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“Il comportamento del governo italiano nella vicenda Aquarius è gravissimo e l’intervento della Spagna non solleva l’Italia dalle sue responsabilità”.  Questa, in sintesi, la posizione formalizzata da ASGI, l'Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione, che - a poche ore dal caso Aquarius, ancora non risolto: la nave è ferma e l’equipaggio teme che sia rischioso sottoporre i 629 migranti ad altri tre giorni di navigazione, quelli necessari per raggiungere il porto di Valencia - lancia un allarme sul ripetersi di episodi analoghi, nel prossimo futuro.

Asgi è l’unico network italiano - costituito da avvocati, giuristi e studiosi d’immigrazione - diventato punto di riferimento di associazioni, enti pubblici e privati sulla tutela di diritti degli stranieri.

La scelta di solidarietà fatta dal governo spagnolo di fornire assistenza materiale e giuridica ai naufraghi salvati dalla nave Aquarius, non deve oscurare la gravi responsabilità del governo italiano nella conduzione complessiva di tutte le operazioni”, dice Salvatore Fachile che con ASGI, come legale, si occupa da anni di diritto dell’immigrazione e diritto minorile, con particolare riguardo alla protezione internazionale.

In una nota pubblicata, ieri, da Asgi - poche ore dopo l’annuncio del premier spagnolo, Pedro Sanchez, di aiutare i migranti a bordo dell’Aquarius e così “evitare una catastrofe umanitaria e offrire un porto sicuro a queste persone” - l’associazione di giuristi ricorda “che le operazioni di soccorso sono partite su impulso di un SOS diramato dall’MRCC (Comando generale del Corpo della Capitanerie di Porto) di Roma. E pertanto, in base al diritto internazionale, “l’Italia è sempre stato il Paese giuridicamente responsabile del coordinamento dei soccorsi”.

Solo in questo senso possono essere lette le principali Convenzioni internazionali in materia che sono tre: la Convenzione sulla salvaguardia della vita umana in mare (Convenzione SOLAS, firmata a Londra nel 1974 e ratificata dall’Italia con L. 313/1980); la Convenzione internazionale sulla ricerca ed il soccorso in mare (Convenzione SAR, firmata ad Amburgo nel 1979 e ratificata dall’Italia con L. 147/1989, da cui il Regolamento di attuazione D.P.R. 662/1994); la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Convenzione CNUDM o UNCLOS, adottata a Montegobay nel 1982 e ratificata dall’Italia con L. 689/1994).

Fino al momento in cui la Spagna non ha annunciato il suo intervento per ragioni umanitarie il centro di coordinamento dei soccorso italiano, competente e responsabile degli stessi”, spiega Fachile, “ha continuato a non indicare alcuna destinazione ad Aquarius, rendendosi completamente inadempiente verso precisi obblighi indicati dal diritto internazionale ed interno e ponendo a rischio la vita di centinaia di persone”.

La situazione di pericolo e di estrema difficoltà, in cui si trovavano (e si trovano tutt’ora) i migranti, oltre ai membri dell’equipaggio, integra senza dubbio una situazione di pericolo che non fa ritenere legittima alcuna limitazione all’approdo in un porto italiano. Questa la posizione degli esperti, al netto di tutte considerazioni che il dibattito politico per un verso, e le organizzazioni umanitarie per un altro verso - sono da farsi sulla questione.

“Nel caso di specie”, spiega meglio il legale di Asgi, “avrebbe dovuto trovare immediatamente applicazione l’art. 18, par. 2 della Convenzione UNCLOS, la quale prevede che lo Stato costiero non può invocare una violazione del diritto di passaggio inoffensivo né obbligare la nave straniera a riprendere il largo”Conseguentemente, lo Stato costiero, nel cui mare territoriale o nelle sue vicinanze, si trovi una nave in una situazione di pericolo è, infatti, “il titolare primario dell’obbligo di portare soccorso ed è responsabile della conclusione del salvataggio”.

