Dalla parte sbagliata. L’arte e l’altra faccia delle cose
Terza pagina
Mi sono seduto dalla parte del torto perché tutti gli altri posti erano già occupati, recita un noto verso di Bertolt Brecht. Chi non si è mai identificato, almeno una volta nella sua vita, in queste parole? Viviamo in tempi particolarmente difficili e violenti, se non oscuri, in cui a volte è difficile immaginare il futuro che ci aspetta. Uno spettro si aggira per l’Europa, ma, sicuramente qualcuno lo avrà già detto, non è quello di Marx, bensì il terrore che pervade e penetra fin dentro le ossa dello stesso modello di vita occidentale.
Quando si apprende di notizie tragiche come quelle recenti di Nizza, di Rouen o di Monaco di Baviera, qualsiasi cosa si provi a dire sembra sbagliata. Si infilano nelle nostre teste pensieri che solo vent’anni fa non avremmo creduto possibili, come la sensazione di non stare più dalla parte giusta del mondo, quella dove alla fin fine non capita mai nulla di davvero grave che possa scuotere le fondamenta del nostro modo di vivere. Abbiamo la sensazione, per noi occidentali nuova, di essere anche noi in pericolo.
In quei momenti la paura la fa da padrona. E se in alcuni casi - come, a quanto pare, in quello dell’attentatore di Monaco - il livello del problema personale e psicologico si riversa nella dimensione sociale in modi inattesi e pericolosi, il contrario è sempre vero. I fatti che accadono nel mondo, sempre più vicini a noi, fanno vacillare la nostra visione del mondo come il nostro sistema nervoso, esponendoci spesso e volentieri a scelte, anche politiche, a volte affrettate e impulsive.
L’idea che stordirsi di Pokemon, social e internet possa non bastare più comincia per fortuna a farsi strada. E anche se molti ancora pensano che basterà trovare finalmente la dieta giusta per sconfiggere ogni male fuori e soprattutto dentro di noi, il sospetto che forse le cose non stanno esattamente così comincia a balenare. Che fare per uscire da questo loop di pensieri non proprio costruttivi?
L’arte e la cultura hanno, tra gli altri, anche l’importante funzione di darci una mano a cambiare punto di vista e offrire uno sguardo diverso e nuovo sulle cose che diamo per scontate. A volte questo accade anche in senso letterale. È il caso delle fotografie di Oliver Curtis, fotografo britannico di cui il prossimo settembre si inaugurerà una mostra presso la Royal Geographical Society, ideatore di un progetto del tutto originale che porta il titolo, appunto, di Volte-face, letteralmente volta faccia.
Curtis ha girato il mondo, recandosi nei luoghi più famosi e frequentati di arte e turismo: dal Cristo Redentore di Rio de Janeiro alla Grande Muraglia cinese, dal Partenone fino alla Gioconda esposta, nonostante i maldestri tentativi di Sgarbi, al Louvre di Parigi. Ovunque Curtis ha scattato le sue foto: normali immagini a colori molto ben realizzata, che all’apparenza non mostrano alcuna stranezza o particolarità.
Ma c’è un ma. Anziché riprendere la Gioconda così come ciascuno di noi farebbe (ma si possono scattare le foto dentro il Louvre?), Curtis scatta la foto a partire dal punto di vista del quadro. Lo stesso vale per la Grande Muraglia cinese, per il Cristo Redentore e così via, per tutti gli altri siti oggetto delle sue foto.
Insomma, le foto sono riprese in realtà dalla parte opposta a quella a cui siamo abituati.
Così, in sostanza, quello che vediamo è il punto di vista contrario e speculare rispetto a quello che ci aspetteremmo di vedere e che normalmente vediamo nelle immagini che circolano su vecchi e nuovi media. Naturalmente, si tratta anche del punto di vista opposto alla nostra stessa consueta esperienza di quei luoghi o di quelle opere d’arte.
La cosa divertente è che, visti così, i soggetti ripresi da Curtis ci appaiono del tutto irriconoscibili e nuovi. Tanto che senza una spiegazione non saremmo in grado di distinguerli, pur avendoli visti e rivisti centinaia di volte. Quello di Oliver Curtis insomma è un invito al pensiero laterale e creativo che appare insieme il frutto di una buona dose di fantasia unita a un sano senso pratico.
È vero, l’operazione sa di trovata curiosa, ma probabilmente nasconde un messaggio da non sottovalutare. Un suggerimento prezioso che, perché no, anche i nostri politici, intellettuali e tutti quelli che si prendono la briga di narrare il nostro tempo e di trovare soluzioni ai problemi che ci affliggono potrebbero forse provare a tenere presente. Come sono le cose viste da un altro punto di vista? Come mi appare il mondo se faccio, per esempio, il giro del tavolo? Il mutamento di prospettiva comporta sostanzialmente due conseguenze.
Intanto che le cose, guardate e sperimentate dal punto di vista dell’altro, possono apparire ben diverse da come noi le consideriamo. Perciò, per porci in dialogo con il prossimo forse dovremmo tenere presente, se non la visione altrui (cosa onestamente non sempre immaginabile), se non altro il presupposto che un’altra visione esiste. Il nostro punto di vista o quello del gruppo a cui ci sentiamo di appartenere, insomma, non è l’unico sul mondo e non è detto sia il migliore. Questo non significa per forza cadere nel relativismo, ma aprire la mente a considerare aspetti che magari normalmente potrebbero sfuggire oltre che, dal punto di vista etico, provare a mettersi nei panni degli altri.
L’altra notizia, ancor più confortante, è che comunque un altro punto di vista o modo per guardare le cose esiste ed è sempre possibile. Come dire che i problemi che appaiono senza soluzioni a volte possono essere risolti se abbiamo l’accortezza di guardare alle cose in un modo diverso dal solito. Con l’invito a rompere le convenzioni ormai stantie, abbandonare le abitudini e i pregiudizi che hanno fatto il loro tempo, rinunciando agli slogan, allargando lo sguardo e abbracciando un atteggiamento di sana pietas nei confronti del prossimo.
Chissà se, senza sminuire i pericoli e le concrete minacce, cominciando a considerare i problemi, le difficoltà e le questioni aperte come possibilità ancora tutte da esplorare, non si possa scoprire che le cose stanno diversamente da come credevamo e che le soluzioni da auspicare sono meno scontate e prevedibili di quanto potessimo immaginare.
Non sia mai che stare dalla parte sbagliata non si riveli una scelta fruttuosa, o, se – come spesso accade - non si tratta di una scelta, una fortuna. In fondo, sembra suggerire Oliver Curtis con le sue prospettive insolite, si tratta solo di essere curiosi abbastanza.