Il futuro distopico, o forse no. 1984 o giù di lì
Terza pagina
Nonostante il titolo, il tema di questo articolo non è che cosa resterà degli anni ottanta. Capita a volte di rileggere libri che si sono letti da ragazzini e capita di capirli meglio. Sia perché da adulti si dispone di più strumenti concettuali, ma anche, a volte, perché al mutare dei tempi e degli umori storici, certe cose appaiono più attuali. È il caso, ahimè, di 1984 di George Orwell.
Quella descritta da Orwell in 1984 è una distopia senza speranza alcuna. Brevemente il plot è questo: nel contesto di un potentissimo regime totalitario, un uomo e una donna si ribellano segretamente, ma le loro velleità di libertà vengono presto tragicamente disilluse. Noi siamo i morti, dice il protagonista nel punto saliente del libro, conscio che la loro piccola rivoluzione privata sarà certo stroncata dal partito, che presto li scoprirà e ucciderà. Quello che il protagonista, Winston, non sa ancora è però che la morte arriverà solo dopo che gli saranno stati sottratti non solo la dignità e i sogni di emancipazione, ma soprattutto la libertà e autonomia di pensiero.
Chi legga oggi il romanzo di Orwell e sia provvisto di una normale dose di empatia e immaginazione, non potrà impedire di sentirsi la schiena percorsa da un brivido. Chiusa l’ultima di copertina, le domande si affollano alla mente. Ma il mondo di Orwell non somiglierà un po’ troppo al nostro? Noi oggi a che punto siamo? Come sta il nostro pensiero critico? Il pericolo della distopia è scampato o Orwell parla anche di (a) noi? Quale futuro ci aspetta? Certo il libro, che risale al 1948, è una evidente e giusta critica ai regimi totalitari nazisti e stalinisti. Ma vero è che nel testo sono anche troppi punti in comune con la nostra quotidianità. Ne suggerisco provocatoriamente alcuni.
1. Storytelling? È abitudine del regime, nel romanzo, distorcere l’informazione, così da creare l’effetto di volta in volta voluto. L’interpretazione del passato è strategica e condotta in funzione del dominio del presente e del futuro. Il passato si modifica a seconda delle necessità: si cambiano i nomi, i fatti, ritoccando le informazioni contenute in articoli e varie fonti documentarie. Uno dei motti del partito è: chi controlla il presente, controlla il passato, chi controlla il passato controlla il futuro. Viene in mente l’ordinaria opera di storytelling condotta dai media, così come le strategie di persuasione del marketing aggressivo. Ma più ancora, i processi sommari, i giudizi ancora più sommari a cui spesso l’opinione pubblica è spinta in certi casi e le cosiddette macchine del fango.
2. Essere uniti perché genericamente “contro”. Il regime orwelliano organizza pgni giorno un appuntamento a cui nessun membro del partito può sottrarsi: i due minuti di odio. In quei minuti viene esposta l’immagine del “nemico” con cui si è in guerra, anche se questo forse neanche esiste. Il suo volto, la sua voce, le sue parole, sono mostrate abiette e insopportabili, tanto da suscitare reazioni rabbiose e violente. Ogni tanto una intera settimana è dedicata alla celebrazione dell’odio. Si spinge sulla rabbia come passione totalizzante, in grado di unire un gruppo in modo coeso contro qualcosa/qualcuno. L’idea che la rabbia e l’odio contro il nemico politico o lo straniero costituisca un’energia in grado di smuovere le masse e soprattutto spostare i voti, è oggi una tentazione evidente per molti, spesso ben più di una tentazione ed è di fatto esistito un “vaffa day”.
3. Neolingua. Il regime di Orwell crea un linguaggio ad hoc utile per unire le persone in un gruppo omologato e indifferenziato. Il gioco qui è duplice: da un lato le persone si sentono gruppo perché usano un linguaggio comune e nuovo, dall’altro perdono libertà perché la neolingua è studiata per restare piatta e il più possibile univoca. Si tratta infatti di una lingua estremamente semplificata, fatta di abbreviazioni, slogan, nomignoli e giochi di parole volti a svuotare le parole di significato annullando le nuances di senso. Non a caso uno degli slogan del partito recita: l’ignoranza è forza. Oltre i facili parallelismi con le terminologie politico-satiriche oggi in voga, è lecito chiedersi a quante parole ammonti il vocabolario dell’italiano (ma anche del francese, del tedesco ecc.) medio.
