intercettazioni grande

Vediamo se si capisce così: “Il territorio del Lodigiano è devastato, abbiamo una economia in ginocchio", ha detto in queste ore, il Sindaco di Lodi. Ora, per considerare i termini politici e civili dei trojan horses, o “virus di stato” (definizione corrente fra gli studiosi e in giurisprudenza, non una battutina di cattivo gusto), occorre immaginare “il dopo”.

Solo così, può essere almeno delineato, se non descritto, il senso proprio di questo strumento totalitario. Se avessimo scritto “ultrattività della prova”, avremmo probabilmente solo suscitato sospesa perplessità. Ma (si può sperare) “territorio devastato”, dovrebbe subito mettere le cose in chiaro. Sostituendo, infine, “territorio” con “società”, poniamo esattamente i termini politici e civili del “captatore informatico”.

Tuttavia, da qui, non è semplice procedere. Si deve cogliere la dinamica indotta dallo strumento. E questa è nascosta dalla forma giuridica. Si dice: è per rendere più efficaci le indagini su mafia, terrorismo e P.A: il Cerbero del nostro tempo. Non siete contenti? Loro, i malvagi, devono temere: non voi, onesti padri di famiglia.

E qui entra in gioco la “dinamica nascosta” degli istituti giuridici: cioè, quella civile e politica.

Da un lato, sta un arnese che da oggi annulla, tecnicamente, tecnologicamente, la già indebolita, ma pur sempre primaria ed essenziale, distinzione fra proprio e altrui, fra il riservato e il rivelato. L’uso-chiave dell’arnese è così presentato: “è sempre consentito”. È sempre consentito, mediante la creaturina nascosta anche solo “in un telefonino”, trasformare stabilmente il corpo individuale, lo spazio che lo circonda, ogni suo fiato, ogni suo sguardo, ogni suo pur minimo movimento, in “elemento di prova”.

Dall’altro, starebbero “i limiti”: la “fattispecie incriminatrice”; cioè, la preda che vale la caccia. Ma “mafia”, “terrorismo”, “Pubblica Amministrazione”, sono, in effetti, parole “senza corpo”. Parole-narrazione, come “mafia”; parole-funzione, come “P.A.”, o ancorate ad una nozione rischiosamente emotiva, essenzialmente imperniata sulla esigenza di “colpire la congettura”, come “terrorismo”.
Sono reati “di pura creazione legislativa”, suggerisce la doviziosa dottrina; vale a dire, privi di un “pre-contenuto”, che rimandi a comprensioni “originarie” e univocamente intellegibili (ad es. l’omicidio o il furto); sicchè, sono ad alto rischio di costante e, di fatto incontrollabile, autodefinizione.

Quelle parole sono, dunque, limiti apparenti: per tre ulteriori ragioni.

La prima è che, l’incursione “in corpore vili”, sorta di stupro digitale, ha luogo durante le indagini preliminari, tendenzialmente; la già sfuggente capacità selettiva di queste parole-fattispecie, in quanto deve soddisfare una configurazione solo provvisoria, pertanto, il più delle volte, si risolverà nella famosa “ombra di un sogno” (in effetti, di un incubo). Ma questo, è ancora il meno.

La seconda ragione, è che di queste parole, anche ammesso che il provvisorio sappia avvicinarsi alla definizione del quadro definitivo; anche a fingere che siano univoche, e che non esistano migliaia, dicasi, migliaia di sentenze di legittimità, le quali in generale, ma specialmente su queste materie (con particolare vorticosità, su “mafia” e “delitti contro la P.A.”), ormai da tempo immemorabile si vanno inseguendo in tondo, per tentare vanamente di assicurare “l’uniformità del diritto obiettivo nazionale”, come recita (letteralmente) la legge; dicevo, anche a fingere quello che non è, di queste parole rimane misterioso, per non dire arbitrariamente determinato, quello che dovrebbe essere il sottostante “fenomeno criminale”.

“Mafia” è il tritolo di Capaci e la testata di un bullo di Ostia, i 300 morti l’anno e “la riserva di violenza”; il (spesso solo congetturato) possesso “di patrimoni milionari” e il morto di fame in cui, fin troppo frequentemente, quelle supposte fantasmagorie paraeconomiche si risolvono; la strada e la fiction.

La terza ragione, è la più importante. Ed è che tutte queste “conoscenze”, su cui vengono costruite le norme giuridiche, non scontano mai gli errori, se non le menzogne, che le infinite sequele del martirio giudiziario, dolorosamente manifestano. E che le sconfessioni di ció che ripetutamente, indefessamente, si è detto certo, “acquisito”, “indiscutibile”, anziché fissare l’imperitura vergogna di un sistema istituzionale e culturale che non chiede mai scusa, ogni giorno di più, pare invece muovano dal loro peggio, per peggiorarlo ancora.

Lo abbiamo già sostenuto e qui va ripetuto: “Il “Legislatore” dovrebbero essere le sofferenze di Casi-Simbolo. Prescrizione troppo corta, e poi abbiamo i 29 anni del Processo Mannino? Misure di Prevenzione Antimafia, per avere la macellazione della Famiglia Cavallotti, lo scempio delle gestioni Saguto? Nuove norme Anticorruzione, per avere le dieci assoluzioni di Ettore Incalza? Tutela attenuata del segreto istruttorio, per avere licenza di lapidare la Prof.ssa Capua? Più ampi poteri d’indagine, per avere agio di massacrare Stefano Cucchi?”.

E ora, trojan horses. Perciò, quel “sempre consentito”, è un ulteriore abuso strutturale, automatizzato. Nel senso che, in quanto presuppone analisi, valutazioni, “dati” che pretermettono tutte le loro “falsificazioni”; quindi, mette capo a “fenomeni criminali”, la cui reale portata è chiusa in una petizione di principio; e questa, a sua volta, si presenta in “fattispecie giustificative” (le ridette parole-reato) che, alla fine della fiera, consistono di solo apparente capacità descrittiva, esso abuso descrive una circolarità diabolica.

Dunque, il risultato finale, per tutelarsi, per cercare di tutelarsi da accuse sempre possibili e da difese sempre impossibili, sarà di indurre “condotte conservative di massa”: cioè, una società innervata dalla paura. Una società in fuga dalla ragione, dalla vita, dalla libertà. Una società, come Lodi col fantasma sanitario, come l’Italia col fantasma giudiziario, abbandonata, annichilita. Devastata.