Un tiramisù? Un fiorino. Il nuovo Medioevo della 'tradizione' per decreto
Strade del Cibo
E così, anche nel 2017 abbiamo la grande emergenza dell'estate. Non la siccità, quella è un tantino inflazionata. Non il gender, that's so 2016. Nemmeno gli incendi, alla fine ci sarà sempre chi giustificherà i piromani perché lo stato non dà loro il reddito di cittadinanza, mica vorremo metterci contro il Paese reale, ehi, c'è poco da scherzare. E neanche la Panda rossa di Ignazio Marino, visto che nella Capitale, con enorme soddisfazione di tutti, finalmente c'è un sindaco che mantiene ben saldo il contatto con la città, soprattutto (pare dai risultati) con i bancarellari e gli imboscati del pubblico impiego.
No, quest'anno, a pochi mesi dal probabile default del Paese, alle prese con la recrudescenza, "grazie" al crollo delle coperture vaccinali, di malattie mortali che si pensavano scomparse da decenni, mentre la situazione internazionale si fa sempre più intricata e pericolosa, quella che si porta meglio, in Italia, è l'emergenza tiramisù.
"È nostro!" ha l'ardire di affermare il Friuli Venezia Giulia, esibendo il decreto ministeriale che ne stabilisce l'origine friulana. Ma nemmeno per sogno, risponde indignato il presidente del Veneto Luca Zaia, che rivendica la paternità trevigiana del dolce.
"Non esiste - dichiara Zaia - che nella politica di protezione dei prodotti con riferimento ai marchi e alle protezioni - ce lo insegnano i grandi marchi come Igp o Dop - si dia una risposta monocratica e unilaterale a un singolo che chiede una protezione. O meglio: non mi sorprende che il Friuli Venezia Giulia faccia una richiesta. La avanzi pure e il ministro la recepisca con tutto quello che può sostenere il Friuli Venezia Giulia, ma un ministro ha il dovere di sentire i territori per sapere se qualcun altro ha interessi su questo prodotto. Firmando questo decreto e attribuendo al Friuli Venezia Giulia questo primo segnale di riconoscimento, il ministero afferma in sostanza che non conta che cinque milioni di veneti siano riconosciuti - soprattutto Treviso - per avere come prodotto tipico il tiramisù, che da noi si mangia veramente dappertutto; che non conta avere un'industria che si è sviluppata intorno a questo prodotto; che non conta avere, oltretutto, una tradizione che ne sancisce una storicità con l'origine e tutto il resto. Io mi chiedo a cosa serve questa guerra tra poveri. Invito quindi il ministro a sospendere il decreto. Sarebbe come se noi Veneto - sottolinea - andassimo a chiedere la protezione del marchio della 'gubana' e nessuno si peritasse di sentire i friulani. Detto questo, chiedo quindi la sospensione del decreto e un'audizione dove i veneti porteranno le loro ragioni. Dopo di che, se il ministero deciderà di andare comunque avanti, io non voglio fare il guerrafondaio - perché i problemi della vita sono altri - però non neppure posso farmi passare sopra la testa questo fatto e impugnerò il decreto nell'interesse dei veneti. Questo anche perché non passi l'idea - visto che lazzaroni ce ne sono sempre in giro - che i marchi si danno a chi arriva prima perché non sta nella storia dell'ottenimento dei marchi che si vince in base al numero del protocollo. I marchi uno li chiede e gli altri fanno le loro controdeduzioni. Faccio un esempio: noi abbiamo il radicchio di Treviso. Il marchio lo hanno chiesto i trevigiani, dopo di che altri territori come il veneziano hanno chiesto di essere inseriti nel marchio che è diventato comunitario. È con le audizioni che si definisce la perimetrazione, così come per altri prodotti come il grana padano, il prosciutto di S. Daniele e così via".
Non si è fatta attendere la replica del Friuli Venezia Giulia, rilasciata dall'assessore regionale alle risorse agricole Cristiano Shaurli, del Pd: "Il dolce, famoso in tutto il mondo con il nome di "Tiramisù" è stato inserito, su richiesta della Regione Friuli Venezia Giulia, nella lista dei Prodotti agroalimentari tradizionali (Pat) e quindi riconosciuto come caratteristico del territorio: un risultato importantissimo, una novità che ci riempie di soddisfazione. L'iter partito dall'autorevole richiesta dell'Accademia della Cucina è stato seguito con attenzione e professionalità dall'Ersa (Agenzia regionale per lo sviluppo rurale) e la documentazione prodotta ha portato ad un atto, già pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, che sancisce l'origine di un piatto ed afferma che, seppur famoso ormai in tutto il mondo, questo è nato e appartiene alla tradizione del Friuli Venezia Giulia ed al 'saper fare' dei suoi abitanti. Non c'è nessun antagonismo o 'guerra' in atto, solo l'orgoglio e la volontà di dar merito a chi ha creato quello che è diventato uno dei capisaldi del Made in Italy nel mondo".