4. Bipensiero. Il regime orwelliano allena esplicitamente le persone a dire una cosa e pensarne un’altra, in un sottile e costante rapporto di double-bind, seduzione e manipolazione. Si può arrivare a credere senza fare una piega che “due più due fa cinque”, se lo dice il leader, o che la libertà è schiavitù. In un mondo in cui l’auctor universalmente più accreditato non è Aristotele, ma Wikipedia, anche le verità più semplici possono non apparire tali se crederci serve a sentirci parte di un gruppo forte, “noi - giusti” contro “loro – sbagliati”, o peggio ancora, di chi si sente “leader” contro “gli altri”. Più in generale le tecniche di manipolazione del linguaggio e del pensiero, dalla pnl in su, sono oggi sempre più diffuse e persino accreditate: vanno sotto il nome di tecniche di vendita, di comunicazione, di seduzione. Fino alle becere pratiche di (auto)ipnosi per sentirsi più fighi.
5.Terrorismo. L’universo distopico di Orwell è in stato di guerra permanente. Per il partito infatti la guerra è pace. La cosa è studiata e funzionale. Intanto la guerra si svolge sempre altrove, ai confini dell’Oceania, non si vede se non sugli schermi. In città però ogni tanto scoppia una bomba, o c’è un attentato. Così, tanto per mantenere la tensione e nutrire l’odio che serve a mantenere salda e stabile la situazione. È in atto insomma una sorta di strategia della tensione portata agli estremi e in grado di mantenere costante il clima di paura, tensione, sfiducia. Ricorda niente?
6. Ma cos’è questa crisi? Last but not least, obiettivo fondamentale della dittatura descritta da Orwell è l’indebolimento della classe media. Ciò è utile per non rischiare rinascite culturali e iniziative che nuocerebbero al potere. Se la classe media, colta ma sottomessa, sta troppo bene, anche economicamente, nascono alcuni rischi. I “medi” potrebbero infatti, eventualmente, comprendere i meccanismi di repressione e lottare contro di essi per emergere e non essere più sottomessi. Quindi bisogna far sì che essi si impoveriscano e non siano più nella possibilità di acculturarsi. Si tarpano sul nascere le ali al libero pensiero e quindi le possibilità di dissenso. Ma oggi non è proprio la classe media quella che sta facendo le spese, in senso letterale, dell’odierno tempo di crisi, che pare quasi destinato a non finire mai?
Ok, d’accordo. Quella di Orwell è fantasia e non è certo mia intenzione gridare al “complotto”. Non si tratta di pensare che da qualche parte nel mondo esista una mente che ha organizzato tutto ciò volontariamente e sistematicamente. Molti di questi fenomeni si sono probabilmente generati in maniera spontanea, o quasi senza che ce ne accorgessimo, mentre altri forse sono stati più colpevolmente incoraggiati da chi aveva interesse a farlo, cioè di volta in volta poteri economici, i media ubriacati di clic e di share, e persino noi stessi, forse, per mancanza di consapevolezza e piuttosto di prenderci la briga di guardare in faccia la realtà così com’è.
Ma dato che l’ignoranza NON è forza, credo sia sempre utile usare la letteratura e l’arte, e più in generale la cultura, soprattutto quella politica, come strumenti di feconda comprensione del mondo che ci circonda. Se il parallelo con il mondo orwelliano esiste, viene da chiedersi se sia davvero così cupo il futuro che ci aspetta. E poi, per contro, che cosa abbiamo noi che il mondo di 1984 non ha? Beh, la prima cosa che noi abbiamo è evidente, ed è proprio Orwell. Ovvero i libri, ancora una volta la cultura che è comunque a disposizione di molti e che garantisce - a chiunque lo voglia e vi si dedichi con impegno e passione - la possibilità di pensare autonomamente e di essere quindi prima di tutto interiormente libero. Esistono poi molti altri valori, per fortuna, come i rapporti umani, la partecipazione, la capacità di introspezione e di interiorità dei singoli, finanche un sano erotismo. Tutte queste sono cose che di per sé, almeno ad un livello personale, costituiscono un buon antidoto al controllo del libero pensiero – e sono tutte non a caso vietate dal partito inventato da Orwell.
Sul lato opposto della distopia orwelliana, poi, viene in mente il filosofo tedesco Ernst Bloch il quale, ne Il Principio Speranza, lungi dal coltivare sterili castelli in aria, invitava all’ottimismo militante. Bloch intendeva con ciò non un pensiero fatalista o scioccamente “positivo”, ma un lucido considerare la realtà concreta, prendendone le misure e lavorando, con serietà, alla ricerca di soluzioni per realizzare, per quanto umanamente possibile, il bene comune. Certo un bene comune nato dal dialogo, apparirà magari imperfetto, non algido e puro come quello ideologico. Ma d’altronde, come dice – spietata - una famosa poesia di Brecht, ai problemi e alle paure che ci affliggono non è lecito aspettarsi alcuna risposta - oltre la nostra.
Insomma, noi non siamo i morti, non ancora, e il futuro è già domani. Seppure i problemi esistono, possiamo sempre cominciare noi stessi a darci da fare.