Non si può sperare in una difesa europea efficace se non si crede nell'Europa. È necessario definire con precisione, e possibilmente prima della prossima emergenza, le competenze, i metodi e gli ambiti d’azione di una forza di difesa europea che possa competere alla pari con quelle degli altri “blocchi” mondiali. Un libro bianco europeo della difesa è il punto di partenza.

Perruche bussola

È nel contesto del secondo dopoguerra mondiale che un approccio europeo alla difesa si è progressivamente sovrapposto agli approcci nazionali. Questo nuovo approccio aveva un doppio scopo: da una parte evitare nuove guerre intra-europee e dall'altra rimediare con l’unione alla debolezza degli stati europei di fronte alla minaccia dell'Armata Rossa.

Tuttavia, poiché l’Europa rimaneva organizzata in nazioni indipendenti, questo nuovo approccio generava per gli stati un dilemma tra il bisogno di unire le loro forze ai livelli europeo e transatlantico e quello di conservare la loro piena sovranità nella difesa. Il tentativo abortito di creazione di una Comunità Europea di Difesa nel 1954 ne fu una prima illustrazione.

Il dilemma rimane intero nell’odierno contesto di sicurezza ed è ampiamente sfruttato dai partiti nazionalisti propugnatori di un ripiegamento nazionale, ritenuto un mezzo per restaurare la piena sovranità perduta. Esso è responsabile di molte delle frustrazioni avvertite dai cittadini europei quanto alla credibilità di una difesa europea che pure auspicano (come dimostrano i sondaggi dell’Eurobarometro).

È quindi per la risoluzione di questo dilemma che occorre impegnarsi se si vuole migliorare la difesa dei nostri Paesi. Ciò implica naturalmente mettere in parallelo l’evoluzione dell’organizzazione politica dell’Europa con quella della sua difesa: quale difesa per quale Europa? Lo svolgimento che segue comincia con l'analizzare la problematica della sovranità nella difesa, per in seguito stilare un bilancio rapido della cooperazione intergovernativa attuale e proporre una via verso una europeizzazione della difesa più efficace.

Sovranità nazionale e difesa

Responsabilità per eccellenza degli stati, la sovranità non può essere disgiunta dalla nozione di potenza. Cos'è la sovranità senza la potenza. quando si tratta per uno stato di proteggere i suoi interessi in un mondo dove gli stati sono sempre più interdipendenti ma continuano ad intrattenere tra di loro dei rapporti di concorrenza e quindi di forza? Il mondo del Ventunesimo secolo è quello di stati-continenti (Cina, Russia, Stati-Uniti, India, Brasile…) più potenti di ciascuno degli stati europei.

È la ragione per la quale questi ultimi hanno una sola alternativa: scegliere le alleanze a seconda dei casi, delle circostanze e degli imprevisti della congiuntura, oppure unire le proprie forze a partire dai tempi di pace, per raggiungere un livello di potenza sufficiente a proteggere i loro interessi, mantenere un'influenza ed evitare di essere dominati.

La forza militare rimane un elemento indispensabile della potenza, ma oggi, in Europa, solo la Francia ed il Regno Unito (con qualche riserva dovuta alla dipendenza di quest’ultimo nei confronti degli Stati Uniti) sono in grado di difendere da sé i propri interessi vitali grazie al nucleare, e hanno ancora (ma per quanto tempo?), la capacità di ingaggiare per primi operazioni coercitive di portata limitata al di fuori del proprio territorio; tutti gli altri stati d'Europa possono agire solo in un quadro multinazionale, svolgendovi un ruolo complementare per non dire secondario.

L’espressione della loro sovranità nella difesa, quindi, per la maggior parte degli stati europei si riassume essenzialmente nella scelta dei potenti da cui vogliono dipendere e delle coalizioni alle quali desiderano, possono o devono unirsi. E le prospettive di evoluzione dei rapporti di forza mondiali nei decenni a venire non sono favorevoli agli europei. La questione di una condivisione volontaria di sovranità nel campo della difesa per guadagnare in potenza è quindi centrale per loro. Basta, per convincersene, esaminare la situazione attuale della difesa europea.

