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La vicenda di Infascelli e dei suoi dati manipolati sugli OGM si fa, di giorno in giorno, più sconcertante. Da quanto si è man mano appreso, il copia, incolla, taglia e cuci, che inizialmente si poteva scambiare per semplice faciloneria, si è rivelato essere piuttosto una prassi consolidata per il gruppo di ricerca napoletano che, nell’ultimo decennio, ne ha fatto largo uso, come se il suo fine non fosse quello di verificare, ma di dimostrare, ad ogni costo, la pericolosità degli OGM. Stando a quanto è trapelato dall’indagine interna alla Federico II, tale prassi inoltre non era limitata a un singolo ricercatore, dato che le sanzioni disciplinari hanno colpito ben 11 persone.

Ma è proprio sulle sanzioni che lo sconcerto rischia di diventare rassegnazione. Un gruppo di ricerca che per almeno 10 anni, grazie a dati costruiti ad arte, ha raccolto fondi, costruito carriere, credibilità e visibilità pubblica (ricordiamoci che Infascelli è stato perfino convocato in qualità di esperto in audizione in Senato) resterà al suo posto, come se niente fosse. Certo, nei loro fascicoli sarà scritto che sono stati richiamati formalmente per non essersi comportati in modo professionalmente (e deontologicamente) corretto, un paio di loro saranno anche sottoposti per due anni a un rigido controllo, ma continueranno a essere professori ordinari, professori associati, ricercatori pubblici, continueranno a pubblicare con il nome dell’Università Federico II di Napoli, e manterranno le loro attività didattiche tenendo lezioni, facendo esami, dando voti.

Si fatica a ritenere questa la sanzione esemplare che un caso del genere meriterebbe. E’ vero, è la prima volta che, in Italia, un Ateneo prende un qualsivoglia provvedimento per questo tipo di comportamento e che un provvedimento disciplinare più severo avrebbe potuto essere impugnato al TAR. Dopotutto la frode scientifica non è (ancora) un reato. Vale la pena però ricordare che per più di 10 anni abbiamo pagato questi ricercatori affinché indagassero e facessero chiarezza sull’uso di OGM come mangimi. In cambio hanno prodotto risultati che dicevano esattamente il contrario di quel che avrebbero dovuto dirci. Ora, evidentemente non paghi, li continueremo a tenere comunque sul nostro libro paga, anche se la credibilità di quel laboratorio è compromessa. Non proprio un affare.

La domanda è se si poteva e si può fare qualcosa per dare un segnale forte che scoraggi questo tipo di comportamenti in futuro. La risposta è sì: basta volerlo. Enrico Bucci, il ricercatore che ha analizzato le pubblicazioni del gruppo di Infascelli, ha trovato ad esempio che molti dei dati presentati nella tesi di dottorato (fondamentale per poter fare carriera accademica) di Vincenzo Mastellone, uno dei sanzionati, erano stati oggetto di maquillage. Sarebbe un bel segnale se l’Università, anche per difendere il suo buon nome, rivalutasse il titolo ottenuto con quella tesi. Non sarebbe nemmeno la prima volta che ciò avviene. Il caso più celebre è probabilmente quello di Jan Hendrik Schön, promettente fisico che aveva inventato dei risultati troppo strabilianti per essere veri, più o meno come il gruppo di Infascelli. L’Università di Costanza, in quel caso, decise di revocare il titolo di Dottorato (Ph.D.), perché non dovrebbe valutare un provvedimento analogo l’Università di Napoli? Il medesimo criterio dovrebbe essere applicato anche a tutti quegli avanzamenti di carriera ottenuti utilizzando le pubblicazioni scientifiche oggetto di manipolazione. Chi ha messo a curriculum queste pubblicazioni, e nel farlo era consapevole della manipolazione, di fatto ha tratto un indebito vantaggio ai danni sia dell’Ateneo che degli altri partecipanti al concorso, che magari sono dovuti fuggire all’estero per trovare un adeguato riconoscimento professionale.

Se nella scuola si ottiene una cattedra non disponendo dei titoli necessari, non solo questa viene tolta, ma viene chiesto di restituire anche tutto quanto è stato corrisposto dall’amministrazione pubblica fino a quel momento, con gli interessi. Perché non dovrebbe valere anche per l’Università? Sarebbe un importante segnale se una analoga rivalsa venisse anche da coloro che hanno erogato fondi per la ricerca sulla base di quelle pubblicazioni, o che hanno ottenuto quelle pubblicazioni come risultato del loro finanziamento. Il gruppo ha infatti, nell’ultimo decennio, scritto progetti e svolto ricerche sostenendo la necessità di approfondire le conoscenze rispetto a una tossicità degli OGM che esisteva solo nei loro dati manipolati.

Non da ultimo va ricordato che queste pubblicazioni sono state ampiamente utilizzate per alimentare un’infondata diffidenza verso gli OGM a livello sociale e politico. Sulla base di questi lavori inoltre la magistratura ha aperto fascicoli e procedimenti penali, come pare sia avvenuto nel caso di Giorgio Fidenato, l’agricoltore friulano che vorrebbe poter coltivare liberamente OGM, che ora si sta già attrezzando per chiedere i danni morali e materiali, ma dovrebbero farlo anche tutti coloro che, in buona fede, hanno usato questi dati in contesti politici e sociali, magari invitando Infascelli e i suoi a presentare i propri dati all’interno di eventi pubblici di approfondimento sul tema.

Questi sarebbero tutti segnali importanti per mostrare che il nostro paese ha gli anticorpi necessari a combattere condotte che minano profondamente la credibilità della scienza e delle sue istituzioni, alimentando la confusione e la diffidenza.

Resta in ogni caso irrisolto il vero interrogativo che gira attorno a tutta la vicenda: tanti ricercatori fanno e hanno fatto carriera in questo paese pubblicando dati onesti. Perché un gruppo di ricerca pubblico abbia invece scelto deliberatamente di manipolare i propri dati, e di farlo in un ambito sensibile come gli OGM, rimane un mistero. La domanda se l’è posta anche il rettore della Federico II, ma per ora la risposta non c’è. Averla potrebbe aiutare a fare un po’ più di chiarezza.