Perri Trump

Tra il 1855 e il 1867, nel corso dell’epopea americana abolizionista, Walt Whitman – nel suo “Foglie d’erba” – così profetava su compiti e origini della Democrazia del Nuovo Mondo senza diversi e schiavi:

Dopo tutto non solo per creare, o solo per fondare,
ma per portare forse da lontano ciò che fu già fondato,
per dargli la nostra identità e la nostra media, liberi,
illimiti,
[…] non per respingere o distruggere quanto per accettare,
fondere, rivalutare,
per obbedire come per comandare, per seguire più che
per guidare […]

È l’inno evidente all’esposizione e alla apertura americana, l’inno alle lezioni di un Nuovo Mondo pronto a farsi erede di una tradizione in cerca di una nuova traduzione; un Mondo pronto ad accogliere le masse rozze della modernità con questa domanda universale:

Straniero, se tu passando mi incontri e desideri parlare
Con me, perché non dovresti parlarmi?
E perché io non dovrei parlare con te?

Era l’America dalla voce potente, del “corpo elettrico” e senza paura di chi così rappresenta la propria anima collettiva:

[…] uno del Sud e uno del Nord, un piantatore indifferente e
Ospitale che sono, che vive presso l’Oconee,
uno Yankee diretto per la sua strada e pronto a
commerciare, le mie articolazioni sono le più flessibili
e le più robuste articolazioni sulla terra,[…]
di ogni colore e di ogni casta io sono, di ogni rango e di
ogni religione,
agricoltore, meccanico, artista, gentiluomo, marinaio,
quacchero,
prigioniero, protettore, teppista, avvocato, medico,
prete.

E per tutto questo il grande poeta americano - con lo sguardo rivolto al Vecchio Mondo, all’Europa scossa da divisione, fratricidio, povertà e staticità – invitava così la Musa della poesia, della religione, della storia e della democrazia all’emigrazione:

Vieni Musa emigra dalla Grecia, dalla Ionia,
cancella ti prego quei conti immensamente già pagati,
la storia di Troia e dell’ira di Achille, il vagabondare di
Enea e di Odisseo,
affiggi “Trasferito” o “Da affittare” sulle rocce del tuo
Parnaso innevato,
ripetilo a Gerusalemme, metti gli stessi cartelli sul
cancello di Jaffa e sul Monte Moriah,
lo stesso sui muri dei tuoi castelli tedeschi, francesi,
spagnoli e sulle opere d’arte italiane,
e sappi che una migliore, più fresca, più operosa sfera, un
dominio vasto, intentato ti reclama.

Ed oggi, in America? Oggi Trump – ma per fortuna non il Repubblicano e combattente John McCain – rinnega la differenza qualitativa, l’origine nobile della potenza americana per svenderla e boicottarla (con la minaccia di uscita dalla NATO e l’oltraggio continuo agli europei) e per inaugurare un nuovo (dis)ordine mondiale a braccetto con l’Orso russo e per l’apocalissi dell’Occidente! Contro Whitman, l’America del Tycoon è la forza capofila dell’egoismo isolazionista, il tradimento di ogni universalismo etico, la rinuncia all’egemonia fondata su questi versi:

L’individuo io canto, una semplice singola persona,
eppur pronuncio la parola Democrazia, la parola
In-Massa.
[…] La Vita immensa in passione, impulso, potenza,
piena di gioia, per le azioni più libere che si compiono
sotto la legge divina,
l’Uomo Moderno io canto.

E noi? Il Vecchio Mondo? Tocca a noi richiamare indietro la Musa di Whitman e rivendicare l’orgoglio dell’origine offesa e tradita. Anche e soprattutto reclamando le opportunità di pace e collaborazione scaturenti dagli scambi liberi da dazi, dal commercio proficuo e reciproco, dall’accoglienza umanitaria e dalla cooperazione internazionale, senza paure.

Purtroppo, invece, da un lato la Brexit sembra suggerire il contrario (anche se basterebbe un Labour degno di questo nome per dare una spallata politica definitiva alla follia di una deriva probabilmente non più maggioritaria) e dall’altra l’etnicismo alla Orban e l’autarchica megalomania energumena dell’italietta grillina ottusamente scatenata ieri contro il TTIP UE-USA ed oggi contro il trattato di libero scambio con il Canada, contribuiscono ad affossare risolutivamente ogni illusione di riscatto principalmente spirituale.

Eppure, il 17 luglio u.s., il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker, il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk e il premier giapponese Shinzo Abe hanno firmato uno storico accordo di libero scambio tra Ue e Giappone, come un messaggio potente e ambizioso contro il protezionismo. Un accordo commerciale che cementa l’amicizia nippo-europea ed annulla d’un colpo la distanza geografica travolta dall’identità dei valori della democrazia liberale, dei diritti umani e dello stato di diritto.

Eppure, l'impressionante e feconda mobilità europea di cittadini, lavoratori e studenti – al netto della rivendicata staticità mortifera auspicata dal filosofo (?) Diego Fusaro contro l’Erasmus – ci rivela una identità ricca e “In-Massa” che non rinuncerebbe mai davvero alla libertà a favore della “protezione” instabile dei Leviatani l’uno contro l’altro armati.

Tutto – o quasi – congiura quindi al peggio, eppure ancora da qualche parte in Europa ed in America i porti sono aperti ad accogliere il futuro e con il coraggio di John McCain – novello Lincoln - che scorda malattia e morte per contrastare l’eresia di Trump e con la forza di chi non si arrende alla morte dei profughi in mare, potremmo forse ancora in futuro recitare – senza vergognarci – i sacri versi di Whitman:

O Capitano !, Mio Capitano! Il nostro duro viaggio è
Finito,
la nave ha scapolato ogni tempesta, il premio che
cercavamo ottenuto
il porto è vicino, sento le campane, la gente esulta […].