Bilancio e limiti della cooperazione attuale (metodo intergovernativo) nella Nato e nell’UE

Nell'ambito della Nato, gli stati europei delegano, per l’essenziale, la responsabilità della loro difesa agli Stati Uniti. Benché le decisioni di pianificazione e di ingaggio operativo vengano prese sulla base del consenso di tutti gli stati alleati (uno stato=un voto), la potenza militare americana conferisce a questo Paese un peso determinante e una posizione dominante, tanto per quanto riguarda la scelta delle zone e delle modalità di impegno quanto per quel che riguarda i modi di azione e i mezzi impegnati. Totalmente dipendenti dalla politica e dalla strategia americane, gli stati europei non si assumono quindi per davvero le proprie responsabilità di difesa.

Il successo degli interventi della Nato è illuminante a questo proposito, perché è sempre risultato dalla potenza militare americana e dalla “leadership” ad essa associata: in Bosnia, come in Kosovo ed in Afghanistan, gli Stati Uniti assumevano la responsabilità politica e fornivano tra il 75 e l’80% dei mezzi impegnati. L’intervento del 2011 in Libia ha mostrato la difficoltà per gli Europei di agire nel quadro della Nato dove gli Americani, che occupano i posti più elevati della struttura di comando (SACEUR(1), COMAFSOUTH(2)), si limitano al solo sostegno ad un'operazione condotta da altri. Questa situazione comporta il rischio di una dissociazione anche solo parziale tra gli interessi di sicurezza americani e quelli europei in Europa, e le dichiarazioni del nuovo Presidente americano creano delle legittime inquietudini per quanto riguarda la garanzia di sicurezza americana all'Europa ed il suo prezzo.

Nell’Unione Europea, la situazione non è migliore. L’UE nella quale gli stati membri sviluppano da molto tempo degli interessi comuni costituisce a priori il quadro naturale da privilegiare per una messa in comune delle forze, a condizione che ciò non costituisca un freno, come è avvenuto finora. Al centro del funzionamento attuale della Politica di Sicurezza e di Difesa Comune (PSDC) è insita una contraddizione forte (che è necessario superare) tra, da una parte, il bisogno espresso dai Capi di stato europei di unire le proprie forze per raggiungere la potenza critica necessaria e, dall’altra, la loro volontà di conservare una totale libertà di decisione e di azione al livello nazionale. Questa contraddizione è la causa reale del divario tra le dichiarazioni volontaristiche del Consiglio europeo e i fatti. Si tratta di un problema politico centrale, che non può essere risolto solo con misure tecniche.

Cosi, col pretesto di non duplicare la Nato, le ambizioni della PESD(3), diventata PSDC dopo il trattato di Lisbona, sono state molto ridotte dalla sua nascita nel dicembre 2000 e poco modificate in seguito. L’UE si permette solo delle operazioni civili o militari di gestione di crisi al di fuori del suo territorio, non si è dotata di strutture di comando operativo permanenti (tranne l’EMUE(4) a livello politico-militare) e contempla de facto solo operazioni di portata limitata e di bassa intensità.

A sostegno della nuova Strategia Globale di Sicurezza Europea approvata nel 2016 dal Consiglio Europeo, l'Alta Rappresentante sottolinea tuttavia che “… La nostra Unione ha bisogno di una strategia, di una visione condivisa e di azione comune”.

A conti fatti, il metodo di cooperazione intergovernativa attuale è poco soddisfacente. Nella Nato, porta ad una dipendenza totale nei confronti degli Stati Uniti e all'incertezza; nell’UE genera paralisi e inefficacia nel campo operativo (le crisi di Libia, del Mali o della Repubblica Centroafricana lo hanno ampiamente dimostrato), ma anche nel campo delle capacità, dove in alcuni settori ci sono lacune, in altri sovrapposizioni. Se la necessità per gli Europei di unire le loro forze per difendersi meglio si rivela più pressante che mai nel nuovo contesto di sicurezza, le vie verso una europeizzazione efficace della difesa rimangono da definire.

