Perché la demografia non deve farci paura
Gennaio/Febbraio 2016 / Monografica
Lo sviluppo tecnologico permette di far crescere il cibo disponibile più rapidamente delle bocche da sfamare. L’alfabetizzazione di massa e la crescita economica portano a una generale normalizzazione delle dinamiche demografiche. Smentendo le previsioni catastrofiste, si sta lentamente procedendo verso una convergenza degli indici di natalità, con importanti e positivi effetti culturali e politici.
Il tramonto del reverendo Malthus
Gli allarmi sulla fine del cibo, la fine dell’acqua, la fine dell’energia ripropongono l’assioma di Malthus: poiché le risorse crescono meno rapidamente della popolazione, è inevitabile che prima o poi arrivino i tre cavalieri dell’Apocalisse: a peste, fame et bello, libera nos Domine. La realtà, fortunatamente, non è così nera. Malthus è uno dei padri dell’economia e della demografia moderna. Tuttavia, egli non poteva immaginare che proprio i mutamenti sociali che lo spinsero a scrivere il suo libro, all’inizio dell’800, sarebbero presto sfociati in due meccanismi socio-economici del tutto nuovi, che avrebbero reso il suo modello poco utile per il mondo di oggi.
Il primo meccanismo è il vorticoso affermarsi di sempre nuove tecnologie, che permettono al pane di crescere più rapidamente delle bocche da sfamare. Secondo i dati della FAO e delle Nazioni Unite, nel cinquantennio 1961-2011 il cibo prodotto nel mondo è più che triplicato, mentre la popolazione è “solo” raddoppiata. Oggi nel mondo ci sarebbe cibo per tutti, il problema sta nel fatto che una minoranza fortunata può mangiare quanto vuole, mentre la maggioranza dell’umanità deve accontentarsi di minuscole porzioni.
Il secondo meccanismo non previsto da Malthus è che lo sviluppo sostenuto e continuativo spinge verso il basso la natalità. In Europa, ciò iniziò a accadere fra Ottocento e prima metà del Novecento, e oggi è in atto quasi ovunque nel mondo. Fanno eccezione pochi paesi poverissimi, popolati in larga misura da analfabeti (come l’Afghanistan e parte dell’Africa sub-sahariana).
Crescita della popolazione e sviluppo
Quindi, non c’è di che preoccuparsi? Le cose non sono così semplici. Il problema è che nei vari paesi questi due meccanismi post-maltusiani si sono manifestati con modalità e tempi molto diversi. Nei paesi poveri la popolazione si sta modificando con modalità simili a quelle dei paesi oggi ricchi, ma cinquanta o cento anni dopo, e molto più velocemente. C’è una generale convergenza verso un mondo dove ovunque si vive più a lungo e nascono meno bambini. Ma il cambiamento nei paesi oggi poveri è stato molto più “violento”. Nessun paese europeo ha visto la sua popolazione aumentare di sette volte in sessant’anni, come è accaduto in molti paesi africani nella seconda metà del Novecento. In gran parte del mondo oggi povero, infatti, la natalità e la mortalità infantile partivano da livelli molto elevati, e quindi il rapido declino della mortalità – non accompagnato da un parallelo declino della natalità – ha generato una straordinaria accelerazione della crescita e un fortissimo ringiovanimento della popolazione.
Nei paesi europei e negli Stati Uniti, i decenni in cui la popolazione è cresciuta (1850-1970) sono stati gli stessi del grande decollo dello sviluppo, trainato dall’incremento delle rese agricole, dalla diffusione capillare dell’istruzione e dalla nascita dell’economia industriale e post-industriale. Nei paesi oggi poveri, invece, il subitaneo declino della mortalità infantile e giovanile, l’incremento delle rese agricole, i primi nuclei di sviluppo industriale sono stati fenomeni di importazione. È stato però molto più difficile per l’Europa e gli Stati Uniti “esportare” il cambiamento di mentalità che sta alla base della riduzione del numero di figli nelle coppie. Ma se la popolazione cresce troppo rapidamente, l’aumento di reddito garantito dall’incremento delle rese agricole e dai primi vagiti dell’industria moderna viene assorbito dalla necessità di sfamare nuove bocche. Senza un incremento del reddito pro capite, tuttavia, non scatta il meccanismo che rende razionale per una coppia avere meno figli, per garantire a se stessi e ai pochi figli già nati un futuro migliore. Inoltre, ci sono pochi soldi per diffondere l’istruzione di base, l’altro motore del cambiamento. L’ombra di Malthus incombe minacciosa.
Tuttavia, gran parte dei paesi poveri è uscita da questo impasse, perché la natalità è diminuita quasi ovunque. Gli interrogativi più grossi sono là dove la natalità stenta a diminuire, e la popolazione continua a crescere rapida. Uno studio recente mostra che i paesi dove a partire dal 1980 la popolazione è cresciuta di più sono gli stessi dove il reddito pro capite è cresciuto di meno. Quindi, è vero che tutta l’Africa sub-sahariana (con l’importante eccezione del Sud Africa), alcuni paesi dell’Asia (fra cui il maggiore è certamente il Pakistan) e dell’America Latina (fra cui Haiti, Guatemala e Honduras) e molte isole-stato dell’Oceania non sono ancora uscite dalla trappola maltusiana; stiamo però parlando di quote importanti, ma limitate della popolazione mondiale, per cui si vedono comunque segni di calo della fecondità, grazie anche al forte incremento dell’età alle prime nozze delle donne e – seppure a macchia di leopardo – serie politiche di family planning.
