I populismi e il declino della sinistra
Diritto e libertà
Il titolo di questo testo nasce da una constatazione che è sotto gli occhi di tutti: l’imperversare mediatico del termine “populismo”, unito alla riflessione sul declino della sinistra. Prendo le mosse dalla questione della sinistra per mostrare come l’abuso mediatico-semantico di “populismo” sia un modo sbrigativo e opaco per liquidare l’attuale situazione sociale di precarietà e insicurezza economiche ed anche politico-culturali.
Si tratta di un modo sbrigativo e opaco, come detto, perché ha lo scopo di non affrontare effettivamente un altro aspetto, che della precarietà e insicurezza è la conseguenza: l’annebbiarsi della forma di governo democratico-rappresentativa accompagnato dalla evanescenza dei corpi intermedi, partiti e sindacati. Quest’ultimo aspetto ne chiama in causa un altro, che probabilmente è all’origine dei due precedenti: la globalizzazione economico-finanziaria come motore dell’economia globale di mercato, strettamente connessa con l’affermazione delle tecnologie informatiche e robotico-virtuali. Questa connessione si è definitivamente consolidata nel primo ventennio del XXI secolo, provocando quelle conseguenze nell’abitudine mentale, sia degli ambienti dirigenziali, sia di quelli umani in generale, che hanno portato appunto al connubio di “populismo” e “declino della sinistra”: fenomeno mediatico il primo, fattuale il secondo.
Vengo ora alla questione della sinistra, che, dico subito, credo debba essere ragionata in un contesto più ampio. Mi spiego. Comincio con un dato generazionale. Per i più anziani si tratta di una riflessione segnata da una nostalgia ed un rammarico insieme, per il venir meno di categorie politico-culturali la cui dialettica (“destra/sinistra” e “borghesia/proletariato”) ha attraversato la storia contemporanea del secondo ‘800, almeno fino agli anni ’90 del ‘900. Per i più giovani, per quelle generazioni cioè nate a partire dal ’70 e formatesi negli anni ’90 e successivi 2000, si tratta, invece, di categorie prive di senso sia culturale che politico. E si potrebbe aggiungere, ma solo con un cenno, perché approfondire significherebbe in questa sede perdere il filo del discorso, che con il divario generazionale sia venuta meno una forma stessa di ragionamento, quella che si costruiva attraverso le astrazioni “categoriali” (Soggetto, Ordinamento, Classe etc.), a beneficio di un pragmatismo negoziale diretto non a mettere le cose in ordine, ma a tenerle in equilibrio.
Dunque, il contesto più ampio. La dialettica “destra/sinistra” si è storicamente costruita all’interno della comune cornice di riferimento, rappresentata dalla Stato, inteso come ente “sovrano” e, quindi, non subordinato a nessun altro ordinamento né a regole economiche che provenissero da enti sovrastatuali. Le categorie “destra” e “sinistra” corrispondevano, in questo contesto, a due modelli di promozione umana e sociale. Il modello, detto di “destra”, di tipo individualistico-liberale, era fondato sulla competizione tra soggetti privati, con il fine di premiare il merito e la capacità d’intrapresa, sotto l’egida di uno specifico impianto giuridico (il codice del diritto dei privati); l’altro modello, detto di “sinistra”, di tipo social-solidaristico, ha avuto come fine direttivo non premiare i meriti ma soddisfare i bisogni. Tra i due modelli cambiava anche il soggetto protagonista: per la destra l’attore era l’individuo con la sua libertà innata (il borghese), per la sinistra protagonista era un soggetto collettivo, cioè una formazione sociale resa omogenea dalla comune condizione economico-esistenziale (la classe operaia per antonomasia). Questi due modelli hanno alle spalle due visioni cultuali, sia filosofiche sia storico-politiche, tra loro dialettiche ma entrambe prodotte dal razionalismo moderno e centrate sull’idea antropologica di “soggetto” inteso come categoria che permea la mente e orienta l’agire dell’uomo, di qualsiasi uomo..
Conosciamo tutti gli eventi tragici che hanno segnato la storia di questa dialettica tra la seconda metà dell’800 e la prima metà del ‘900. Alla fine di tanto travaglio, nel secondo ‘900 l’affermarsi e consolidarsi in Europa delle democrazie rappresentative, e la conseguente epoca di pace e di diffuso benessere sociale, ha avuto a suo fondamento due fenomeni. La presenza decisiva dei corpi intermedi, partiti e sindacati, ed il processo di redistribuzione del reddito operato “dallo Stato sociale di diritto”. Questi due fenomeni hanno pragmaticamente trasformato la dialettica ideologica “destra/sinistra” in un confronto fisiologico all’interno della istituzione statuale. A riprova di ciò, è significativo che il fenomeno brigatista, che ha colpito l’Europa negli anni ’70, aveva come obiettivo proprio lo Stato di diritto, accusato di aver spuntato le armi della rivoluzione proletaria.
