Oggi Napolitano prenderà congedo dalle stanze del Quirinale dopo un supplemento di mandato utile a raschiare il fondo dal barile delle grandi intese, culminate paradossalmente nel governo Renzi, con il suo progetto di democrazia monocolore e monocamerale e quindi, di fatto, super-presidenziale, impacchettato nell'Italicum e nella legge costituzionale che porta il nome della ministra Boschi, ma è un concentrato tutto renziano di rottamazioni (a partire da quella del Senato) e di rimozioni (in primo luogo, quella dei nuovi rapporti tra un Capo del Governo sostanzialmente eletto dal popolo e un Capo dello Stato chiamato in teoria a stare fuori dai "giochi politici", ma dotato di tutte le prerogative costituzionali – le stesse di ora – per entrarci a discrezione, in ragione del temperamento e delle circostanze).

Napolitano e corazziere grande

In questi giorni si ricorderà a ragione la precisione e la misura con cui Napolitano ha esercitato i poteri obiettivamente smisurati che l'attuale Carta lascia al Presidente, o gli lascia liberamente esercitare, e che per svariati decenni erano rimasti congelati, finché con Pertini e Cossiga questi non sono diventati, in mano a personalità forti o bizzose, una variabile indipendente dalla democrazia parlamentare, un rischio permanente e un rifugio di ultima istanza, a seconda dei punti di vista. Oggi il sistema politico italiano, che ormai ha l'horror vacui, si domanda in quante sedute riuscirà a eleggere il successore di Napolitano, ma dovrebbe forse domandarsi come fare per evitare che al suo posto, a maneggiare la "valigetta atomica" del Quirinale, vada un altro Cossiga o un altro Scalfaro, un altro grigio dottor Jekyll delle istituzioni pronto a trasformarsi in un pirotecnico Mr. Hyde della politica, che non accontentandosi di rappresentare l'unità della nazione, scelga di rappresentarne divisioni e contraddizioni, con l'illusione d'interpretare i "bisogni del popolo". È già successo e si è sfiorato il crash; può ancora succedere.

Napolitano è stato l'erede di un realismo umile e onesto, capace di intendere lo spirito del tempo e le sue necessità e di farsi concavo e convesso, come Berlusconi mentendo diceva di sé, seguendo il corso della storia. È stato il Presidente "di minoranza" dell'Unione prodiana, l'accompagnatore vigile e solerte dell'ultimo trionfo berlusconiano, il traghettatore del bipolarismo fallito all'embrassons nous prima di Monti e poi, dopo il rocambolesco pareggio del 2013, di Letta. Infine il garante della svolta renziana, difesa fino alla fine in modo quasi militante, malgrado fosse del tutto eccentrica rispetto al disegno che aveva immaginato quando accettò, quasi novantenne, il reincarico. Non è detto che il successore sia altrettanto presente e sensibile agli eventi.

Se pure Renzi pensasse che per mettersi al riparo dai rischi basti nominare un uomo fidato – posto che gli equilibri del PD e le impazienze del Cav. glielo consentano – si sbaglierebbe di grosso. Anche Cossiga era un uomo fidato, che passò l'ultima parte della presidenza a rivoltarsi rabbiosamente contro l'oltraggiosa sottovalutazione della sua figura politica, sfigurata dall'affaire Moro. Anche Scalfaro era un uomo fidato – perfino di Pannella, che lo inventò Presidente per divenire il suo più implacabile avversario – e il garante dell'ordinato tran tran della Repubblica e passò gli ultimi anni della sua vita, dentro e fuori il Quirinale, a guidare la guerra politica e la sedizione istituzionale contro il Cav.

La "valigetta atomica" del Quirinale passa di mano, senza che neppure la riforma della Costituzione ne abbia disinnescato il pericolo o ridotto il potenziale esplosivo. Il prossimo inquilino, se avrà buona salute, avrà sette anni per far danni o per non farne. Abbiamo tutti, non solo Renzi, bisogno di buona fortuna.

@carmelopalma