Pannella solo grande

Ormai è una abitudine. Molti radicali (e alcuni liberali e garantisti) hanno criticato la scelta di Emma Bonino e della maggioranza del Senato di votare a favore della concessione dell’autorizzazione a procedere chiesta dai magistrati di Catania nei confronti del Ministro Salvini.

Molte le argomentazioni, tutte opinabili e criticabili, ma due su tutte profondamente irritanti e false: 1) quel voto costituirebbe l’ennesimo cedimento della politica alla giustizia (e implicitamente anche un mezzo indebito di servirsi della giustizia contro un avversario politico); 2) quel voto inoltre, per quanto riguarda i radicali, sarebbe in contrasto con tutta la loro tradizione.

Il primo argomento è assolutamente risibile. Perché è vero che una politica (e un Parlamento) gravemente in crisi ha aperto, nel bene e nel male, spazi incredibili di intervento e di supplenza a una magistratura e in particolare a un esercito di Pubblici Ministeri che non rispondono mai a nessuno del loro operato (nel bene e nel male, come dimostra la pronuncia della Corte Costituzionale nel caso Dj Fabio-Cappato, resa possibile dalla decisione di un Tribunale).

Questa dilatazione incontrollata del campo di intervento della magistratura, che ha prodotto una sorta di “common law de’ noantri” che affianca e a volte si sovrappone al nostro vecchio sistema codificato, non sottrae però la politica e i membri del Governo all’obbligo di rispettare le leggi fondamentali interne e internazionali e la Costituzione.

Un ministro, come ogni altro cittadino, deve obbligatoriamente farsene carico e, se non lo fa o ritiene che quelle norme debbano cedere il passo ad altre prevalenti considerazioni, è giusto che il suo operato sia sottoposto a un controllo giurisdizionale, che non necessariamente si tramuterà in una condanna. C’è qualcuno che possa sostenere che nei casi giudiziari che hanno investito il ministro Salvini, non fossero in questione norme fondamentali riguardanti la vita e i diritti di naufraghi? E non è su questo che si è verificato lo scontro fra il ministro e i sostenitori delle ONG, accusate di essere complici dei traffici degli scafisti (e noi in prima fila fra questi in quanto promotori della proposta di legge popolare “Ero straniero”)?

Quanto al secondo argomento, mi meraviglio di dover rammentare a questi critici che siamo stati fra i protagonisti del profondo ridimensionamento dell’immunità parlamentare e i principali responsabili della drastica trasformazione dei procedimenti d’accusa nei confronti dei ministri, con l’abolizione della Commissione inquirente per via referendaria, lo stesso anno, il 1987, in cui vincemmo anche sul referendum Tortora sulla responsabilità civile dei magistrati.  È lecito chiedersi se sia andato tutto bene e se poi non si sia esagerato in senso contrario, ma non è lecito dimenticare o peggio cancellare i nostri comportamenti, che sono stati contraddistinti da una lunga e ininterrotta coerenza. E riguardavano soprattutto i procedimenti contro noi stessi prima che quelli contro i nostri avversari.

Per quanto ci riguarda abbiamo sempre chiesto che si procedesse quando c’erano richieste di autorizzazione a procedere contro di noi. E voglio qui ricordare che Luca Boneschi, avvocato della famiglia di Giorgiana Masi, querelato per diffamazione da un p.m. che indagava su quell’omicidio, rinunciò alla elezione per affrontare il processo che, in base alla prassi di allora, la Camera gli avrebbe sicuramente negato.

Infine è di questi giorni il ricordo dell’invito rivolto da Pannella a Bettino Craxi di votare a favore della propria autorizzazione a procedere, chiesta dal Procura di Milano, affrontare il processo e, se necessario, anche il carcere. E certo quell’intervento di Pannella non era contro Craxi, era in suo favore e soprattutto in favore della ricerca della verità che, contro ricostruzioni unilaterali e discriminatorie, quel processo avrebbe reso possibile.