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San Francisco – Roma, sola andata. Questo pare sia il biglietto staccato da glifosate, l’erbicida più utilizzato al mondo. A San Francisco è stato infatti condannato da una giuria popolare che lo avrebbe ritenuto cancerogeno, mentre a Roma viene rimpianto dai manutentori del verde che da due anni non lo possono più usare per tenere pulita la città. Nel mezzo i cittadini, spaventati da un lato per la supposta pericolosità del diserbante, ma indignati dall’altro per la massiccia invasione di erbacce con tutto ciò che esse comportano per l’igiene pubblica, allergie incluse. Ma come si suol dire: andiamo per ordine.

Nella metropoli californiana è stata emessa una sentenza di primo grado che condanna Monsanto, la società che ha inventato glifosate, a versare 289 milioni di dollari a tal Dewayne Johnson, giardiniere americano che avrebbe attribuito all’erbicida il proprio linfoma non-Hodgkin. Al capolinea opposto del viaggio, ovvero nella capitale italiana, l’imponente proliferazione di erbacce ricorda invece alla popolazione le conseguenze del bando di glifosate dalle aree urbane, avvenuto nel 2016. A soli due anni da tale proibizione sono infatti molte le grandi città a riscontrare rigogli incontrollati di erbe infestanti, alcune delle quali pure allergizzanti. In vetta a tale classifica pare che ci sia proprio Roma, città che per la sua conformazione è oggettivamente più difficile da gestire di molte metropoli italiane, necessitando quindi più di altre di idonei strumenti agronomici.

Dal punto di vista tecnico glifosate è altamente efficace, devitalizzando le malerbe fino alle radici. Quindi non serve passare più volte come avviene invece per altri erbicidi millantati come possibili sostituti, ma capaci in realtà di seccare solo le parti visibili delle piante. È per giunta cinque o sei volte più economico di ogni altra alternativa possibile, chimica, fisica o meccanica che dir si voglia. Utilizzando glifosate, un manutentore dotato di pompa a spalla può quindi tenere puliti facilmente interi quartieri con tanti piccoli spruzzi precisi, per giunta a costi decisamente contenuti. Massima resa, minima spesa.

Ma, come detto, glifosate è stato proibito nei trattamenti in ambiente urbano dopo che nel marzo 2015 l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro l’ha inserito nel gruppo dei “probabili cancerogeni”, ravvisando una correlazione fra il suo utilizzo e i linfomi non-Hodgkin, oggetto appunto del contendere a San Francisco. Un inserimento, quello della Iarc, aspramente criticato in quanto fondato su alcune ricerche epidemiologiche particolarmente deboli, svolte su poche decine di operatori professionali. In un caso solo sette. Ma l’incidenza di tali linfomi in America è pari a un individuo su 5.200, con un decesso ogni 17 mila abitanti. Dewayne Johnson è quindi solo uno dei 72 mila malati di linfoma non-Hodgkin al momento in America, la cui quasi totalità nemmeno sa cosa sia glifosate.

Una ricerca epidemiologica degna di questo nome dovrebbe quindi essere svolta come minimo su decine di migliaia di persone, cioè quanto fatto dal National Cancer Institute americano. Questo ha prodotto la più solida ricerca mai realizzata su glifosate, svolta su quasi 55 mila operatori professionali, e ha assolto completamente glifosate. Non solo sul linfoma non-Hodgkin, ma anche su una decina di tumori differenti. Una ricerca che per il suo spessore dovrebbe mettere la parola fine a ogni accusa di cancerogenicità verso l’uomo e che invece è rimasta stranamente nel cassetto proprio del chairman del gruppo Iarc che ha valutato l’erbicida, salvo essere poi pubblicata nel 2017. Cioè due anni e mezzo dopo la controversa monografia Iarc, servita soprattutto ai media per scatenare il panico fra la gente e agli studi legali per moltiplicare le cause contro Monsanto. Ancora non si sa perché quella ricerca sia stata pubblicata troppo tardi per essere considerata. Di certo, viste le cifre astronomiche di cui si parla nei processi, se fosse stata condivisa per tempo sarebbero stati cavati i denti a molti degli squali che oggi nuotano nei tribunali con in bocca una class action contro la Casa di St.Louis, obbligandoli a cercare qualche altra multinazionale da spolpare.

