Chi si aspettava un’accelerazione dell’iter di approvazione del pacchetto dallo scandalo dello spionaggio è stato deluso. Troppi sono gli interessi in gioco. E la partita è stata ancora una volta rinviata alle calende greche.

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L'ultimora racconta di un assistente parlamentare licenziato per aver presentato 229 emendamenti alla proposta di riforma della nuova normativa privacy europea senza il consenso del suo capo, un europarlamentare belga che nel frattempo era in missione all’estero. Secondo le rivelazioni della stampa, la gran parte degli emendamenti in questione sarebbero stati dettati direttamente dall'industria, interessata ad annacquare le più stringenti norme votate dal Parlamento nell'ultima sessione di ottobre.

La riforma della normativa europea sulla privacy è una saga senza fine, che quasi certamente non finirà con lo scadere della legislatura in corso prevista la prossima primavera. A inizio 2012 la Commissione Europea presentò la sua proposta di riforma, un pacchetto comprensivo di un regolamento che armonizza le regole privacy nel mercato comune e di una direttiva che innova la normativa sullo scambio di dati personali nel contesto della cooperazione di polizia e giudiziaria per la prevenzione e repressione dei reati.

Da quel momento è accaduto letteralmente di tutto. Su di una procedura legislativa già complicata dalla dinamica politica sottostante e dal contrasto vivace tra i molti interessi toccati dalla riforma, incorporati in oltre 4000 emendamenti, nell'estate di quest'anno si è innestata la vicenda del Datagate, con gli apparati di sicurezza statunitensi scoperti a rovistare nelle conversazioni telefoniche e nei profili virtuali di milioni di europei, inclusi capi di Stato e di governo.

Ma chi si aspettava un’accelerazione dell’iter di approvazione del pacchetto dallo scandalo dello spionaggio è stato deluso. Il Parlamento Europeo ci ha provato. In una seduta fiume durata fino a notte, lo scorso 21 ottobre il Comitato per Libertà Civili riunito a Strasburgo ha approvato un testo di compromesso che cercava di forzare la mano all’altra camera legislativa dell’UE, il Consiglio, in due sensi. Innanzitutto ad iniziare in fretta, con lo stesso Parlamento, le discussioni interistituzionali dirette all’approvazione definitiva del pacchetto prima della scadenza naturale della legislatura. E in secondo luogo per predisporre una base negoziale che incorporasse degli standard regolamentari ancora più esigenti di quelli immaginati dalla proposta originaria della Commissione, rispetto ai quali l’assemblea parlamentare immaginava un gioco al “ribasso” da parte del Consiglio, più vicino alle sollecitazioni e preoccupazioni espresse da larghi settori dell’industria ICT, ma anche da una serie di piccole e medie imprese, che con l’approvazione del regolamento vedrebbero aumentare il proprio onere regolamentare privacy, pur non avendo nel core business la produzione di servizi a valore aggiunto derivati dai dati personali.

I ministri degli Stati Membri riuniti a Bruxelles hanno impiegato solo tre giorni per bloccare un Parlamento Europeo ormai pronto a ingaggiare una battaglia di politica e di potere con l’altra camera. Nella seduta del 24 ottobre, il Consiglio ha annunciato che l’approvazione della riforma non avrà luogo prima del 2015, come piaceva a Inglesi e Tedeschi insieme, seppure per ragioni non coincidenti. Una scadenza che in politica equivale ad un’era geologica, soprattutto in considerazione del rinnovo dell’assemblea elettiva europea della prossima primavera, che cambierà gli equilibri politici dell’Unione.

E c’è chi legge l’implicito placet tedesco all’insabbiamento della riforma come un messaggio inviato a Washington, perchè gli Usa lascino entrare anche la Germania nel gruppo “Five Eyes”, un club composto da Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Australia e Svezia al cui interno vengono liberamente scambiate informazioni di intelligence.

Il destino del pacchetto privacy pare dunque segnato, mentre altre iniziative potrebbero innovare lo scenario privacy del prossimo anno, in primis la revisione dell’accordo Safe Harbor, uno standard stipulato tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti per consentire il libero flusso di dati verso le aziende statunitensi che vi aderiscono. Lo strumento ha sempre suscitato considerazioni contrastanti da parte degli analisti e dei professionisti del settore, alcuni dei quali lo ritengono troppo debole e permissivo nei confronti dell’industria americana. In un caso o nell’altro, la privacy non sparirà dai radar dell’opinione pubblica europea.

 

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