olimpiadi

Amburgo si è ritirata dalla competizione per le Olimpiadi del 2024, a seguito del referendum mediante il quale gran parte della cittadinanza si è espressa in senso contrario all’organizzazione dei Giochi. E’ l’ennesima occasione in cui la popolazione, consultata da parte di governanti attenti all’importanza di decisioni condivise con gli interessati, rifiuta di accogliere questo genere di eventi.

Autorevoli pareri dimostrano da tempo che manifestazioni di questo genere non convengono ai Paesi ospitanti, in quanto comportano costi non compensati dai benefici conseguenti. Ciò nonostante Roma, che non versa di certo in condizioni floride sotto molti punti di vista, resta in gara per le Olimpiadi 2024, con ottime possibilità di aggiudicarsi la vittoria. Infatti il numero dei contendenti continua a ridursi: nel luglio scorso, il sindaco di Boston aveva rinunciato alla candidatura della città per non “mettere a rischio i soldi dei contribuenti” con investimenti atti a configurare quasi un azzardo.

Non si intende entrare nel merito della designazione della Capitale, bensì rimarcare il metodo mediante il quale la relativa decisione è stata assunta dalle istituzioni competenti. Esso rende, ancora una volta, palese l’impostazione autoritativa di certe amministrazioni, a livello locale e nazionale: non consentendo il coinvolgimento della cittadinanza in decisioni destinate ad avere su di essa impatti diretti e indiretti di non poco conto, le si preclude la possibilità di vagliare modalità e mezzi mediante i quali – in casi particolarmente importanti – vengono perseguiti e salvaguardati non meglio precisati interessi generali.

O, forse, il rischio di un eventuale esito referendario dissonante rispetto a una narrativa politica volta a infondere ottimismo induce a evitare una consultazione popolare? Eppure, determinate deliberazioni necessiterebbero di essere “legittimate”, sotto il profilo del consenso sociale, attraverso il rafforzamento della componente “relazionale” con i cittadini. Pratiche partecipative sono raccomandate da tempo in sede internazionale (v. Libro bianco sulla governance della Commissione UE; Oecd, “Citizens as Partners: information, consultation and public participation in policy-making”), nonché adottate e disciplinate in vari Paesi, anche al fine di rafforzare il senso di appartenenza dei singoli alla collettività di riferimento. Peraltro, per quanto specificamente attiene al caso in esame, lo Statuto di Roma Capitale, tra i principi programmatici, promuove il più ampio intervento degli abitanti al governo locale e un apposito Regolamento disciplina la “partecipazione dei cittadini alla trasformazione urbana”.

Un significativo coinvolgimento delle comunità interessate in scelte che richiedono l’investimento di pubbliche risorse sarebbe necessario, innanzitutto, in considerazione della circostanza che “la distanza temporale tra la candidatura e la manifestazione implica che, nella maggior parte dei casi, i responsabili della scelta di concorrere all’assegnazione non ne sostengano neppure gli eventuali costi elettorali, pur incamerando significativi benefici d’immagine” (M. Trovato): dunque, alla decisione dovrebbero partecipare coloro i quali, a differenza dei governanti, continueranno a subirne personalmente le conseguenze, vale a dire gli appartenenti alla comunità cittadina. Inoltre, l’ospitalità dei Giochi comporta costi che, al netto di quelli sostenuti dagli sponsor, vengono finanziati mediante tassazione, rendendo così i contribuenti coercitivamente partecipi di una sorta di “rischio di impresa” che non hanno assunto con consapevolezza: la consultazione popolare avrebbe l’effetto di responsabilizzare questi ultimi circa una scelta di investimento che, sotto il profilo economico, potrebbe non essere un successo.

Soprattutto, un referendum avente a oggetto la candidatura alle Olimpiadi otterrebbe l’indubbio risultato di suscitare un dibattito pubblico, atto a far emergere e porre in discussione argomentazioni contrapposte, e conseguentemente di innestare quei meccanismi di controllo sociale in forza dei quali i decisori sono “obbligati” a rendere conto delle scelte effettuate. Questi ultimi sarebbero così chiamati a sottoporre al sindacato generale le motivazioni in base alle quali sostengono la validità dei Giochi, fornendo solide evidenze - sotto il profilo organizzativo, economico e urbanistico – circa i vantaggi che ne potrebbero scaturire.

Nell’ipotesi in discorso, pertanto, non basterebbe dichiarare l’opportunità dell’evento “in funzione del feel-good effect, un aumento del livello di felicità sovente testimoniato dalle popolazioni dei paesi ospitanti”; o affermare la generica esigenza di conferire visibilità e attrattività alla Capitale mediante un avvenimento di rilevanza mondiale; o qualificare teoricamente quest’ultimo come “occasione irripetibile per il rilancio e lo sviluppo del Paese”; o rimarcare la necessità di un miglioramento della qualità della vita e competitività della città, come se l’organizzazione di un’Olimpiade innestasse quasi magicamente un circolo virtuoso di crescita e progresso, in forza dell’astratto assunto che la spesa pubblica sia sempre idonea a tradursi comunque in valore aggiunto. In sintesi, non sarebbero sufficienti “considerazioni generiche.. discorsi alati o.. promesse fondate sulle buone intenzioni (…) non si tratta di promesse e di intenzioni. Si tratta di soldi: soldi nostri, fino a prova contraria”. In caso di ricorso a una consultazione, invece, i sostenitori della candidatura - che “sottostimano con regolarità assoluta le spese richieste e adottano assunzioni molto generose sulla ricaduta di tali esborsi” (M. Trovato) - dovrebbero rispondere circa l’esame svolto sugli effetti della scelta operata, dettagliando gli esiti della valutazione compiuta anche mediante una analisi dei costi e dei benefici connessi; fornire serie stime circa gli impatti, economici e non, dell’evento; dimostrare “che le risorse investite comporteranno dei benefici superiori a quelli che sarebbero stati conseguiti se le stesse fossero rimaste nelle tasche dei contribuenti” o destinate a impieghi alternativi caratterizzati da una più elevata redditività (F. Ramella). La conseguenza di un referendum pubblico potrebbe essere, in ultima istanza, quella di scoraggiare decisioni politico-amministrative improvvisate e non adeguatamente supportate da un’esaustiva considerazione delle implicazioni che ne deriveranno e dei relativi risultati.

Uno stile di amministrazione tendente a consolidare, da un lato, l’accountability dei decision maker, dall’altro, il senso di responsabilità delle collettività locali non può pertanto prescindere dalla trasparenza delle motivazioni poste a base delle scelte e, conseguentemente, dalla sindacabilità delle stesse da parte dei soggetti interessati. Sottoporre la decisione di ospitare le Olimpiadi 2024 al vaglio dei cittadini rappresenterebbe una dimostrazione di buon governo. Sarà un’occasione sprecata?