Con il XXI secolo tutto questo impianto culturale e politico è stato spazzato via. Soprattutto è stata spazzata via la qualificazione delle due soggettività che hanno fatto la storia di quella dialettica: la borghesia e la classe operaia. Si può dire, semplificando, che la causa è in due fattori, tra loro connessi: la finanza globale e la tecnologia comunicativa del Web. La loro connessione si realizza attraverso l’imporsi di una inedita categoria temporale: l’“immediatezza”, che destruttura la sequenza classica passato/futuro. Per ciò che possiede l’effettività dell’immediato, infatti, perde di importanza sia il passato (la storia), sia il futuro (il progetto) e lo stesso presente si risolve in un “puntistico accadere”. È insomma il dominio dell’uomo sul tempo, realizzato attraverso l’effettività dell’ istante (termine anticamente carico di metafisica), che destruttura la sequenza temporale passato/futuro, la quale, invece, è condizione e misura della possibilità stessa del progettare umano nel presente.
La finanza globale ha creato poteri di fatto, privi cioè di una legittimazione giuridica se non quella, privatissima, legata agli interessi degli azionisti, che possiamo definire “potentati”. Essi sono venuti assumendo quella incisività, che con terminologia tecnica si definirebbe “effettività”, sulla scenario mondiale, che ha finito per mettere in discussione la sovranità, in senso politico e giuridico, dello Stato, consegnandolo ai responsi delle agenzie di rating. In due parole: l’effettività del potere finanziario si fonda sull’ineffettività della politica, nel senso che l’effettività di cui parlo si alimenta proprio del radicarsi e diffondersi, nella mentalità dell’uomo comune, della inutilità della politica. Come dire che il principio fondante di tale dominio sta nell’annientamento del “politico”, così come si è costruito nel Secondo Novecento, e che ha avuto quella stabilizzazione delle democrazie parlamentari, attraverso l’istituzionalizzazione dello “Stato sociale”, cui ho accennato qualche riga addietro.
La subordinazione dell’economia reale all’economia finanziaria determina una serie di conseguenze che vanno a colpire l’ambiente sociale come tessuto dotato di una stabilità: l’ottimizzazione, in termini di immediatezza del profitto, infatti, sposta la competizione economica dal piano degli investimenti (futuro) a quello della riduzione dei costi (immediatezza). Quindi licenziamenti, precarizzazione del lavoro, delocalizzazione delle aziende e così via e quel che resta del “politico” classico non ha strumenti per farvi fronte efficacemente.
Il secondo fattore: la tecnologia comunicativa del Web, cui non bisogna dimenticare di affiancare la realtà virtuale prodotta dalla intelligenza artificiale. Il Web arriva direttamente alle persone, cogliendole nella loro singolarità, e colpendone direttamente le istanze, i bisogni, i disagi, le paure… e chi non ne ha! Va a investire quello spazio di vita che possiamo definire “orto di casa”: quel mondo del quale ciascuno di noi vuole mantenere il controllo, pena lo spaesamento e l’insicurezza. L’effetto è duplice: la sostituzione del cosiddetto “impatto”, che si concretizza nell'immediatezza della reattività, alla lentezza del pensiero (l’espressione è il titolo di un libro del 2014 di Lamberto Maffei) e il liquefarsi di ogni spazio relazionale e associativo, come momenti esistenziali di compensazione ed elaborazione della solitudine e del ragionamento. Tutto si risolve in una rete di segnali brevi, che arrivano immediatamente in modalità reattiva, creando l’illusione di una “amicizia”, che lascia però ognuno con la propria singolarità e la personale solitudine di vita. Maffei insegna che la tecnologia dell’impatto e dell’immediatezza modifica il funzionamento delle aree cerebrali, mettendo a riposo quelle che presiedono al pensiero. Nasce così quella che altrove ho definito l’epoca del “post-pensiero”, nella quale lo smartphone e il cane hanno preso il posto degli occhi e della voce dell’altro e degli altri.
