutti a crogiolarsi nella miseria, ecco tutto questo sostituito a destra da cristianismo a basso costo, statalismo e banalità law & order; a sinistra da una post-ideologia che è una grottesca caricatura della mentalità della peggiore Lisa Simpson. E su quali basi, allora, questo occidente in crisi d'identità avrebbe dovuto fare nation building in Afghanistan e altrove? Saranno contenti gli antimperialisti che oggi – la faccia come il… – rimproverano gli USA di non esser stati abbastanza imperialisti, con la stessa veemenza con cui rimproveravano loro sino all’altro ieri di esserlo eccessivamente. Benvenuti, ancora una volta, nel mondo post-americano, cioè post-occidentale!