Kuwait e Oman, i mediatori del Golfo
Novembre/Dicembre 2017 / Monografica
La crisi tra Arabia Saudita e Qatar non rappresenta un fattore di novità all’interno della litigiosa comunità araba del Golfo. Ciononostante, quel che più ha sorpreso gli addetti ai lavori e gli esperti sono soprattutto due elementi: in primo luogo, la possibile durata di questo scontro meramente politico e, secondariamente, l’emergere di un qualche attore locale o regionale in grado di riportare una certa distensione nella diatriba corrente.
Sin dal luglio scorso, quando è emersa pubblicamente la frattura araba, diversi Paesi si sono candidati, più o meno convintamente, ad assumere l’improbo ruolo di conciliazione, soprattutto Stati Uniti, Unione Europea, Russia, Marocco, Giordania e Kuwait. In particolare quest’ultimo sembra accreditarsi alla distanza come il mediatore più credibile in questa crisi. Per tutta l’estate, infatti, l’Emiro del Kuwait in persona, Sheikh Sabah al-Ahmed al-Jaber al-Sabah, ha fatto la spola tra Riad e il suo Paese e ha tenuto legami ufficiali con Doha e Washington nel tentativo di mediare tra le parti, proponendo ai rappresentanti di Arabia Saudita e Qatar un compromesso dignitoso e suscettibile di non ledere la rispettabilità delle parti in causa.
Il capo di Stato kuwaitiano ha dichiarato nel settembre scorso, durante la conferenza stampa tenuta alla Casa Bianca con i vertici statunitensi, di “aver fermato qualsiasi azione militare” tra Arabia Saudita e Qatar. Un’affermazione inequivocabile che fotografa pienamente una realtà diplomatica assolutamente compromessa. In questo contesto di tensioni regionali anche l’Oman ha offerto una sponda indiretta al Kuwait, nel tentativo di ergersi ad arbitro neutrale nella contesa intra-araba, anche alla luce di uno status di mediatore internazionale conclamato in teatri di crisi come lo Yemen o il dossier nucleare iraniano, e ancor prima nella guerra Iran-Iraq degli anni Ottanta.
A giocare in favore dei due attori hanno pesato diversi fattori, e innanzitutto una consolidata capacità di mediazione esercitata soventemente nel Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC), il principale consesso sub-regionale mirato a garantire sviluppo e stabilità nell’area. In secondo luogo, sia il Kuwait sia l’Oman hanno già assunto un ruolo da conciliatori durante la crisi del 2014 tra Doha e Riad e sono stati gli unici membri del GCC a non aderire all’attuale crisi nei confronti del Qatar promossa da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Un ultimo fattore riguarda la condotta diplomatica di Kuwait City e Mascate, le quali non hanno avuto mai attriti con la politica estera condotta negli anni da Doha, tanto invisa invece a Riad e Abu Dhabi, dichiarando quasi immediatamente la loro rispettiva neutralità rispetto alla contesa.
Alla base, quindi, dell’azione duplice di Kuwait e Oman vi è soprattutto il timore che le tensioni in corso possano danneggiare gli interessi di tutti i membri del GCC e non solo dei Paesi coinvolti, minando alle fondamenta la stabilità geopolitica della regione. Di fatto, la crisi tra Qatar e Arabia Saudita rappresenta un grave dilemma per il Kuwait e l’Oman e la loro politica estera neutrale, ma ancor di più essa pone nuovi interrogativi circa le reali capacità degli stessi attori di poter agire in maniera indipendente al risanamento della frattura qatarino-saudita, senza subire a loro volta contraccolpi o pressioni di alcun tipo e godendo di un ampio supporto tale da permettergli di imporre delle scelte anche sgradite ai contendenti.
A ciò si aggiunge un generale senso di sfiducia espresso palesemente dal duo Arabia Saudita-Emirati nei confronti di Kuwait e Oman, in particolare in virtù del loro dialogo con il rivale iraniano. Nel primo caso, Riad ha recentemente espresso un certo malessere circa la decisione kuwaitiana di non procedere all’espulsione dal Paese dei rappresentanti diplomatici iraniani, come invece richiesto da tempo dagli al-Saud. Nel caso dell’Oman, la tensione è più evidente in virtù di un forte e robusto rapporto bilaterale ad ampio spettro tra Mascate e Teheran, che negli ultimi anni ha conosciuto un grande sviluppo, in una direzione he secondo l’Arabia Saudita potrebbe minare la stabilità e la sicurezza collettiva del GCC e della regione.
Se l’obiettivo di Kuwait e Oman è chiaramente quello di impedire un’escalation delle tensioni regionali, essi dovranno tuttavia prestare molta attenzione a possibili colpi di coda da ambo i fronti, per impedire che la contesa li travolga e possano perdere quella neutralità e indipendenza conquistata duramente e altrettanto difesa nel corso dei decenni. Sotto queste premesse, dunque, il 2017 per questi due Paesi è stato un momento di equilibrismi tra pressioni geopolitiche provenienti da diverse fonti e viene pertanto difficile immaginare che, nell’immediato futuro, vi siano nuove opportunità di distensione.
INDICE Novembre/dicembre 2017
Editoriale
Monografica
- Golfo Arabo, l’anno che non c’era: cosa, come e perché della crisi del Qatar
- Arabia Saudita, primi importanti passi verso il cambiamento
- Generare forza attraverso l’unità: l’esempio del Bahrein
- Separare la politica dalla religione: un anno di riforme in Bahrein
- Emirati Arabi Uniti, un 2017 in crescita
- Kuwait e Oman, i mediatori del Golfo
- Gulf Economic Visions: come riprogettare l’economia del Golfo
- Arab Gulf, the year that wasn’t: the who, what and why of the Qatar crisis
- Saudi Arabia, the first important step towards change
- Generating strength through unity: the example of Bahrain
- Separating politics from religion: a year of reforms in Bahrain
- United Arab Emirates, a 2017 of growth
- Kuwait and Oman, mediators of the Gulf
- Gulf Economic Visions: how to redesign the Arab Gulf economy