'7 minuti' di Placido, la crisi di oggi vista con gli occhi di ieri
Terza pagina
La crisi economica fa da sfondo a 7 Minuti di Michele Placido, film presentato alla selezione ufficiale della Festa del Cinema di Roma, e dal 3 novembre nelle sale.
La pellicola, ispirata a una vicenda realmente accaduta in Francia e tratta dall’omonima opera teatrale di Stefano Massini, racconta di un gruppo di operaie ricattate dalla grande multinazionale che ha appena acquisito l’azienda. Le undici lavoratrici del consiglio di fabbrica si riuniscono per decidere se accettare o meno la proposta della nuova proprietà: rinunciare a 7 minuti di pausa pranzo. In cambio stipendi e contratti di lavoro sicuri per tutte le altre 300 colleghe che hanno il compito di rappresentare.
Il trasporto emotivo è assicurato, per merito delle prova delle attrici e della sapiente regia di Placido, che però manca completamente l’obiettivo di raccontare l’Italia della crisi. Il regista sbaglia infatti tempi e modi della narrazione, scadendo nell’ormai usurato tema del conflitto di classe, di cui proprio questa crisi ha più che mai reso evidente l’inattualità.
La stereotipizzazione dei personaggi fa di "7 Minuti" un archetipo del mondo operaio che, chiuso in una stanza, parla di sé ma solo per poter parlare di sé.
Placido, attraverso questa vicenda, che comunque non può assurgere ad emblema della crisi del lavoro contemporaneo, prova a far rivivere la cultura della coscienza di classe, in un tempo di crisi che però ha dimostrato che la "classe operaia" non esiste più e che la disoccupazione ha colpito principalmente i più istruiti e alfabetizzati: la gioventù borghese cresciuta e pasciuta nell'opulenza a debito dell'Italia anni '80. Perché questa crisi non ha nulla di "classe", essendo piuttosto contraddistinta dalla condizione di una precarietà esistenziale diffusa e generalizzata, che non riguarda solo - e neppure soprattutto - le mitiche "tute blu" e che non è riconducibile al vecchio schema del conflitto tra capitale e lavoro.
E dunque i sette minuti in meno imposti "dall'odioso capitalismo", simbolo della lotta operaia e al contempo escamotage narrativo del film di Placido, non possono che apparire bazzecole di fronte al dramma del lavoro nell'Italia di oggi.
Le operaie del film fanno di questi sette minuti una questione evidentemente ideologica. La domanda di fondo è: cosa ci toglierà domani il padrone se oggi si cede su una manciata di tempo? Il problema se i sette minuti siano funzionali alla sopravvivenza o alla crescita economica dell’azienda, condizione necessaria per assicurare il futuro lavorativo e salariale delle operaie stesse, non viene mai posto.
Nell’Italia dell’industrializzazione e delle lotte sindacali degli anni ’70, Elio Petri ne "La classe operaia va in paradiso" e Lina Wertmuller in "Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare di agosto", ad esempio, seppero raccontare il conflitto tra classi in tutto il suo dramma e la sua forza, l'uno con poesia e sensibile ironia, l'altra con divertita sensualità. Così come Virzì in "Tutta la vita davanti" ha saputo cogliere la condizione della precarietà di oggi in Italia.
Placido purtroppo ha provato a raccontare il dramma del lavoro con categorie del passato e con gli occhi puntati sullo specchietto retrovisore, dando un'immagine tanto scontata quanto stereotipata di un conflitto di classe che non c'è più. E che nel nostro Paese non è nemmeno più avvertito da tempo.