Il 'lievito politico' della sentenza della Corte sulla legge 'spazza-corrotti'
Diritto e libertà
La Corte Costituzionale, s’intende, come ogni giudice, decide su questioni determinate, circoscritte. Ma, dato che queste sono “leggi”, le sue sentenze, statutariamente, possiedono un “lievito politico”. Tanto più se la legge è una legge penale, vale a dire, posta a limitare la libertà personale; il nucleo del conflitto fra l’uomo e il Leviatano. Perciò, ci sono illegittimità e illegittimità; norme e norme; scelte e scelte.
Le Misure Alternative alla detenzione sono un istituto, una “questione determinata”; ma, nella loro verità politica, sono il punto di incontro fra l’uomo condannato e la speranza che la condanna si sciolga e si evolva in più pronto recupero, in più riuscita rieducazione. A prevenire la “separazione detentiva”, formalmente temporanea, ma realmente capace di lacerazioni incomponibili. Non sempre, non per tutti. Ci sono dei limiti: di pena e di titolo, cioè del “tipo di reato”. Ma il perimetro di umana civilizzazione è questo. Perciò la loro “pregnanza politica” è alta.
Sappiamo che il M5S ha voluto, con la cd Legge Spazzacorrotti, fra le altre novellazioni, introdurre una “parificazione fra mafia e delitti contro la P.A.”. Nella materia considerata, l’inclusione anche di questi ultimi reati fra i “titoli assolutamente inibitori”, che, cioè, precludono sempre l’accesso alle Misure Alternative (il Prof. Padovani lo ha definito “il tragico elenco”), ha fino ad oggi comportato che anche condannati per fatti ritenuti, lungo una tradizione giuridica pluridecennale, di offensività distinta e, comunque, inferiore a quella dei delitti commessi secondo il cd metodo mafioso, invece, non potessero assolutamente più accedervi. Non solo: ma, nel fare questo, la legge summenzionata (forte di un “nome d’arte” tanto rozzo e manganellatore) ha deliberatamente omesso di regolare il regime transitorio. Implicando, nei termini che brevemente vedremo, la sua retroattività.
La Corte ha stabilito che non è giusto: perché l’applicazione retroattiva di una disciplina che ha una peggiore “incidenza sulla libertà personale”, in qualsiasi modo, per qualsiasi ragione, “rispetto a quella prevista al momento del reato”, è incompatibile con il principio della “legalità della pena”, previsto dall’art 25 Cost. Ma ha fatto di più. Essa, infatti, ha voluto precisare di sapere che, proprio per le Misure Alternative alla detenzione, “la costante interpretazione giurisprudenziale” (avallata anche dalle SS UU, 30/05/2006) ammetteva tale applicazione retroattiva. E che anche tale interpretazione, sulla quale probabilmente contava la obliqua omissione di una disciplina transitoria, “è incostituzionale” (dal Comunicato Stampa).
Come, l’ammetteva? Privilegiando un criterio “asetticamente formalistico”. Al contrario (la motivazione non è stata ancora depositata, ma ci sono le ordinanze di rimessione alla Corte), qui il criterio, anche secondo l’interpretazione della Cedu sulla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, è, e deve essere, sostanzialistico. E cioè?
Nel primo caso, si afferma che le Misure Alternative abbiano “natura giuridica” processuale (come, ad es. il regime delle notificazioni): la legge segue “il tempo dell’atto”; se oggi vale una regola, è quella, e se domani ne vale un’altra, varrà questa.
Nel secondo, si ritiene invece abbiano natura “sostanziale”, dunque, immediatamente attinente alla libertà personale (come è per la selezione delle condotte punibili , per la specie e la misura della sanzione; e ora, appunto, per la sua esecuzione); e allora deve valere il criterio che il quadro giuridico sia stabile: perché le norme di questa natura definiscono al sommo grado il valore del “patto costitutivo”, fra Individuo e Stato, fondamento della legittimità democratica di leggi e vita associata: ti punisco, se fai questo; ma ti dico, sin da ora, come e quanto, così ti regoli. Sei un cittadino; se, nel campo della tua libertà personale, fossi sottoposto al capriccio di mutamenti in corso d’opera, il “patto” sarebbe violato, e tu saresti un suddito, tendenza-animale.
Precisamente questo è il “lievito politico” della dichiarazione di illegittimità che ha colpito la cd “Spazzacorrotti”. E con essa, un’interpretazione curialesca del diritto penale e delle sue “incisive” capacità. Perciò, è una decisione che solennemente (non meno per lo stigma agli “asettici formalisti” che alla legge stessa) ripristina fondamenta di civiltà e di umanità aggredite e violate. Anche nelle faccende dalle Corte Costituzionale, c’è la nervatura. Ma poi (o, prima) ci sono la carne e il sangue.
Ora si metta a confronto tale eletta decisione, con la miseria squadristica che emana dalle “celebrazioni” annunciate dal M5S, giusto nella prima ricorrenza annuale della legge. E con i tagli insinuanti e moralmente postribolari campeggianti sul Fatto Quotidiano, su cui non pochi magistrati ed ex magistrati seguitano nondimeno a scrivere (sarebbe preferibile se ne vergognassero: ma se non riescono a farlo, lo facciamo noi per loro); e che citiamo solo perché mattinale governativo: “La Consulta ha deciso di salvare dalla galera i corrotti eccellenti, tipo Formigoni”: “E ora, tutti fuori”.
E si avrà chiara l’idea del passo compiuto.
P.S. Molto rispettabile On. Boschi, non dica “Se il governo diventa giustizialista, noi non possiamo accettarlo”, in chiave ipotetica: perché il governo in carica è nato e vive precisamente su questo infame registro politico. Com’è peraltro confermato dalle appassionate difese che il Presidente Conte sta dispiegando in queste ore verso il Ministro Bonafede. Così dicendo, pertanto, si potrebbe ritenere che, su una materia così determinante, Ella abbia le idee confuse.