La frantumazione del legame sociale nel suo complesso si manifesta nell’assenza di un’opinione pubblica, in senso classico nell'incapacità di elaborazione di un pensiero critico, argomentato e articolato, nell’affermarsi della “pancia”; in breve dai twitter ai sondaggi, l’orizzonte umano appare appiattito su di una orizzontalità priva di confini, dove ogni realtà è significativa solo se è assertiva, asciutta, immediata e simultanea ed esiste solo nella sua spesso icastica aggressività.
Riassumendo: effettività dei potentati finanziari e tecnologia del Web stabilizzano la frantumazione del legame sociale, sotto forma di individualismo e inaffidabilità, diffidenza relazionale, antagonismo intergenerazionale, chiusura dei ceti, corruzione eretta a sistema, lobbismo… E qui si annida quell’effetto “moltitudine di diseredati” che viene detto spregiativamente “populismo”, ma che in realtà è il conglomerato di un profondo disagio esistenziale che ha causa in quella connessione di fattori che ho rapidamente disegnato. Questa “moltitudine” è sempre esistita nella storia; solo che un tempo non aveva voce in capitolo e soprattutto non votava. Occorre aspettare la metà dell’’800, perché la moltitudine conquisti una sua specifica soggettività storica (la “classe operaia”) e diventi la protagonista del suo tempo in competizione dialettica con la borghesia. Oggi, quella moltitudine che un tempo non votava, vota e, tuttavia, il suo tornare ad esistenza non ha bisogno, in analogia con il passato, di un “pensiero”, ma di un “capo”. La Storia lo ha insegnato... e l’attualità va mostrando esempi significativi; Russia, Cina, Turchia, Egitto... la stessa espressione dei media italiani “capo politico” è molto ambigua.
È in questo contesto che viene in considerazione la perdita di senso delle categorie storiche “destra/sinistra” e con esse della politica stessa: il capitalismo finanziario, infatti, non ha più niente di “borghese”, né l’attuale moltitudine di diseredati è riconducibile ad un qualche “soggetto collettivo”, nel quale riconoscersi e sperare in un riscatto storico. Qui sta, in particolare, il “declino della sinistra”. La ragione più ravvicinata sta nel non aver saputo fronteggiare con un disegno politico credibile l’egemonia della finanza lasciando, quindi, senza speranza quell’odierno disagio esistenziale che, storicamente, ne era stato il seme originario. Ma la domanda è: nell’epoca dello smartphone e del Web, cioè del “post-pensiero”, può avere ancora realtà un orientamento umano che si è sempre alimentato di pensiero, sotto forma di “visione del mondo” e di “progetto di società”, capaci di redimere l’uomo da uno stato di subordinazione economica ed esistenziale?
La risposta è problematica; il suo perché sta, come ho detto, dalla perdita di significato del tempo come futuro, e quindi, proprio, come visione del mondo e progetto. Espressioni, queste, che implicano la credenza nel futuro come forma mentis propria dell’uomo comune. Oggi, invece, il futuro si consuma nel contrappunto che ho stabilito tra l’immediatezza della reazione e la lentezza del pensare. Per l’uomo comune, afflitto da una precarietà di vita sempre più pervasiva, non esiste più il domani, ma solo il qui e ora.
Se la sinistra vuole rinascere e non sopravvivere nel retrobottega deve riuscire a coniugare l’immediatezza delle risposte con la lentezza del pensare un progetto: la reattività dell’immediatezza con la riflessione per il domani. La tecnologia del Web rende l’operazione difficilissima; ma non bisogna arrendersi. Esistono luoghi da aggredire: spezzare il dominio del Web riproponendo un associazionismo credibile. Lo stare insieme, i visi degli altri, gratificano il singolo più di una faccetta; ma “gli altri” devono essere persone umanamente affidabili e credibili, cioè oneste. Affermare la dignità del lavoro insieme alla responsabilità sociale dell’attività imprenditoriale. L’assistenza sanitaria, la cui organizzazione deve essere sottratta da un lato alla logica del mercato e dall’altro alla strumentalità dei profitti privati, sia economici che lobbistico-politici. L’istruzione, dove le nuove tecnologie devono aiutare, non sostituire, le modalità di formazione di un sapere che oltre ad essere tecnico-scientifico non tralasci il profilo umanistico.
In definitiva, la sinistra può ancora esistere nel suo spirito originario, attraverso interventi puntuali come: difendere l’ambiente umano dal dominio della finanza e delle lobbies di potere e restituire credibilità alla legalità ed alla politica. Ma quale generazione potrà far questo? Quella formatasi all’epoca del “post-pensiero” o quella degli attuali ventenni?