stradedelcibo quadratoIn principio furono le aziende, per evidenti motivi di marketing. Poi le campagne social iniziarono a spuntare dal basso, spesso sotto la spinta emotiva di particolari situazioni socio-economiche, politiche o culturali. L’ultima in ordine di tempo è stata l’Ice Bucket Challenge che due estati fa vide migliaia di persone gettarsi in testa un secchio ghiacciato per la lotta contro la SLA.

Ed è stato qui che qualcuno, prima che l’acqua gelida gli congelasse le sinapsi, ha iniziato a chiedersi quale fosse il reale nesso tra un secchio d’acqua ghiacciata e la raccolta fondi. “Chi si sottopone alla sfida dà anche soldi in beneficenza” fu la risposta da inguaribili ottimisti. Peccato che senza il dettaglio degli eventuali versamenti, questa forma di trasparenza non è diversa da quella di alcuni presidenti del consiglio che mettono online resoconti di spesa talmente generici e inverificabili da risultare privi di qualunque concreta utilità. Nel caso del Bucket Challenge, in particolare, non era affatto scontato che al coraggio del gesto facesse seguito quello della donazione, specie nella torrida estate 2014. Ma tant’è, il secchio in testa ha fatto il giro del mondo ed effettivamente le associazioni di lotta alla SLA un riscontro l’hanno infine ottenuto. In quel caso la mobilitazione, partita come un gioco, ha avuto successo solo perché diventata talmente virale da compensare gli evidenti limiti “tecnici” con cui era nata.

rummo

Adesso tocca a Benevento e al pastificio Rummo, fare i conti con la mobilitazione dal basso. Dopo l’esondazione del fiume Calore, è partita la corsa alla solidarietà e in pochi giorni migliaia di persone in tutta Italia hanno messo a tacere la coscienza comprando pacchi su pacchi di pasta. Sul web si è scatenata una gara di solidarietà per dare respiro a un’azienda che da un momento all’altro ha seriamente rischiato di trovarsi sull’orlo della rovina. Se da un lato è stata anche un’occasione preziosa per far capire a tutta Italia che la pasta Rummo è una produzione italiana di ottima qualità, e che quindi valeva la pena di metterla in tavola, sul fronte economico la campagna ha mostrato un limite evidente: nemmeno un euro dei chili di pasta acquistata adesso va al pastificio Rummo. Si tratta infatti di partite già acquistate dalla grande distribuzione, già fatturate e verosimilmente già pagate al pastificio beneventano. L’obiettivo vero della campagna avrebbe dovuto essere far sì che in futuro l’azienda Rummo possa avere ordini a sufficienza per poter superare i danni dell’alluvione. Ma nel breve e nel brevissimo periodo, accaparrarsi chili e chili di pasta può servire al massimo a far esaurire le scorte della GDO. Scorte che non potranno essere rimpolpate a causa delle difficoltà logistiche di approvvigionamento, più che di mera produzione: lo ha ribadito la ditta, spiegando che i magazzini di stoccaggio si sono salvati dalla furia delle acque.

Insomma, fare incetta di pasta ora ha un solo risultato: non farla trovare sugli scaffali a chi vuol provarla per la prima volta. Ecco perché per mostrare solidarietà al pastificio conviene al massimo comprarne uno o due pacchetti: lasciandone per altri, più gente potrà assaggiare la Rummo e decidere se inserirla o meno nei propri panieri di spesa. In quanto alla grande distribuzione, non è certo per l’impennata di questi giorni che valuterà se aumentare o meno gli ordinativi futuri alla Rummo.

Meglio sgombrare il campo da ogni fraintendimento: ben venga un florido futuro per la Rummo e per tutte le altre aziende che sono state colpite, così come la valorizzazione delle aziende d’eccellenza del Sud Italia. Ma a volte agire sull’onda lunga della commozione rischia di avere effetti che i frequentatori di Facebook spesso non sono in grado di cogliere. Il boom di visibilità a vantaggio del pastificio Rummo, poi, rischia di avere due contraccolpi: il primo è che l’attenzione si concentri tutta su quella specifica realtà, lasciando a spalare fango nell’oblio mediatico le decine di stabilimenti e piccole produzioni sannite come l’oleificio SOIA di Solopaca; il secondo è che, una volta speso il “budget emozionale” in pacchi di pasta, in pochi si ricordino che per risollevare il territorio e i suoi abitanti è molto più utile un versamento alla Caritas locale.

Se le mobilitazioni dal basso nate dalla rete hanno dunque il grande vantaggio di muovere migliaia di persone verso uno scopo spesso nobile, non sempre la scelta dell’obiettivo e le modalità per raggiungerlo coincidono. Qualcosa che nel breve periodo sembra positivo può non coincidere con il bene reale in un orizzonte temporale più lungo, e viceversa, al punto che una campagna social può diventare controproducente. Ma questo è sempre più difficile e complesso che lanciare un hashtag e incrociare le dita.