L’uso ‘sovranista’ dell’aborto. In Polonia come in Italia
Diritto e libertà
L’aborto è diventato illegale in Polonia. Il divieto previsto anche in caso di gravi malformazioni del feto rende la legge polacca una delle più restrittive d’Europa, cancellando con un solo colpo di spugna il diritto della donna di disporre del proprio corpo e quello del nascituro di vivere una vita dignitosa e senza sofferenze. Avranno pensato i governanti di Varsavia a misure adeguate al sostegno sociale dei soggetti direttamente colpiti da questa nuova legge? La risposta, un po’ scontata, è no.
Quando politici e governanti parlano di interruzione di gravidanza succede che le questioni etiche divengono la maschera del consenso politico. In Polonia così come in Italia e in molti altri Paesi. Lo scorso 22 ottobre 2020, l’Ungheria ha firmato la Dichiarazione di Ginevra sulla salute delle donne e il rafforzamento della famiglia, promossa da Trump, elogiata dalla ministra ungherese Katalin Novak come strumento per rilanciare il valore della vita, firmata anche dall’Arabia Saudita.
Gli appigli religiosi legati alla sacralità della vita umana sin dal concepimento e ai principi divini sono, però, la versione edulcorata proposta dai partiti sovranisti ai cittadini, dietro la quale si celano principi ben lontani dal mistero della vita e più vicini a un concetto deteriore di "patria". Ecco che quello che in prima istanza appare come un nobile scopo è in realtà la variabile fondamentale per portare avanti valori di ordine collettivo come quello della potenza demografica della nazione. In tutto questo, il ruolo della donna è relegato a mero strumento riproduttivo: è il vento reazionario che respiriamo anche in Italia.
Nel bel mezzo della crisi di Governo, Salvini non ha perso occasione di tirare in ballo la pillola abortiva, lo ha fatto in Senato durante le dichiarazioni di voto dello scorso 20 gennaio, lo ha ripetuto nei giorni successivi in televisione. È perlomeno singolare che in un periodo di profonda crisi politica, economica e quindi sociale, il pensiero ricorrente del leder leghista sia vietare l’aborto o renderlo più complicato e meno accessibile. Se il suo obiettivo è quello di ripopolare l’Italia con "italiani veri", la strada che vorrebbe imboccare è tutt’altro che vincente, oltre ad essere un abominio concettuale.
Non si pretende che Salvini e i suoi arrivino a comprendere la libertà della donna di abortire senza dolore e sensi di colpa, sarebbe chiedere troppo, ma, se prendiamo in considerazione quella percentuale di donne single o coppie che ricorrono all’aborto per ragioni economiche, non gli farebbe male una lettura, anche veloce, di quello che sta succedendo sotto i loro occhi: dall’inizio della pandemia ad oggi sono stati persi 420mila posti di lavoro, di questi oltre la metà sono stati persi da donne per le quali la legge di Bilancio 2021 non ha previsto alcun tipo di supporto. Senza tener conto delle perdite subite dalle libere professioniste.
Il crollo delle nascite agita anche il sonno dei meloniani e per far capire che non scherzano, come promesso in campagna elettorale, la giunta di destra delle Marche ha scelto di vietare la RU486 nei consultori. L’onore di illustrare questa decisione è stato dato a Giorgia Latini, assessora alle Pari Opportunità. Che ossimoro! Eppure, la mozione presentata dal PD regionale, altro non chiedeva che di applicare le linee guida del Ministero della Salute sull’interruzione di gravidanza. Inutile, perché come hanno ricordato con fierezza gli ultras delle nascite a tutti i costi, queste linee guida sono indicative e le Regioni non hanno l’obbligo di recepirle per filo e per segno.
Che si tengano stretta la libertà di applicazione delle indicazioni ministeriali per limitare la libertà di altre cittadine è un pericoloso paradosso. Ma non solo, anche inutile se consideriamo che nelle Marche un’altissima percentuale di ginecologi è obiettore. Così come su tutto il territorio nazionale dove soltanto 3 ginecologi su 10 praticano l’igv. La percentuale di obiezione dei ginecologi supera l’80% in otto regioni, addirittura quasi il 100% in Basilicata, è del 48,8% tra i medici anestesisti e del 44% tra il personale non medico. Percentuali lontanissime dal 3% della Francia o dalla totale assenza di obiezione di Paesi come la Svezia.
È evidente che il nostro diritto all’aborto è stato mutilato così tanto dai retaggi storici e dalle imposizioni religiose, che in alcune aree del Paese è limitato quasi esclusivamente alla depenalizzazione del reato. Perché una donna che decide di farlo dovrà bussare a molte porte, prima di trovare qualcuno disposto a mettere fine a quella che spesso diventa un’odissea scandita dal tempo che stringe, aggiungendo alle conseguenze fisiche le ripercussioni psicologiche.
È realistico dire che le Marche rappresentano l’esperimento in vitro di quella che potrebbe essere l’Italia in un futuro non affatto lontano. Non così diversa dalla Polonia conservatrice di Diritto e Giustizia.