logo editorialeLa vicenda della nomina del nuovo ministro degli esteri e del ritardo dovuto al mancato concerto tra Renzi e Napolitano fa riemergere la questione degli effettivi poteri di governo del Capo dello Stato, che accompagna la storia politica e costituzionale italiana degli ultimi decenni, da Pertini in poi.

Nel rileggere l'evoluzione del ruolo presidenziale in un senso sempre più interventistico, c'è chi ha sottolineato l'inveramento di alcune prerogative che la Carta riconosce al Colle e chi invece ha denunciato la pericolosa rottura dei limiti connessi all'esercizio di prerogative politiche da parte di una figura che, rappresentando l'unità del Paese, dovrebbe limitarsi a esercitare funzioni di garanzia.

Non c'è dubbio che negli ultimi anni anche la riflessione dottrinaria è stata impastata di considerazioni politiche, poichè nel Quirinale, sempre occupato da Presidenti "di sinistra", si è visto un argine necessario - anche a costo di qualche forzatura - agli straripamenti di Berlusconi e al suo modo disordinatamente "presidenziale" di intendere e esercitare il ruolo di Presidente del Consiglio.

Ma anche al di là di Berlusconi, ormai al Quirinale si fanno e si trattano tutte le scelte che rimandano direttamente alla responsabilità democratica degli esecutivi, dalla nomina dei ministri al contenuto delle leggi, e i rilievi (quasi sempre, sia detto, assolutamente ragionevoli) del Capo dello Stato hanno sempre - si pensi alla sostituzione della Mogherini - un evidente contenuto di merito e opportunità politica e non di mera legittimità costituzionale.

La figura costituzionalmente ancipite del Capo dello Stato, che esce sostanzialmente indenne e dunque irrisolta anche dalla riforma costituzionale promossa dall'attuale esecutivo, costituisce la chiave di volta del nostro sistema di governo, fino a configurare un regime di semi-presidenzialismo di fatto, che, per così dire, funziona nella misura in cui misurato e prudente è lo sconfinamento politico del Quirinale.

In termini sistemici, però, lasciare il Quirinale così com'è e l'esercizio del potere presidenziale così libero e "politico" potrebbe portare, in altri contesti e con altri inquilini del Colle, a rischi di infarto istituzionale potenzialmente letali per la democrazia repubblicana. Il semi-presidenzialismo di fatto è un rischio, non una garanzia

Se si vuole che la nostra democrazia si regga su di una sorta di "consolato" tra Presidente del Consiglio e Capo dello Stato, entrambi non eletti dal popolo, ma dalle Camere, tanto vale modificare esplicitamente la Costituzione in senso "consolare". Francamente, non siamo affatto convinti che questa sia la scelta più efficiente, anzi umilmente pensiamo che sia la peggiore.

Se si vuole mantenere la figura di un Presidente garante dell'unità della Repubblica, bisogna cambiare, cioè accrescere, la maggioranza necessaria alla sua elezione, visto che con sistemi elettorali maggioritari, compreso l'Italicum, una coalizione minoritaria coesa, grazie al premio di maggioranza, potrebbe con gli stessi voti portarsi a casa sia il Quirinale, sia Palazzo Chigi.

Se invece si vuole arrivare a un assetto davvero semi-presidenziale, bisogna lasciarsi alle spalle la retorica della garanzia e della terzietà, che ha accompagnato l'esercizio del potere presidenziale, anche quando esso si è fatto più spericolatamente politico, come nel caso di Cossiga o Scalfaro.

@carmelopalma