Quanto dura una bufala? Un caso di scuola
Marzo/aprile 2017 / Monografica
Nel 2009, Sarah Palin decide di combattere la riforma sanitaria voluta dal neopresidente Obama affermando falsamente che essa preveda dei 'death panel' per decidere se le persone con disabilità possano continuare a curarsi o no: la notizia diventa talmente virale che Obama in persona è costretto a smentirla e molti americani credono tuttora che sia vera. Analizziamo la genesi e la diffusione dell’antesignana delle fake news di oggi.
È fatto assodato che l’oceano in cui sempre di più peschiamo notizie e formiamo la nostra opinione, Internet, è inquinato dalle notizie false, esagerate o estrapolate che racchiuderemo qui sotto il nome comune di bufale. Al netto del complottismo disinteressato che – al pari della follia – “merita i suoi applausi”, le bufale nascono tendenzialmente con uno scopo preciso (clic, soldi, consenso) e ravvicinato nel tempo. I danni e la visibilità maggiori sembrano verificarsi subito dopo la pubblicazione, ma la propagazione della verità alternativa non si arresta a questa prima fase, e le sue conseguenze possono andare ben oltre gli intenti degli stessi autori.
Contrariamente ai quotidiani, che sempre meno persone leggono il giorno stesso e nessuna il giorno dopo, in Rete tutto è immediato ma paradossalmente niente scade. Quante volte siamo stati esposti ai video virali in cui un cane di piccole dimensioni mette in fuga ben tre orsi o alla sorprendente caduta della ragazza che si avventura sul ghiaccio con i tacchi a spillo? Accade lo stesso con le notizie che non lo sono: le pagine rispolverano spesso vecchie bufale e le condivisioni dei singoli utenti propagano, ormai senza spuma ma con gli stessi danni, l'onda delle verità alternative.
“Non è colpa di Internet”. L'argomento di una parte (ottimista) dell’intelligencija digitale, che tende a considerare la Rete un nuovo eden la cui libertà è legata al suo stato di natura, è che le fake news esistevano già prima del world wide web. Non c'è dubbio a riguardo, Politico fa risalire l'avvento delle prime bufale più o meno all’invenzione della stampa a caratteri mobili. Quindi no, così come non è la pistola di Gavrilo Princip ad aver scatenato la Prima Guerra Mondiale non sono state le webfarm di Amazon e Google a condizionare le elezioni americane.
È però innegabile che Internet apra nuovi scenari. Già nel 2013 il Forum Economico Mondiale annoverava tra i rischi globali una potenziale disinformazione digitale di massa, resa plausibile dalla natura della Rete: “Se i lati positivi dell’accessibilità e della rapidità di circolazione delle informazioni in Internet e in particolare sui social media appaiono evidenti e ben documentati, il mondo iperconnesso in cui viviamo potrebbe, allo stesso modo, consentire la diffusione virale di informazioni volontariamente o involontariamente fuorvianti o provocatorie, con conseguenze serie”.
Facciamo un esempio concreto. Nell’agosto del 2009 gli utenti di Facebook sono “solo” 300 milioni, 6 volte meno di oggi. Barack Obama è Presidente degli Stati Uniti da pochi mesi e l’Obamacare è ancora un disegno di legge all'esame delle Commissioni competenti del Congresso. Ma la battaglia politica sul tema è già feroce, a tal punto cheil mese estivo viene ricordato a distanza di anni per la violenza verbale mostrata dagli oppositori della riforma nei town hall meetings – incontri aperti al pubblico con gli eletti – organizzati dai democratici per illustrare la proposta sul territorio.
È in questo contesto che Sarah Palin, candidata a sorpresa nel 2008 alla vicepresidenza Usa nel ticket repubblicano con John McCain, governatrice dimissionaria dell’Alaska e punto di riferimento del Tea Party, decide di dare il suo contributo all’escalation con un post Facebook che entrerà nella storia. È verosimilmente la prima bufala di questa portata pubblicata da un leader politico nazionale sui social media e il suo impatto sul dibattito pubblico offriva già, 8 anni fa, qualche indizio sul potenziale ormai evidente della post-verità. Una tempesta perfetta.
7 agosto 2009. “L’America che conosco e amo non è quella in cui i miei genitori o mio figlio con la sindrome di Down dovranno presentarsi davanti ai ‘comitati della morte’ ('death panels') di Obama - scrive la Palin – dove i suoi burocrati [...] decideranno se sono degni di ricevere assistenza medica. Un sistema del genere è semplicemente diabolico”. La bomba è sganciata, il messaggio chiaro e sensazionale: con la riforma lo Stato decide chi, tra i più fragili, può essere sacrificato perché costa troppo.
10 agosto. Il sito di fact-checking PolitiFact, premio Pulitzer l'anno precedente, bolla l’affermazione come del tutto falsa e la sceglierà come “bugia dell’anno” per il 2009. Hanno fatto altrettanto tutte le principali testate giornalistiche. Mai però come in questo caso la falsità della notizia appare irrilevante rispetto al suo impatto emotivo. Anche il tempismo è perfetto: i town hall meetings si svolgono soprattutto durante la pausa dei lavori del Congresso che, nel 2009, inizia sabato 8 agosto, il giorno successivo alla pubblicazione del post su Facebook.
