Ilda Boccassini compie 70 anni e va in pensione. Pubblichiamo per gentile concessione dell'autore un pezzo semi-serio (poco "semi", e molto serio - anche se amaramente ironico)  sulle dispute tra la pm milanese e il suo imputato più famoso, Berlusconi, al tempo del Rubygate.

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Non assomiglia certo a un satiro quel “mariuolo” impenitente braccato da “Ilda la rossa”. Piuttosto che il “satiro senile”, evocato da Francesco Merlo, il Silvio di Arcore sembrerebbe l’archetipo del “briccone divino” raccontato da Paul Radin. Ma in una declinazione da commedia all’italiana e non da tragedia greca. Pierino, piuttosto che Nietzsche. Il nostro eroe, infatti, non scrive ditirambi a Dioniso, ma si limita a fare il paroliere di uno strimpellatore napoletano: Mariano Apicella.

E il pensiero corre ad Alvaro Vitali, Lino Banfi e Sergio Montagnani. Alla commedia erotica piuttosto che alla “nascita della tragedia”. A “stracult”, piuttosto che ai classici. Silvio-Pierino e “Ilda la rossa” diventano, così, una straordinaria coppia di opposti. Come Achab e la balena bianca, Pinocchio e i gendarmi, Totò braccato da Aldo Fabrizi.

Ma la sete di vendetta, qui, è tutta femminile. Ed è una “balena rossa” ad inseguire un improbabile Silvio-Achab. A non dargli respiro. “Ilda la rossa” suona la sua sinfonia e trova un reato per ogni stagione. Silvio scappa cantando “O sole mio”, accompagnato da Apicella, e Ilda lo insegue al ritmo delle quattro stagioni di Vivaldi, il “prete rosso”. Silvio scappa sul falso in bilancio e la concussione e Ilda lo marca stretto sullo sfruttamento della prostituzione. Orgia dopo orgia, sentenza dietro sentenza, in una parodia del “Processo” di Kafka.

Perché è kafkiana questa “giustizia” che, nel suo assurdo e perverso potere burocratico, non vede le minorenni e i loro sfruttatori che affollano le strade di un paese in declino e si accanisce, con cieca ipocrisia, contro il suo nemico di sempre. Ma il Signor B. somiglia poco al Signor K. E di senso di colpa non soffre per niente, tant’è che della mela che fu fatale ad Adamo, offre una parodia, una barzelletta alla Pierino. E così, la mela del peccato diventa “il lato B della mela”. Insomma, Berlusconi avrebbe risposto, persino alla cacciata dall’Eden, con una sonora e scurrile barzelletta. Impenitente persino di fronte a Dio onnipotente.

Persino la sua inflessione milanese, sembrerebbe fare il verso al “pugliese maccheronico” di Lino Banfi. In una infinita parodia, Silvio-Pierino incarna il mito del self-made-man all’italiana, il mito dell’efficienza padana e della "demenza" napoletana ad un tempo. E ci ricorda che Homo/Sapiens – come afferma Edgar Morin – è anche Homo/Demens.

Peccatore impenitente, “briccone divino” e “mariuolo napoletano” a un tempo, Silvio-Pierino sarebbe in grado di sognare un amplesso persino con la coscienza (“falsa”) che lo insegue. Capace di trasformare “Ilda la rossa”, in “Ilda la dolce”. Capace di trasformare, un’aula di tribunale, in un set cinematografico; dove si gira il sequel di quelle commedie che hanno reso famose Edwige Fenech e Barbara Bouchet.

Silvio-Pierino non merita, forse, una condanna per aver concupito la minorenne Ruby (e neppure Alvaro Vitali o Lino Banfi avrebbero pensato – in una battuta fulminante – di attribuire a Mubarak, un capo di stato, la paternità di una maliarda zingara). La merita, piuttosto, per aver fallito - in un lungo ventennio – tutte le riforme liberali che aveva promesso. E così, del liberale resta poco più che un “libertino”, mezzo Pierino e mezzo Casanova.

Tradito, persino, dalle "sue" donne che, quasi, riescono nell’impresa di strappare, al “puttaniere”, la firma su una legge che punirebbe anche le sue condotte impenitenti. E il paradosso, tutto all’italiana, si fa "nemesi". Contrappasso.

Forse, gli italiani concederebbero a Silvio-Pierino il divorzio da “Ilda la rossa”. E sarebbe, ancora, un “divorzio all’italiana”. Ma sarebbero, forse (ma non tutti ovviamente), meno indulgenti nei riguardi di un divorzio dalla storia. E così, piuttosto che “Silvio il grande”, ricorderebbero “Silvio-Pierino il breve” (per fare il verso a quel "Pipino il breve" che diede i natali ad un grande imperatore). Non tanto per la durata del suo (lungo) “impero”, quanto per quella dei suoi amplessi.

Sarebbero meno indulgenti nei confronti di chi, recitando una commedia, rischierebbe di trascinarci in una tragedia.