Come europeizzare la difesa?

Una vera messa in comune della difesa europea deve avere come obiettivo quello di consentire agli stati che vi si impegnano di raggiungere insieme una capacità di difesa e di azione superiore a quella che potrebbero sperare al livello nazionale. L’unione delle loro forze deve avere un effetto moltiplicatore di potenza. Ma quest'opzione poggia su un'adesione volontaria degli stati che, per usufruire di una potenza rafforzata, devono accettare di gestirne l'impiego insieme.

L’ambizione o il realismo di quest'obiettivo dipendono evidentemente dalle forme che potrebbe rivestire questa messa in comune ai livelli politici ed operativi, gli obiettivi da raggiungere essendo

- nel campo politico: interessi comuni o complementari, rischi condivisi, accettati e assunti da tutti, una direzione politica efficace;

- nel campo militare: strutture di comando europee efficaci, capacità e modi di azione operativi adatti, forze addestrate ad agire insieme e inter-operabili.

Per migliorare l'attuale sistema, è indispensabile superare le modalità di cooperazione intergovernativa in vigore nell’UE, nelle quali ciascun organo decisionale (Consigli, COREPER(5), COPS(6)…) funziona a partire dall'intersezione di interessi nazionali differenti, spesso divergenti, con priorità molto diverse a seconda della posizione geografica, della dimensione e della storia degli stati e che porta a un minimo denominatore comune (soprattutto con 27 o 28 Paesi).

Per definire degli interessi veramente europei ed agire in modo efficace a questo livello, è indispensabile considerare l’Europa (l’UE) come un'entità politica da difendere in quanto tale, nella quale si iscrivono la protezione e la difesa degli stati che ne sono membri. È la ragione per la quale uno studio dall'alto dei bisogni e delle priorità di difesa di questo insieme (500 milioni di abitanti che vivono nello stesso spazio geografico con le sue frontiere, e che producono più del 20% del PIL mondiale) deve essere realizzato sotto forma di un libro bianco europeo della difesa che vada ad integrare le analisi nazionali, fornendo ad esse un quadro di coerenza e di complementarietà. È il punto di partenza indispensabile di una difesa europea efficace.

Solo un tale approccio consentirà di rimediare alla paralisi, alle divisioni e alle lacune attuali, favorendo dei progressi in 3 direzioni determinanti: la convergenza degli interessi di sicurezza degli stati membri, il riavvicinamento delle culture operative e la credibilità di una “leadership europea”.

- La convergenza degli interessi di sicurezza: un libro bianco europeo dovrebbe comportare un'analisi dei rischi e delle sfide di sicurezza potenziali che minacciano l’UE alle sue frontiere, le risposte auspicabili a livello europeo, l’espressione delle capacità necessarie, così come i meccanismi di decisione politica e di esecuzione operativa appropriati. Esso consentirebbe di definire degli interessi superiori europei corrispondenti alle realtà fisiche e politiche dell’UE, integrando e superando gli interessi nazionali. Un bilancio delle risposte possibili alle minacce e alle sfide per livello (europeo, regionale e nazionale) potrebbe essere stilato insieme alle misure di coerenza tra questi tre livelli. Si creerebbe così un legame di coerenza tra gli interessi di sicurezza europei e quelli nazionali, che aprirebbe la strada a una certa complementarietà delle difese nazionali e al loro mutuo rafforzamento, stimolando la solidarietà degli stati membri dell’UE e facendo prendere coscienza agli europei del loro destino comune.

Consentirebbe anche una migliore anticipazione delle reazioni politiche ed operative possibili dell’UE alle minacce esistenti o potenziali, una ripartizione più giusta degli sforzi di difesa, una divisione più equilibrata dei costi di intervento nelle crisi e la chiarificazione dei campi in cui dovrebbe valere la mutua assistenza. Quest'approccio globale alla difesa europea conferirebbe senso alle cooperazioni rafforzate degli stati su base regionale o trasversale e alle azioni intraprese da un numero limitato di stati a nome dell’UE contro certe minacce (articolo 44 del trattato di Lisbona). Potrebbe anche iniziare con un numero limitato di Paesi, appoggiandosi sulla cooperazione strutturata permanente.