La nave che si trova quindi in una situazione di pericolo implicante una minaccia per la vita delle persone a bordo, qualsiasi sia lo status di questi passeggeri, gode di un ‘diritto’ di accesso al portoNon solo.

Il “Niet” programmatico (e non solo occasionale) opposto dal ministro dell’Interno italiano, Matteo Salvini, all’accesso ai porti italiani a imbarcazioni che abbiano effettuato il soccorso in mare, “comporta la violazione degli articoli 2 e 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, applicabile poiché l’Italia, nel coordinare l’azione SAR (Search And Rescue), esercita funzioni esecutive al di fuori del proprio territorio”, conformemente al diritto internazionale.

Le persone soccorse si trovavano, osserva Fachile, in evidente necessità di cure mediche urgenti, nonché di generi di prima necessità (acqua, cibo, medicinali), e tali bisogni non potevano esser soddisfatti in alto mare. Le condizioni alle quali gli stessi sono stati sottoposti determinano l’esposizione di uomini, donne e bambini ad un reale trattamento disumano e degradante (in violazione dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo) e ad un serio rischio per la loro vita (in violazione dell’ art. 2 cedu).

Sulla nave Aquarius vi erano richiedenti asilo e rifugiati, pertanto la scelta del governo italiano di negare un porto sicuro a queste persone, anche poiché le operazioni di soccorso erano state gestite dalle autorità italiane, avrebbe potuto comportare per lo Stato Italiano la violazione del principio di non refoulment, ai sensi dell’art 33 della Convenzione di Ginevrasullo Status dei Rifugiati del 1951 se non si fosse trovato un porto sicuro”.

Il principio di non refoulment è un principio di diritto internazionale generale, vincolante per tutti gli Stati anche indipendentemente dalla ratifica della Convenzione del 1951; esso stabilisce il divieto di respingimento verso qualsiasi luogo in cui una persona potrebbe trovarsi esposta al rischio di persecuzione e/o di condizione ascrivibile a trattamento disumano e degradante, trattamento nel quale si sono trovati a vivere coloro che erano da giorni in alto mare in assenza di approdo in porto sicuro.

Sotto il  profilo del diritto penale, poi, secondo i giuristi Asgi, l’obbligo di prestare soccorso configura una precisa prescrizione giuridica, la quale non può essere disattesa: “Si ritiene che la condotta tenuta dall’MRCC di Roma sia stata suscettibile da integrare almeno la fattispecie dell’omissione di soccorso ai sensi dell’art. 593 c.p. A ciò si aggiunga che se dal ritardo dell’ingresso fossero derivate (o dovessero derivare) morte o lesioni in capo alle persone a bordo, ciò integrerebbe fattispecie penali autonome, quali omicidio o lesioni, che sarebbero imputabili a tutta la catena di comando italiana in ragione dell’evidente dovere giuridico di salvaguardia della vita che incombe sul paese che coordina i soccorsi”.

Il  braccio di ferro diplomatico attuato parte del governo italiano con le Autorità di Malta e con la UE ha messo a rischio la vita di centinaia di persone ed il rispetto di basilari diritti della persona e ciò costituisce un precedente gravissimo nella storia europea”, conclude Fachile. Che però sottolinea: “Il governo italiano aveva tutti gli strumenti legali e politici per far valere nella fase di discussione e votazione del Regolamento Dublino IVle argomentazioni che ha portato invece sul piano mediatico”.

Come dire: l’utilizzo della forza contro persone in stato di necessità dimostra l’esplicita volontà di non proporre politiche costruttive da parte del governo in carica. Sarebbe stato possibile, per il ministro degli Interno Salvini, recarsi a Bruxelles e discutere della necessità di ripartizione equa dei rifugiati fra gli stati europei, facendo valere in modo democratico e legale presso tale sede le priorità individuate dall’esecutivo italiano, senza incorrere nelle violazioni dei diritti umani fondamentali e delle norme cogenti.

Così non è stato. Perpetrando violazioni ripetute tanto del diritto internazionale quanto del diritto interno in materia di soccorsi in mare.