Una sfida renziana al centro-destra berlusconiano non è possibile. A destra infatti non manca solo un Renzi, ma soprattutto un PD. In Italia non c'è più traccia di una destra europea. Però non è detto che per gli ex elettori del centro-destra liberale l'unica alternativa al crepare berlusconiani sia il morire demo-renziani.

Meno di due anni fa, nell'autunno del 2012, nessuno immaginava che il rottamatore presto sarebbe stato salutato come un salvatore dai rottamati e dagli elettori tutti (o quasi) della sinistra italiana. Non solo quelli che nel 2013 avevano votato per il partito apparentemente più contiguo al "cambiar verso" renziano, Scelta Civica, o spazientiti dall'oligarchia rossa e inseguendo le mitologie moraliste post-berlingueriane si erano votati all'antipolitica grillina. Ad essere stati conquistati dall'infedele Renzi sono stati innanzitutto gli elettori più fedeli, che avevano reagito d'istinto all'intruso e alla sua eventuale vittoria alle primarie del 2012, minacciando una sorta di auto-scissione o auto-espulsione dal partito che l'avesse inopinatamente candidato premier nello scontro tutto "berlusconiano" con il Caimano.

Se, come dimostrano le analisi dei flussi elettorali, Renzi ha stravinto perché ha prosciugato SC e eroso parte del consenso grillino, è soprattutto vero che Renzi ha vinto perché ha riportato al voto tutti quelli che avevano votato per Bersani e in primo luogo lo zoccolo duro della sinistra anti-renziana. Anche quell'elettorato così consapevole di sé e scontento del mondo, da preferire "costituzionalmente" la rinuncia al compromesso e l'opposizione al governo, alla fine si è disciplinatamente accodato al commissario liquidatore della sinistra post-comunista. In questo ha giocato, probabilmente, il richiamo lato sensu antifascista risuonato nella foresta democratica di fronte all'ipotesi di finire elettoralmente sotto l'oltre Hitler di Sant'Ilario. Ma ha soprattutto contato la forza performativa del linguaggio renziano in un campo in cui le coordinate culturali e ideologiche sembravano "date" e le scelte comunque condizionate.

Perché le coordinate cambiassero - e quindi perché il corpaccione della CGIL e il ceto medio riflessivo potesse votare il PD di un tizio che alla Camusso non fa mistero di preferire sia Landini che Marchionne - serviva qualcuno che non le riconoscesse come tali, non se ne sentisse vincolato e non avesse remore a spacchettare la sinistra frustrata e incartata in una geografia morale e politica pre-contemporanea. Renzi a suo modo l'ha fatto e il suo PD, anziché perdere i pezzi, ha rincollato i cocci di un mondo che la retorica dell'unità aveva diviso, alimentando incomprensioni e inimicizie.

Che cose resterà di tutto questo è ancora presto per dirlo. Ed è legittimo nutrire più di un sospetto sulla solidità culturale di un disegno che, a differenza del blairismo o del clintonismo, a cui viene normalmente accomunato, non sembra avere la stessa forza e la stessa profondità storica, né la medesima ambizione. Rimane il fatto che Renzi ha ricomposto la sinistra, perché ha rotto il sacro patto che ne garantiva gli equilibri.

Una sfida di questo tipo a destra è più difficile, ma in prospettiva ancora più necessaria. Più difficile, perché prima di mancare un Renzi, a destra manca un PD, cioè un'infrastruttura politica in grado di suscitare e tollerare una sfida competitiva. Più necessaria perché in quel che rimane del centro-destra italiano non c'è più nulla che assomigli a un progetto di governo e possa, almeno teoricamente, avvicinare i numeri del partito renziano.

Del partito carismatico berlusconiano, il partito non è mai esistito e l'affievolirsi del carisma ha dissolto anche quel simulacro di organizzazione politica che, nella stagione del consenso, aveva accompagnato l'esercizio personale del potere interno e della rappresentanza esterna da parte del Cav.. Senza il PD - e dunque senza la scommessa di Veltroni e la fedeltà di Bersani al principio della contendibilità democratica della leadership - Renzi non sarebbe mai esistito. In un centro-destra tuttora Berlusconi-centrico la competizione politica è condannata ad essere esterna e a muoversi in una prospettiva diversa. Il centro-destra, così com'è, è infrequentabile e inalleabile, in primo luogo per quanti avevano coltivato l'illusione che dall'anomalia berlusconiana sortisse per partenogenesi una destra normale, cioè uno schieramento liberal-conservatore di cultura e stile occidentale.

Berlusconi, in cambio di una nuova giovinezza politica, è disposto a vendere l'anima a qualunque diavolo - oggi Salvini - che gli riconosca uno spazio di manovra sempre più residuale e sempre meno generale, sia nella rappresentanza degli interessi, che nella visione d'insieme. Così è finito anche lui arruolato a difendere la trincea antiliberale che Tremonti aveva scavato sotto il racconto thatcheriano e perfino a raccogliere il testimone dell'antagonismo sociale.

Si potrebbe dire che Berlusconi è diventato comunista - obbedienze moscovite comprese. La firma dello stato maggiore di Forza Italia sul referendum leghista contro la riforma previdenziale è una via di mezzo tra il 25 luglio e l'8 settembre del berlusconismo. Escluso dal salotto buono della destra europea, il Cav. si è accomodato immediatamente nelle fila dell'anti-destra anti-europea. Così l'Italia è il solo paese dell'Ue in cui una destra non lepenista oggi non esiste, o esiste solo nominalmente - se così vogliamo considerare il Nuovo Centro Destra - nel perimetro del monocolore renziano, come appendice dell'esecutivo PD.

La sfida a questa anomalia non può essere portata dall'interno, anche perché un interno, in senso proprio, da quella parte neppure c'è. Sarebbe comunque una sfida di minoranza a una vocazione minoritaria e a un destino d'opposizione, coltivato come sola ragionevole alternativa ai rischi del governo. Nei fatti avvicinerebbe dunque gli sfidanti al loro fortunato collega di sinistra, che in meno di due anni si è preso tutto, avendo da principio contro tutti.

A destra però non servirebbe una Leopolda, ma un partito-bypass, un sistema di circolazione parallela in grado di aggirare l'occlusione costituita dalla lepenizzazione del centro-destra italiano e di riattivarne il circolo sanguigno. Sempre che non ci si persuada che per gli ex elettori del centro-destra liberale che non vogliono crepare berlusconiani non ci sia alternativa al morire demo-renziani, il che sarebbe però un'anomalia nell'anomalia e un congedo definitivo dalla normalità.

Renzi ha dimostrato che per fare il pieno dei voti di sinistra, occorre cambiare radicalmente la sinistra. Non c'è ragione per pensare che nello schieramento avverso le cose debbano funzionare diversamente. Se per prendersi i voti di Bersani non occorre dar ragione a Bersani, per prendersi quelli di Salvini e riprendersi quelli dispersi nella frustrazione e nello scontento (che sono grosso modo la metà di quelli che aveva in dote il berlusconismo vincente) l'ultima cosa che serve è dare ragione a Marine Le Pen.

@carmelopalma