Invece no. Insabbiata la ricerca e pubblicata la monografia Iarc, sono partiti centinaia di processi in America, mentre in Italia è stato stabilito che glifosate non venisse più utilizzato per ripulire marciapiedi, strade, giardinetti e piazzali. Salvaguardia della salute, si è detto. Sarà, ma intanto a Roma delle conseguenze di tali divieti se ne sono accorti tutti, anche nei quartieri residenziali come i Parioli. Decine di foto colte al volo dai cittadini testimoniano infatti marciapiedi coperti di erbacce, come in certi film catastrofisti in cui l’Umanità scompare a causa di un virus misterioso.

Gli autori degli scatti non lo sanno, ma la colpa non è solo dell’amministrazione attuale, che qualche responsabilità comunque ce l’ha, bensì di un vuoto tecnico creato in ottemperanza di quel fumoso “principio di precauzione” dietro al quale si nascondono spesso crociate ideologiche furbesche che con la scienza hanno poco a che fare. Crociate che poi traggono nuova linfa dalle sentenze di tribunale come quella americana, come se le sentenze dei tribunali avessero il valore di prove scientifiche . Un po’ come quando a Rimini si sentenziò che il Ministero della Salute dovesse risarcire i genitori di un bambino autistico che gli avevano mosso causa attribuendo ai vaccini la fonte della patologia. Un non-sense scientifico che per fortuna venne ribaltato in appello.

Per la cronaca, la condanna di San Francisco è anch’essa solo di primo grado, ha tenuto conto solo dello scricchiolante parere della Iarc e ha ignorato gli opposti pareri di tutte le autorità di regolamentazione mondiali, quelle cioè che valutano proprio i rischi per l’uomo. Le stesse che poi obbligano o meno una multinazionale ad apporre in etichetta la fatidica frase “può provocare il cancro”. E nessuna di loro ha mai reputato di doverlo chiedere a Monsanto. Secondo Dewayne Johnson, però, se tale scritta fosse stata impressa sull’etichetta del diserbante, lui sarebbe stato più attento a utilizzarlo. Invece, per sua stessa ammissione l’avrebbe sempre applicato un po’ alla carlona, sporcandosi, bagnandosi e quindi esponendosi con molta superficialità alla miscela erbicida. In altre parole, una manifesta confessione di aver violato ogni tutela della propria salute è stata ribaltata sull’azienda fornitrice dei prodotti usati. Prodotti che però nessuna autorità internazionale ha mai reputato dover classificare cancerogeni.

Nel frattempo, i molti Dewayne Johnson romani, quelli che fino a un paio di anni fa controllavano facilmente le erbacce grazie a glifosate, oggi non lo possono usare più, con tutte le conseguenze del caso per il decoro della città e senza che la salute abbia guadagnato alcunché, né la loro né quella dei cittadini. Entro qualche anno gli effetti di tale abbandono si potranno invece misurare anche nei dissesti strutturali dei marciapiedi, dei piazzali e delle strade, causati dall’avanzata delle radici fra asfalto e sanpietrini. Danni su danni, quindi, senza che di fatto vi fosse alcuna ragione di salute pubblica che rendesse davvero necessaria tale rinuncia malerbologica.

Di certo, la proposta della Giunta romana di utilizzare le pecore come tosaerba naturali appare commovente per l’ingenuità un po’ da Heidi che la pervade. Tappeti di escrementi ed eserciti di zecche pare infatti siano stati ignorati dalla proposta quasi cartoonistica di Virginia Raggi, la quale forse non è nemmeno consapevole appieno di quanto sia stato proprio il bando di glifosate a metterla in difficoltà con i propri elettori. Elettori i quali, ironia della sorte, sono per la maggior parte avversi ai pesticidi, alle multinazionali e via discorrendo. Una sorta di legge del contrappasso che pare quindi dotata di uno spiccato senso dell’umorismo.

Chissà, invece di fare pascolare greggi di pecore per l’Urbe, la Sindaca dovrebbe forse assegnare "cesoie di cittadinanza" a ogni Romano che abbia tuonato contro glifosate, non capendo che era un prezioso strumento al servizio di tutti, senza neppure comportare i paventati rischi per la sua salute. Una paura nata grazie unicamente alle speculazioni allarmistiche moltiplicatesi come piranhas attorno a questa molecola.

Perché peggio degli squali che infestano i tribunali vi sono proprio i piranhas che sguazzano nella palude fetida della disinformazione. Quando le due specie s’incontrano, come avvenuto nel caso di glifosate, nessuno può sperare di salvarsi dalle loro voraci mascelle.