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C’è un aspetto nelle vicende negazioniste dell’emergenza coronavirus che merita riflessione. È quello magistralmente incarnato dall’On. Vittorio Sgarbi, rappresentante del popolo non solo in parlamento, ma anche sul web. Sgarbi ha iniziato a esprimere critiche verso le misure di contenimento sostenendo una serie di falsità che per un certo periodo sono circolate sul virus: è poco più dell’influenza, non è letale, si disattiva col calore di un tè e così via.

Poco male, direte, ci sono cascati in molti, politici, giornalisti ed anche qualche medico e addirittura virologo. Tale è anche la scusa di Sgarbi, ma il fenomeno merita una riflessione perché è specchio di meccanismi complessi radicati nella nostra cultura.
Sgarbi è uno storico dell’arte e, come la maggior parte degli italiani, non ha una cultura scientifica. La cultura umanistica, di gran lunga preponderante nelle scuole dell’obbligo, abitua le persone a pensare per individualismi: la storia dell’arte viene insegnata come un susseguirsi di grandi artisti, al massimo di scuole, ma comunque legate all’indivualità e al genio di poche personalità. A dire il vero la storia in generale, anche quella della scienza, viene per lo più insegnata così, per non parlare della filosofia. Ma c’è un problema: la scienza e il progresso tecnologico non funzionano così. Anzi, il grande successo della scienza e della tecnica è esploso proprio di pari passo con lo sforzo di spersonalizzazione dei punti di vista, sia in fase di ricerca che in fase di creazione del consenso, condivisione e realizzazione dei risultati.

Le ragioni di Sgarbi erano appunto: “difendo la mia idea, perché ci sono illustri virologi che dicono questo”. Purtroppo anche i media credono di fare buon giornalismo solo quando riportano pareri opposti in par condicio su tutto e, ahimé, anche gli scienziati sono umani e spesso cedono a dire la propria opinione invece che riportare il consenso della comunità scientifica .
Il punto è che questo meccanismo di senso comune non funziona più di fronte ai problemi del mondo moderno, è anzi diventato fortemente dannoso.
Non è solo un problema di opinione pubblica o del singolo, ma è il problema della politica: non basta più avere uno o una commissione di esperti per prendere le scelte giuste di fronte ai problemi che il progresso ci pone.
Bisogna - o bisognerebbe - riferirsi solo al consenso di tutta la comunità scientifica che si occupa di quel dato problema. Perché non lo si fa?
Nel drammatico caso della pandemia che stiamo vivendo l’autorità scientifica c’è e si chiama World Health Organization. Fin dalle prime avvisaglie di crisi in Cina, ben prima che i contagi potessero essere un problema, aveva allertato i Governi di tutto il mondo dell’imminente rischio, continuando a suggerire misure di sicurezza che tutt’ora in parte vengono ignorate.
Come è possibile che sia accaduto ciò?

Si dirà che il problema è politico, della scarsa o nulla autorità di questa istituzione presso gli Stati membri, ma la vera radice del problema potrebbe essere culturale e prima ancora emotiva: il senso comune non riesce a staccarsi dal bisogno di individualità. Crediamo a qualcosa solo se a dirlo è una figura umana in cui abbiamo fiducia, viceversa fatichiamo enormemente a fidarci di una istituzione, che non ha volto, sebbene dovrebbe essere il contrario, in quanto il singolo sarà sempre soggetto ad errori, che si correggono solo in fase di condivisione delle informazioni.
È dunque questo il paradosso del giorno d’oggi: abbiamo costruito un progresso eccezionale grazie alla creazione di reti di informazioni ed istituzioni che spersonalizzano i problemi ridimensionando tutti i difetti dei singoli e parziali punti di vista, offrendoci così il meglio delle conoscenze, al di là dei bias cognitivi intrinsechi in ogni individuo, eppure non riusciamo a sfruttare al meglio queste conoscenze, perché il senso comune e la politica sono fatte di persone, persone che hanno bisogno ancora di sentire il parere di altri singoli, di avere contraddittori, e su cui la conoscenza spersonalizzata delle istituzioni non riesce a far presa.