La delegazione di Udine dell'Accademia Italiana della Cucina, dal canto suo, attraverso il delegato Massimo Percotto, parla di "ufficializzazione della verità storica sulle origini di un dolce simbolo dell'Italia nel mondo, riferimento permanente alla nostra cultura ed alla nostra maestria gastronomica".
Gravissimi fatti, come ognuno può constatare: cinque milioni di veneti defraudati, guerre tra poveri in procinto di scoppiare, verità storiche contestate, gazzette ufficiali, deduzioni, controdeduzioni, audizioni e impugnazioni a non finire.
Tutto chiaro, no? Secondo la parte politica di Zaia, e non solo, le unioni civili per il Parlamento sono una perdita di tempo (unitevi a casa vostra!), la legalizzazione della cannabis altrettanto (cosa volete che sia, in fondo, per un Paese con cronici problemi di bilancio, qualche misero miliarduccio strappato alle mafie?), lo ius soli non ne parliamo nemmeno (ehi, siete proprio sicuri che la volete, 'sta cittadinanza italiana? Ci avete pensato bene?), ma il tiramisù, signori miei, ah, il tiramisù dev'essere argomento di dibattito parlamentare finché un congruo numero di audizioni non ne avrà definito l'origine, al di là di ogni ragionevole dubbio. Che diamine, su un'emergenza di questa portata "un ministro ha il dovere di sentire i territori".
Shaurli, rappresentante del partito di governo, d'altro canto, non trova nulla che non vada nell'avere smosso mari, monti, tempo, risorse ed energie della sua regione per conquistare nientemeno che la Pat su uno dei dolci più imitati, popolari e serviti d'Italia, pensando evidentemente di poterne ricavare un ritorno che però, ad oggi, non è ben chiaro quale sia: se la faccenda andrà a finire come quella della focaccia di Recco, coi carabinieri a cavallo (o poco ci manca) che impediscono con la forza a chiunque di preparare il tiramisù al di fuori del territorio di Tolmezzo o di Treviso, a seconda di chi vincerà la querelle della "ricerca storica" e del "prestigio enogastronomico", non ci sarà molto da guadagnare per nessuno.
Immaginare, poi, un'apposita commissione dell'Accademia della Crusca nutrita a mascarpone, caffè e savoiardi per mesi, per decidere la dizione più autentica fra "Tirimi sù" alla carnica e "Tiramesù" alla trevigiana, può risultare sì divertente, ma lo diventa un po' meno quando si constata che non è uno scenario chissà quanto improbabile: viviamo in un Paese che pretende di codificare la tradizione per decreto ministeriale, talvolta con effetti grotteschi come quelli sulla focaccia di Recco citati poc'anzi, e nessuno, né al governo né all'opposizione, sembra afferrare l'assurdità della situazione e l'inutilità per il sistema-Italia di questo modo di procedere, anzi, tutti fanno a gara ad accaparrarsi una sigla astrusa per proteggere (non si capisce nemmeno bene da cosa, visto che frodi e imitazioni "Italian sounding" sono all'ordine del giorno) il "prodotto tipico" di turno.
C'è qualcosa di medievale, in effetti, nello zelo con cui ogni più sperduto comune si precipita a domandare il riconoscimento statale della ricotta di zio Mario, del pomodoretto schiattato o del mandarino tardivo, nonché nell'esaltazione acritica della "tipicità", del "territorio", della "tradizione" in ogni sua forma: i prodotti tipici, tutti col loro bravo articolo determinativo davanti per farli sembrare più speciali, esibiti ormai anche sui menu delle osterie da camionisti, sono le sacre reliquie del Ventunesimo secolo, il pane di grano arso venerato come il braccio di Sant'Antonio, la colatura di alici come il sangue di San Gennaro, le strade del vino come il cammino dei pellegrini, la lotta per la Dop come l'ultima crociata.
Doc, Dop, Igp, Igt, Docg, Pat e le sue sorelle stanno diventando le formule alchemiche del nuovo Medioevo italiano, dove gli Ogm vengono proibiti e demonizzati senza nessuna ragione scientifica documentata (salvo poi importarne a tonnellate per l'alimentazione degli stessi animali da cui si ricavano parmigiano e prosciutto "certificati", ma questo, chissà perché, lo fanno notare in pochi), mentre ci si accapiglia su chi sarà il primo ad aggiudicarsi i diritti dell'ennesima "tradizione", non rileva se vera o finta, se secolare o importata da appena un paio di decenni, l'importante è che sia stabilita per decreto. Naturalmente imperial... no, scusate, statale.