sciascia big

“Il carcere così com’è oggi, in Italia, è da abolire. Non faccio nessuna fatica a dirlo. Conosco l’obiezione e perciò aggiungo: abolire il carcere non significa lasciare chi è pericoloso libero di fare del male agli altri”. Gherardo Colombo, ieri, su Huffington Post. Seguono spiegazioni, su come e perché si può impedire “la condotta antisociale”, senza murare viva una persona.

Ho letto e, per la prima volta, mi sono accorto di essere d’accordo con lui. Incondizionatamente.

Per quello che dice: ma, soprattutto, perché si è interrogato, ha cercato, e ha trovato la forza per ridiscutersi.

Un pensiero vale per sè, ma certo maggiormente se ne introduce altri. Se accende dubbi, schiva postulati, svela, insomma, “fuffe” di varia specie, perenne corredo di ogni zelante servitù salmodiante. Così, quella dichiarazione di Colombo, già singolarmente armoniosa, ha tuttavia suscitato risonanze a più ampio spettro.

“Ridiscutersi”, “discutere”, è infatti qui, ai nostri giorni, dalle nostre case, l’idea fondamentale.

Per questa disposizione, mi pare sia cosa buona e giusta essere contro i facinorosi che in questo, come nel precedente governo, innalzano lodi al culto del “marcire in carcere”, del “buttare via la chiave” (che poi non si è mai buttata, per i Brusca e liquefatori vari di bambini).

E, l’accennavo, anche essere contro quelli che li sostengono: fingendo che non ci sia un ante-Covid su cui giudicare, e un post-Covid da preparare; che Conte II sia diverso da Conte I: come dicono Travaglio, Il Manifesto e Giuliano Ferrara, in modalità “Convergenza del Molteplice” (indimenticabile canone probatorio, congegnato per cavare da tre vuoti, un unico, apparente, pieno).

Perché mentono, sapendo di mentire. Non si ridiscutono mai, nè, ovviamente, discutono; e solo abbozzano, compiaciuti, una loro indispensabilità, artatamente costruita all’ombra di comodi idoli polemici (“Eh, però c’è Salvini”: di cui tutelano gli atti normativi; “eh, però c’e Meloni”: di cui osservano, ed esaltano, solo il repertorio chiacchierino; ma votando insieme ad entrambi, e ai Conte di prima e di dopo, tagli parlamentari, oltre alle citate “leggi carcerarie”, alle “spazza” questo e quello, e altre schifezze).

E di cui approvano la “decretazione presidenziale”, la cui plausibilità democratica decresce, in misura inversamente proporzionale al tempo che va passando dalle immediate urgenze di fine Febbraio (per inciso, il Prof. Zagrebelsky, che gratifica di un “non sanno di cosa parlano”, fior di suoi Colleghi - Annibale Marini, Alfonso Celotto, Enrico Michetti, Sabino Cassese, e altri - rei di aver negato che i DPCM fossero legittimi, risulta solo capace di boriosa fatiscenza dottrinale, in evidente affanno su sè stessa, non meno che goffamente scortese; e potrebbe fare “il quarto”, insieme ai primi tre, in un ideale tavolo da “bisca delle libertà”, con posta la Costituzione).

Ma queste convergenze non sono casualità, nè un nuovo ed improvvisato “frontismo”, mosso magari da generosità ideali mal riposte, da ingenuità tattiche, o da opacità emotive di un cuore puro, ma impaurito. Tutt’altro. È un antico e oscuro gorgoglìo, che risale alla superficie visibile, lacerando distinzioni di cartapesta, e coagulando sostanze politiche affini e duttili quanto basta.

Una volta, a Leonardo Sciascia, fu chiesto:

"Lei crede davvero possibile un ritorno del fascismo?" - “Del fascismo proprio, no, ma temo che arriveremo a perdere alcune delle libertà alle quali ci siamo abituati... L'Italia è un paese naturalmente controriformista, e l'italiano è l'uomo della Controriforma: una messa a mezzogiorno, e poi tutto è a posto: la confessione, il compromesso, l'estrema unzione... E dire che è un Paese pieno di persone intelligenti".

(Dialogo con Ugo La Malfa, su Epoca, 9 Aprile 1972, rispondendo al moderatore, Pietro Zullino).

È noto che "l'eterno fascismo italiano" è per Sciascia, e non solo per lui, qualsiasi tendenza politica e culturale, che consideri la libertà personale un paradigma politico non primario, o anche solo pariordinato ad altri; e così suscettibile di riduzioni strumentali, in favore di astrazioni statualistiche, se non statolatriche.

Chiarito, allora, come quel sentire profondamente controriformistico, e, in questi termini, "eternamente fascista", sia un carattere fondamentale della nostra storia, non può stupire nè la diffusa ampollosità ad opporsi al M5S, o, addirittura, la facilità della Staffetta dell’Alleanza fra Lega e PD (ma col PD a cui va la paternità della “prima mossa”, solo temporaneamente infruttuosa); nè la correlativa incapacità di rivendicare, e tenere ferma, una linea politica di recisa lotta politica contro un simile obbrobrio metamorfico.

Non meno "doverosa" e nobile, in termini costituzionali e democratici, che andare al Governo: in nome di "una messa a mezzogiorno, e tutto è a posto".

Perché un’Emergenza, in questa “Italia perenne”, si trova sempre.
E un’Ortodossia Paracula, da non discutere mai, pure.