Foresta tropicale

In 25 anni il pianeta Terra è passato dall'avere 4,1 miliardi di ettari di foreste nel 1990 a contarne 3,9 miliardi nel 2015. E continua a perderne, anche se le cose migliorano. Quasi tutto dipende da noi, dalla crescita demografica globale e dalla necessità di avere più spazi da destinare all'agricoltura, agli allevamenti o altre produzioni. Più spazi, insomma, per poter sfamare un numero sempre crescente di uomini e donne che aspirano a una vita più lunga, senza fame e in condizioni socio-economiche migliori.

È forse la più macroscopica evidenza del conflitto tra noi e il resto della natura, ma è un conflitto la cui prosecuzione sul lungo periodo non avrà mai vincitori, solo sconfitti: perderemo infatti, tra le tante cose, il presidio principale per l'assorbimento di CO2 e di mitigazione del riscaldamento globale, biodiversità, perfino bellezza.

Non è un caso allora che da qualche decennio gli stati di tutto il mondo si stiano mobilitando - più o meno bene, più o meno efficacemente - per prendere coscienza del problema e individuare soluzioni che ci permettano di camminare nello stesso senso del resto della natura, pur con inevitabili tensioni, ma non ostinatamente contro di essa e contro, in definitiva, la nostra stessa sopravvivenza sul lungo periodo.

Passi avanti.
Questa presa di coscienza sembra aver avuto qualche effetto. L'ultimo, esteso, report della FAO, "Global forest resources assessment 2015", mette in evidenza infatti che, nonostante continuiamo a maltrattare le foreste, negli ultimi cinque anni, dal 2010 al 2015, sono stati fatti enormi passi avanti. “Tra il 1990 e il 2015 c'è stata una perdita netta di circa 129 milioni di ettari di foreste - si legge nel report -, quasi la dimensione del Sud Africa, con un tasso di perdita netta annua dello 0,13 percento”. Ma, ammoniscono gli esperti, le cose vanno lette “nel giusto contesto” e dalla giusta prospettiva: “Il tasso di perdite nette annuali di foreste è rallentato passando dallo 0,18 per cento del 1990 allo 0,08 per cento degli ultimi cinque anni. Tra 2010 e 2015 c'è stata una perdita annuale di 7,6 milioni di ettari e un guadagno di 4,3 milioni di ettari per anno, con una perdita netta annuale di area forestale di 3,3 milioni di ettari”. In sostanza, abbiamo abbattuto del 50 per cento il tasso di distruzione delle foreste e dunque la velocità con cui lo facciamo.

I problemi rimangono e riguardano soprattutto l'area tropicale, “in particolare nel Sud America e in Africa, anche se il tasso di perdita in queste aree è sceso in maniera sostanziale negli ultimi cinque anni”. I danni maggiori li facciamo alle foreste naturali - le più importanti per la conservazione della biodiversità - che rappresentano il 93 per cento di tutte le foreste: nel 2015 occupavano 3,7 miliardi di ettari, su 3,9 totali. Di queste solo il 26 per cento sono foreste primarie (cioè intatte), mentre il restante 74 per cento è rappresentato dalle cosiddette "altre foreste rigenerate naturalmente". “Tra il 2010 e il 2015 - si legge nel report FAO - le foreste naturali sono diminuite di 6,5 milioni di ettari per ogni anno”. Non è un dato positivo, certo, ma “è una riduzione delle perdite nette rispetto ai 10,6 milioni di ettari all'anno del periodo 1990-2000”.

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Passi da compiere.
I miglioramenti osservati negli ultimi cinque anni - giova forse ripeterlo - non significano che le cose vadano bene. Secondo il report, ad esempio, “nonostante sia rallentata la perdita di foreste naturali, queste continueranno a scendere, particolarmente nei Tropici, per lo più per via della conversione in terreni agricoli. Dall'altro lato, a causa del costante aumento della domanda per i prodotti forestali e dei servizi ambientali delle foreste, nei prossimi anni cresceranno le foreste 'piantate' ”. C'è dibattito sul ruolo e l'efficacia di queste ultime, ma possiamo sintetizzare la differenza così: le foreste naturali sono molto più importanti perché preservano molta biodiversità, mentre le foreste piantate - pur utili - nascono per due scopi: lo sfruttamento produttivo e la mitigazione di effetti ambientali indesiderati.

La stessa FAO, pur mostrando un discreto ottimismo, nota che “l'esistenza di politiche corrette, leggi e regolamenti non è sempre accompagnata da incentivi o applicazioni effettive. Pratiche insostenibili e la conversione delle foreste persistono chiaramente - nonostante l'aumento dell'impegno - e i benefici dell'utilizzo delle foreste in alcuni Paesi non raggiungono le comunità locali”. Ancora una volta i problemi si verificano soprattutto nelle aree tropicali, dove non è un caso che ci siano meno piani - e meno 'sicuri' - per la gestione sostenibile delle foreste, anche se è possibile che nel futuro prossimo le cose migliorino anche sotto questo punto di vista.

Perdere foreste naturali - considerando sia le perdite nette che la loro degradazione dovuta a vari fattori (inquinamento, cambiamenti climatici, interventi diretti dell'uomo) - significa perdere biodiversità, e “risultati tangibili” per evitare ciò sono raggiungibili “solo tramite l'integrazione di politiche di conservazione all'interno di programmi più estesi sia a livello nazionale che locale e tramite una considerazione più sistematica dei trade-off tra la conservazione della biodiversità e i bisogni della società”.