olio di palma

A maggio il CONTAM, il gruppo di esperti scientifici sui contaminanti della catena alimentare dell’EFSA (l’autorità europea per la sicurezza alimentare), ha analizzato la presenza di alcune sostanze potenzialmente nocive derivanti dai processi di trasformazione di alcuni oli e grassi vegetali, tra i quali l’olio di palma. Lo studio che ne è scaturito ha avuto un’ampia eco proprio per la presenza dell’olio di palma, al centro di numerose campagne di boicottaggio, tra gli elementi analizzati, e perché proprio l’olio di palma sia risultato quello con i livelli più elevati di GE (glicidil esteri) ed esteri del 3MCPD (3-monocloropropandiolo). Ne aveva scritto all’epoca Daniele Oppo qui su Strade.

Dell’argomento da allora si è parlato molto, ma soprattutto se ne è parlatomolto male: l’olio di palma è entrato più che mai nell’occhio del ciclone della propaganda e della disinformazione, molte aziende hanno scelto di rinunciare al suo impiego mentre alcune hanno fatto una coraggiosa scelta di difesa delle ragioni del buon senso e della razionalità scientifica.

I termini del problema oggi ce li racconta Anton Hutten, responsabile Assicurazione Qualità Globale della IOI Loders Croklaan, azienda leader nella produzione e commercializzazione di oli e grassi per l’industria alimentare, nonché importante fornitore sul mercato italiano, che incontriamo a Milano durante un incontro informativo organizzato dall’azienda per i suoi clienti ed organizzazioni affini alla catena di approvigionamento dell’olio di palma: il problema, se di problema si può parlare, è esclusivamente di processo. Si può agire efficacemente sui processi produttivi, dalla tracciabilità della materia prima alle fasi di lavorazione e raffinazione, per abbassare il livello di GE e 3DMCPe, ed è un fatto già riconosciuto dall’EFSA stessa, dal cui rapporto non è infatti scaturita alcuna modifica alle raccomandazioni alimentari: “i livelli di GE negli oli e grassi di palma - spiega l’Efsa - si sono dimezzati tra il 2010 e il 2015, grazie alle misure volontarie adottate dai produttori. Ciò ha contribuito a un calo importante dell’esposizione dei consumatori a dette sostanze”. Sostanze che, è bene saperlo, sono presenti anche nelle alternative alimentari dell’olio di palma.

Ed è lo stesso Hutten a raccontare nel dettaglio come l’adeguamento dei processi di raffinazione e la cura della qualità in IOI Loders Croklaan abbiano già prima del parere dell’EFSA permesso di raggiungere livelli medi inferiori a 2 ppm considerando la somma di Ge e 3-MCPDe nell’olio di palma raffinato segregato. Per questo prodotto, quindi, i valori medi sarebbero già conformi alle norme attese da parte della comunità europea.

Nello specifico è interessante notare come, soprattutto per quanto riguarda la presenza di 3MCPDe, l’abbassamento dei livelli si raggiunga anche attraverso la tracciabilità della materia prima: la scelta di una filiera certificata e sostenibile dal punto di vista ambientale, e quindi tracciata a partire dalla piantagione, diventa una scelta utile a raggiungere contemporaneamente due traguardi, quello della sicurezza alimentare e quello della sostenibilità ambientale.

Tutto bene, quindi? Alla fin fine, agire sui processi produttivi per adeguarli alle normative europee è quello che le aziende di ogni settore, operando nel mercato comune, fanno quotidianamente, ed è difficile che situazioni del genere vadano oltre le pubblicazioni ultra-specializzate e arrivino al grande pubblico. Eppure nel caso dell’olio di palma la faccenda diventa particolarmente delicata, a causa delle campagne protezionistiche che nei mesi scorsi hanno sostenuto la necessità di ridurne il consumo fino a bandirlo addirittura dal commercio, e oggi molte aziende temono le diffamazioni, le intimidazioni e le ritorsioni che potrebbero subire dai sostenitori di queste campagne, se non rinunceranno definitivamente a utilizzarlo nei loro prodotti.

E’ una situazione paradossale, e lo spiega bene nel suo intervento Margot Logman di EPOA, l’Alleanza Europea sull’Olio di Palma, che associa in Europa i maggiori produttori e trasformatori di olio di palma per una filiera sostenibile e per agevolare il dibattito scientifico sull’olio di palma e sulla salute. L’olio di palma ha una resa per ettaro maggiore di tutte le sue alternative, e quindi la sua produzione sfrutta meno terra coltivabile di quanto farebbero altri oli vegetali. Inoltre, anche le principali ONG ambientaliste come Greenpeace e WWF riconoscono che il boicottaggio del consumo di olio di palma è controproducente, visto che farebbe soltanto diminuire la quota di olio di palma certificato sostenibile a vantaggio di quello - e ancora purtroppo ce ne è molto - che sfugge alla certificazione ambientale.

Un conto è l’attenzione all’ambiente, che può portare anche al traguardo della zero deforestazione attraverso la salvaguardia delle foreste HCS (Alto Stock Carbonio) e delle aree HCV (Alto Valore di Conservazione) e la protezione delle torbiere, come ha illustrato Laura De Gruijter che proprio di questo si occupa presso la IOI Loders Croklaan, un conto è il boicottaggio indiscriminato, che finisce inevitabilmente per coincidere con la difesa dello status quo: ancora solo il 20% dell’olio di palma sul mercato globale è infatti certificato secondo standard adeguati come l’RSPO, al quale aderiscono anche WWF e Greenpeace.

Invece le campagne mediatiche e gli inutili allarmismi, soprattutto quando sono alimentati da vere e proprie bufale, hanno il solo risultato di alzare il volume del rumore di fondo, a cominciare dalla pretesa e sbandierata cancerogenicità dei prodotti contenenti olio di palma, e di rendere più difficile il lavoro di chi avrebbe tutto l’interesse a mettere sul mercato un prodotto migliore sia per la salute che per l’ambiente. E’ un peccato, e a farne le spese alla fine rischiamo di essere noi consumatori.