Convergenze
“Oggi, in un mondo reso ansioso dalla globalizzazione economica, è forte la tentazione di classificare, di separare e naturalmente di condannare. Del resto, alcune potenze e alcuni ricercatori hanno interesse a instillare negli spiriti la rappresentazione di un conflitto fra civiltà, che maschera la violenza dei conflitti economici. La demografia ci libera da questa paranoia strumentalizzata, e permette di guardare più lontano. Le popolazioni del mondo, di civiltà e di religioni diverse, si trovano su traiettorie di convergenza. La convergenza degli indici di natalità permette di proiettarsi in un futuro – prossimo – nel quale la diversità delle tradizioni culturali non sarà più percepita come generatrice di conflitti, ma testimonierà semplicemente la ricchezza della storia umana.”
Questa è la frase conclusiva del libro “L’incontro delle civiltà”, dove i demografi francesi Youssef Courbage ed Emmanuel Todd sfatano un mito duro a morire, quello dell’irriducibile differenza musulmana. Secondo questi autori, la convergenza verso la piena alfabetizzazione e verso una fecondità di due figli per donna ha già portato o porterà nel giro di pochi anni i paesi islamici a battere molte strade già percorse dai paesi occidentali, compresi i sussulti di tipo rivoluzionario e – purtroppo – i tentativi di restaurare l’ancien régime. Il cambiamento, infatti, costringe i popoli a modificare profondamente la loro visione del mondo, mettendo in discussione l’idea di responsabilità individuale, i rapporti familiari, le relazioni di classe, il rapporto fra stato e cittadini, i rapporti di genere.
Il libro – scritto nel 2007, ben prima delle rivolte che a partire dal 2010 hanno scosso numerosi paesi islamici – è in qualche modo profetico: “Non è affatto necessario speculare su un’essenza particolare dell’Islam per spiegare le violenze che scuotono oggi il mondo islamico. Questo universo è disorientato perché subisce lo shock della rivoluzione delle mentalità associato all’avanzata dell’alfabetizzazione e alla generalizzazione del controllo delle nascite. Le violenze della storia europea, dalla Riforma protestante fino alla Seconda guerra mondiale, corrispondevano allo stesso movimento di modernizzazione mentale. Dopo il passaggio dell’onda, i paesi si calmano. Possono allora guardare con incredulità, perfino con sufficienza, quelli che li seguono. Questo errore di prospettiva è rivelatore del livello molto debole di coscienza storica che caratterizza l’Europa e gli Stati Uniti. La nostra epoca celebra la memoria, ma pratica l’amnesia”.
È auspicabile che nei paesi islamici “il passaggio dell’onda” duri meno che in Europa, e generi meno sofferenze e devastazioni. Inoltre, il libro citato esalta forse troppo le convergenze, considerando poco le differenze fra transizione demografica nei paesi oggi ricchi e in quelli oggi poveri. La conseguente maggiore sfasatura fra declino della mortalità e della natalità ha determinato nei paesi oggi poveri un ringiovanimento e un incremento demografico molto maggiori e accelerati. Tuttavia, le riflessioni di Courbage e Todd sono affascinanti, perché offrono una interpretazione alternativa di quanto sta oggi accadendo nel mondo.
I paesi oggi poveri non sono inevitabilmente e rapidamente destinati alle magnifiche sorti e progressive, perché i periodi di transizione possono essere lunghi, e perché il genere umano è abilissimo a complicarsi la vita. Tuttavia, grazie ai progressi tecnologici, all’istruzione e al controllo delle nascite, la crescita demografica sta decelerando, e gli uomini che nei prossimi decenni vivranno nei paesi oggi poveri hanno reali possibilità di stare meglio rispetto alle generazioni che li hanno preceduti, seguendo le tracce lasciate dai paesi una volta poveri, ma oggi ricchi.
Questa breve nota riprende e aggiorna il capitolo conclusivo del libro “Cose da non credere” (Laterza 2012), scritto dal professor Dalla Zuanna assieme a Guglielmo Weber.
INDICE Gennaio/Febbraio 2016
Editoriale
Monografica
- Sotto pressione: la sfida della demografia
- Demografia, economia e produttività: dove abbiamo sbagliato?
- Perché la demografia non deve farci paura
- Oltre le vecchie frontiere: muoversi di più per guadagnare di più
- Crisi demografica, il piatto del welfare piange
- Il tempo e la qualità della vita: l’eterna vecchiaia
- Innovazione e sostenibilità nei sistemi sanitari del futuro
- La Cina invecchia. Per continuare a crescere ha bisogno di più libertà
- La Terra non è un museo, ma neppure un oggetto. Intervista a Monsignor Sorondo
- Il destino del Paese che invecchiò due volte
Istituzioni ed economia
- I vigilantes: il ruolo di Bankitalia e Consob nelle crisi bancarie
- I nemici dell’Europa che ha smarrito se stessa
Scienza e razionalità
- La Xylella e gli ulivi pugliesi: come nasce un delirio collettivo
- Il caso Xylella: cosa vogliono davvero i PM?