11 agosto. È tramite la domanda di una ragazza di undici anni – in 4 giorni la bufala è giunta alle orecchie e alle menti dei preadolescenti – che Sarah Palin detta l'agenda politica e costringe il Presidente degli Stati Uniti a smentire la falsità che ha pubblicato su Facebook. Anche qui siamo in un town hall meeting, nel New Hampshire. Il Presidente risponde alla Obama, informale e molto cool, ma in questo caso sembra quasi non cogliere la presa dei death panels sull'immaginario collettivo e la sua risposta appare quasi sarcastica: “Sta girando una voce secondo la quale la Camera dei Rappresentanti avrebbe approvato dei comitati della morte che staccherebbero la spina alla nonna perché abbiamo deciso che costa troppo tenerla in vita...”.
12 agosto. Sarah Palin va all in, sempre su Facebook. In una nota circostanziata, con tanto di riferimenti normativi e note a piè di pagina, la Palin ribadisce l'esistenza dei death panels e stigmatizza la leggerezza con cui Obama ha trattato l'argomento definendo “fuorvianti” le sue affermazioni. Colpo di scena, è lui il bugiardo. Palin non cita ma sfida l'intero sistema dell'informazione tradizionale, i mainstream media contro cui tuona Trump, puntando tutto sul suo bluff e imponendo una sua verità. Alternativa.
13 agosto. Altri esponenti repubblicani, galvanizzati, arricchiscono di particolari la bufala: i death panels esistono già nel britannico National Health Service. Il senatore Grassley dichiara ad esempio che il suo collega Edward Kennedy, malato di cancro, verrebbe lasciato morire nel Regno Unito. Ne scaturisce una tale indignazione in Inghilterra che nasce su Twitter la campagna #WeLoveTheNHS a cui aderiscono anche il fisico Stephen Hawking e il primo ministro Gordon Brown. Sono così tanti i tweet pubblicati che il sito di messaggistica istantanea va in crash.
Il 14 agosto, a una settimana esatta dal post Facebook, il Los Angeles Times riporta in un retroscena che la Commissione Finanze del Senato intende cancellare dall’Obamacare la parte del testo da cui nasce il mito dei death panels in quanto “crea confusione”. Dopo l'informazione e la politica, i comitati della morte colpiscono e affondano anche le politiche. Tutto in una settimana.
Nel 2015, Vox.com ha condotto un sondaggio per valutare l'opinione delle persone sull'Obamacare, a 5 anni dalla sua entrata in vigore. Alla domanda sulla presenza dei death panels nella legge, il 39% dei repubblicani e il 14% dei democratici risponde di sì: esistono. Nel 2016, un altro sondaggio rileva che soltanto 4 americani su 10 sono sicuri che non esistano. 3 su 10 non ne sono sicuri mentre il restante 29% degli intervistati è convinto che comitati della morte stiano regolarmente operando in seno al servizio sanitario statunitense.
I sondaggi certificano il successo di questa particolare bufala ma sembrano più in generale dar corpo alla teoria di alcuni ricercatori, tra cui Walter Quattrociocchi della scuola di alti studi IMT di Lucca. I risultati di uno studio del 2015, ripreso dal Washington Post, dimostrano come sia sostanzialmente inutile smascherare le fake news perché chi ci vuole credere lo farà lo stesso.
C'è da sperare che non andrà così quando saranno le piattaforme ad impegnarsi sul fronte del fact-checking. Facebook - sotto pressione dopo la campagna elettorale Usa - ha recentemente avviato un esperimento negli Stati Uniti, in Francia e in Germania. Due Paesi in cui si voterà a breve e dove c'è già grande apprensione nella classe politica per eventuali condizionamenti dovuti alla disinformazione.
Esattamente come nel caso del cyberbullismo, è opinione condivisa che queste soluzioni tecnologiche siano solo parte della soluzione e che solo attraverso un sforzo educativo i futuri utenti della Rete svilupperanno gli anticorpi necessari ad arginare loro stessi la diffusione delle bufale e dei loro danni.
Di sicuro i militanti democratici, ora all'opposizione, hanno già sviluppato una comprensibile insofferenza al mito dei death panels. Non è andata benissimo all'esponente repubblicano che un mese fa ha riproposto il concetto, forse fuori tempo massimo, in un town hall meeting sull'abolizione dell'Obamacare.
INDICE Marzo/Aprile 2017
Editoriale
Monografica
- Fake news e post-truth. Come ne usciamo senza farci male?
- Quanto dura una bufala? Un caso di scuola
- Bufale al potere - 1. Il senso di Trump per le bugie
- Bufale al potere - 2. La guerra ibrida del Cremlino
- L'odio di ieri e l'odio di oggi
- La lingua e le parole dell'odio, ora come allora
- Torna di moda il ‘capro espiatorio’ per non fare i conti con la realtà
- Inseguire i populisti sul terreno dell’odio? Non funziona
Istituzioni ed economia
- Il 4 dicembre non è stata la nostra Brexit
- Britannici e ucraini nell'Unione. Le 'due velocità' utili all'Europa
Diritto e libertà
- La morte buona, tra la politica e i tribunali
- L’Europa dei diritti contro la tirannia delle maggioranze
- I punti critici del Consultellum. Non spetta alla Corte fare buone leggi elettorali