- In secondo luogo, la preparazione di risposte a livello europeo favorirebbe una convergenza delle culture operative. Oggi, malgrado l’abitudine dei militari europei di lavorare insieme e la loro interoperabilità, in particolare nell'ambito degli Stati maggiori integrati della Nato, permangono culture operative distanti tra Paesi le cui ambizioni e i cui metodi sono differenti. Un'analisi comune dei bisogni e delle risposte prospettate a livello europeo avrebbe l’effetto di avvicinare le culture e quindi i ragionamenti operativi, prima tappa verso uno spirito di difesa europeo. Essa stimolerebbe le compartecipazioni rafforzando le cooperazioni, con lo sviluppo progressivo dell’integrazione a partire dalle funzioni non combattenti (formazione, logistica, sostegno...).

- Un libro bianco della difesa favorirebbe infine l'emergere di una leadership politica e operativa europea visibile e credibile.

Grazie all’affermazione dei loro bisogni di difesa a livello continentale, e alle risposte necessarie per farvi fronte, gli europei creerebbero le condizioni per la loro autonomia strategica e per una certa unità di azione. Per migliorare i tempi necessari alla presa di decisione politica (insormontabili nelle ultime crisi), occorre poter agire sia sull’anticipazione delle situazioni che sul meccanismo decisionale.

Le misure prese in anticipo dovrebbero appoggiarsi su studi di scenari di crisi potenziali derivanti dalle analisi del “libro bianco europeo” e prevedere risposte a livello europeo in funzione di parametri accettati da tutti gli stati membri oltre alle forme di partecipazione previste da ciascuno stato. Non si potrebbe trattare di decisioni prese in anticipo dagli stati, ma di probabilità d’ingaggio rispetto a delle situazioni prefigurate. Questo favorirebbe inoltre un incremento del livello di ambizione della PESC e stimolerebbe lo sviluppo delle capacità necessarie. Un tale approccio implicherebbe naturalmente che l’UE trattasse la sua difesa in modo globale, ovvero senza discontinuità tra le minacce esterne ed interne all'Europa e disponesse di una catena di comando completa e permanente.

Questa evoluzione rispetterebbe l’interesse degli stati, aumentando le loro capacità di difesa autonoma in cambio dell’accettazione di un quadro comune condiviso. Rafforzerebbe il partenariato transatlantico, facendo apparire l’UE come un attore credibile della sicurezza, capace di agire sia in modo autonomo che accanto ai suoi alleati. Quest'approccio di europeizzazione della difesa aprirebbe la strada verso una maggiore integrazione, rispettando allo stesso tempo le prerogative sovrane degli stati. Consentirebbe quindi di superare il blocco attuale causato dall’incontro di interessi nazionali divergenti.

Queste misure dovrebbero dar luogo ad una giusta informazione dei cittadini dell'insieme degli stati dell’UE che dovranno riconoscerne la legittimità. Si tratterebbe di informarli sul fatto che la difesa concepita a livello europeo li proteggerebbe meglio, al prezzo della reciproca solidarietà, smettendo contemporaneamente di illuderli con quanto gli stati si aspettano dalla difesa europea senza averle dato i mezzi necessari. Non si può sperare in una difesa europea efficace se non si crede nell'Europa!

Note al testo:

(1) SACEUR: Comando Supremo Alleati in Europa.
(2) COMAFSOUTH: Comando delle Forze Alleate, Europa meridionale (NATO).
(3) PESD: Politica Europea di Sicurezza e Difesa.
(4) EMUE: Stato Maggiore dell'Unione Europea.
(5) COREPER: Comitato dei Rappresentanti Permanenti (UE).
(6) COP: Comitato Politico e di Sicurezza (Consiglio UE).